Una folle storia dal Giappone, risalente a non molto tempo fa, ha fatto nelle ultime ore il giro del mondo, e tra i protagonisti di questa vicenda ci sono i videogiochi.
Un bulgaro di 40 anni, residente in Giappone, scomparve tutto d’un tratto. I colleghi di lavoro, inizialmente, non si sono fatti domande, ma osservando giorno dopo giorno che l’uomo non comunicava più con nessuno e non accennava a tornare in azienda, si decisero a chiamare le autorità competenti per verificare che tutto fosse in ordine.
In seguito alle indagini, la polizia individuò il giocatore, che in realtà stava benissimo – ma di questo ne riparleremo tra poco – e che si era semplicemente rinchiuso in una stanza d’albergo per ben 45 giorni con un unico obiettivo: giocare a Fortnite e Call of Duty, principalmente, ma non solo. La sua ossessione per i videogiochi lo aveva infatti spinto a isolarsi completamente dal mondo per ben un mese e mezzo, senza lasciare spazio nemmeno alle comunicazioni con la famiglia.
A trovare l’uomo sono stati sia la polizia che il padre del videogiocatore compulsivo, che ha deciso di recarsi in Giappone di persona per sfondare la porta della stanza d’albergo e “liberare” il figlio. Tutti si ritrovarono di fronte ad una scena abbastanza tragica e disturbante: l’uomo era, oltre che in un cattivo stato di salute a causa della chiusura forzata in camera per 45 giorni, circondato da bottiglie contenenti urina, accumulate per evitare di abbandonare la partita in corso e senza quindi perdere secondi preziosi.
Tony Marini, consulente specializzato nel campo delle dipendenze, ha affermato che l’uomo soffriva già da tempo di sintomi di dipendenza, ma sembrava fosse riuscito a superarli. La realtà dei fatti, come potete aver capito dalla folle notizia che avete appena letto, era ben diversa.
Possiamo però affermare, per una volta, che tutto è bene quel che finisce bene. Dopo 6 settimane di cure, infatti, il giocatore compulsivo è stato riabilitato ed è tornato al lavoro.
Scrivi un commento