Cosa succede quando metti insieme un Lombax coraggioso e abile con le armi, e un piccolo e furbo robot? Cosa si crea quando mescoli questo imprevedibile duo in una galassia fantascientifica fatta di esplosioni, comicità e avventura? Ne esce fuori Ratchet & Clank, una delle serie platform shooter più apprezzate della storia di Insomniac Games e dei videogiochi in generale. Nata dalle brillanti menti di Insomniac Games, questa serie ha ormai sulle spalle quasi 20 anni di vita, ed è brillantemente riuscita a superare la prova del tempo in più occasioni. Se grandi icone di PlayStation come Crash, Spyro, Jak e Sly hanno fatto grande fatica dopo un salto generazionale, Ratchet e Clank sono riusciti a tornare, a reinventarsi e a continuare a stupire. Basti pensare che, probabilmente (o meglio, speriamo) nel 2021, il duo tornerà su PS5 con lo spettacolare Ratchet & Clank: Rift Apart, presentato con il primo emozionante trailer che ha anche lanciato qualche possibile indizio sulla storia. Qual miglior momento, se non questo quindi, per riprendere in mano il libro di storia e andare a rievocare la lunga e leggendaria vita dei nostri due simpatici eroi?
L’eredità di un drago viola
Anno 2000. L’umanità si è appena lasciata un intero millennio alle spalle con la speranza che il terzo sia migliore dei precedenti, il Millenium Bug è stato evitato e Insomniac Games, talentuosa software house di Burbank, ha appena sbalordito il mondo dei videogiochi con il suo Spyro: Year of the Dragon, terzo capitolo della fortunatissima serie su PlayStation. Allo stesso modo di Naughty Dog, però, gli insonni hanno una sorta di depressione post-3umatica (questa è una battuta sottile ma incredibile, non potete negarlo): l’ispirazione e la voglia di stupire con Spyro sono sparite, e la software house, ansiosa di testare le potenzialità della da poco annunciata PS2, vuole cimentarsi con qualche nuova proprietà intellettuale, magari da mantenere tra le proprie mani. Spyro era infatti un marchio di Universal Interactive Studios, gli stessi che decideranno poi di rendere multipiattaforma la serie decretandone la decadenza più totale con videogiochi di dubbio gusto.
Essendo in buoni rapporti con Sony, Insomniac inizia ad aprire il dialogo con il gigante nipponico per la sua prossima produzione. Le idee sul tavolo già ci sono: dall’inizio dell’anno, gli sviluppatori avevano già buttato giù i prototipi di due videogiochi completamente inediti, che non vedranno però mai la luce. Il primo si chiamava Monster Knight, un videogioco altamente segreto all’interno di Insomniac Games stessa, e del quale gli sviluppatori parlarono apertamente solo nel 2012 nel corso di uno speciale report di IGN. Monster Knight veniva descritto come un titolo di avventura e azione in tempo reale in terza persona, con scenari fantasy e uno stile che sembrava richiamare fortemente gli anime giapponesi. Il gameplay si focalizzava sul combattimento ravvicinato e sull’esplorazione di un mondo aperto, senza però dimenticare una forte componente narrativa e personaggi carismatici. Detta così, l’idea di Monster Knight sembrava proprio l’evoluzione del concept di Spyro, al quale Insomniac voleva cambiare il protagonista e ampliare il mondo esplorabile, aggiungendoci anche un pizzico di Pokemon. L’idea, però, venne cestinata dopo poco, e il gioco non superò mai la fase di prototipo.
Una seconda idea ebbe leggermente più fortuna. Il gioco era Girl with a Stick, descritto come una produzione avventurosa che fondeva The Legend of Zelda a Tomb Raider. Non sappiamo bene in che modo, ma questa era l’idea di Insomniac Games, che almeno inizialmente sembrò appoggiare notevolmente questo progetto. Nel 2001 però, dopo circa 6 mesi di preproduzione, lo studio gettò la spugna: il concept non piaceva, gli sviluppatori non erano più convinti di voler proseguire lungo questa strada. E quindi, tutto da rifare, si riparte da capo, ma ovviamente il tempo inizia a stringere: se la volontà è quella di pubblicare il gioco grazie a Sony su PS2, occorre sbrigarsi.
Ted Price e Brian Hasting hanno quindi l’illuminazione: perché fermarsi ad un solo mondo aperto, come lo studio aveva intenzione di fare con Monster Knight? Perché non andare a recuperare almeno in parte il concept vincente di Spyro, specialmente dei capitoli 2 e 3, che permetteva ambientazioni varie e ispirate in molti sensi? Si ricomincia: nuove idee, nuovo videogioco, nuovo sviluppo. Stavolta la base preliminare è quella di un alieno simile a un rettile, che ama alla follia le armi e che viaggia in tutto l’universo visitando più mondi. Col tempo, l’idea viene perfezionata, e il protagonista, che nel frattempo era stato modificato e trasformato come un essere vivente appartenente alla razza aliena dei Lombax, viene affiancato da un compagno di avventura, un piccolo robot di nome Clank la cui presenza influiva anche sul gameplay. Le idee per un gioco complesso e avanzato erano grandiose, le fonti di ispirazione anche – molti manga, Conker’s Bad Fur Day e ovviamente Spyro – ma prima di dare il via al tutto, a Insomniac serviva qualcosa di fondamentale per iniziare lo sviluppo: un engine adeguato. Dopo essere riusciti a convincere Sony della bontà del progetto con una demo preliminare, Jason Rubin di Naughty Dog decide di dare una mano agli amici di Insomniac Games dando loro la possibilità di utilizzare il motore di gioco costruito per Jak & Daxter: The Precursor Legacy.
È tutto pronto quindi, finalmente, per dare il via allo sviluppo di quella che si rivelerà essere un grosso successo per Insomniac e Sony, e anche l’IP più longeva della software house americana e di Sony stessa: Ratchet & Clank.
Vogliamo la linea comica
Prolungando lo sviluppo di diversi mesi rispetto ai piani iniziali – a Sony non interessava più di tanto, l’importante era dare a Insomniac più tempo per perfezionare la nuova serie – la software house americana delineò per bene quelli che dovevano essere i tratti distintivi del progetto. Semplice ma non banale, colorato ma non fanciullesco, comico ma non demenziale. Ratchet & Clank, partendo da queste solide basi che comprendevano inoltre un recupero dell’esperienza platform di Spyro con un gameplay spiccatamente action fatto di armi apocalittiche e gadget imprevdibili, si rivelò essere una grossa, grossissima sorpresa.
Accolto con grande favore da parte della critica e del pubblico, forse oggi Ratchet & Clank, a 18 anni di distanza dal suo debutto, può sembrare un po’ legnoso o acerbo nelle dinamiche, ma il suo valore è indiscutibile. Tutto partiva da quel piccolo pianeta, Veldin, dove un giovane Lombax di nome Ratchet viveva e faceva il meccanico. Sempre su Veldin avviene l’incontro che cambierà per sempre la sua vita, quello con il piccolo robottino che verrà chiamato Clank e che ha importanti rivelazioni sul presidente galattico Drek: nei suoi sogni di gloria, il dittatore ha progettato una gigantesca macchina che gli permetterà di rubare parti di pianeti da assemblare poi insieme per creare il mondo perfetto.
L’insieme di tutto ciò che costituiva Ratchet & Clank creava un videogioco magico, il sogno segreto di ogni amante dei platform in tre dimensioni che fino a quel momento avevano potuto solo immaginare. Senza mai annoiare, senza mai cadere nel banale, Ratchet & Clank portava il giocatore a esplorare e a combattere con armi pirotecniche ed esplosive in mondi completamente differenti tra loro e strutturati con un level design che via via si approfondiva sempre di più col passare del tempo, fino a raggiungere alcuni picchi di grande spessore. Le varie ambientazioni, che giocavano sulla possibilità di esplorare una vasta galassia, riuscivano sempre a sorprendere il giocatore. Da un mondo dominato dall’acqua a uno in cui la civiltà è ancora lontana, da enormi megalopoli a deserti infuocati dalla lava che scorre a fiumi.
Il tutto, naturalmente, caratterizzato da un elemento che ha sempre contraddistinto la serie, e che ne rappresenta uno degli enormi pregi: i personaggi. Insomniac Games si è sempre impegnata per fare in modo che il giocatore si affezionasse non solo ai due protagonisti, l’intraprendente e coraggioso Ratchet e il piccolo Clank, più di un semplice compagno di viaggio grazie ai numerosi gadget che era possibile installare nel suo corpo e che permettevano nuove strade da percorrere. La brillante caratterizzazione dei comprimari, su tutti il capitano Qwark che rappresentava una sorta di linea comica ricorrente all’interno di un gioco comunque ricco di umorismo e risate, impreziosiva la creatura di Insomniac Games, che si pose sin da subito come uno dei grandi protagonisti della line-up di PlayStation 2 e tra i volti principali dell’universo Sony.
Forse l’accoglienza della critica non era stata esaltante quanto sperato – i voti erano comunque molto alti, ma forse Insomniac sperava in qualcosa di più – ma la voce dei fan era qualcosa che il colosso nipponico non intendeva tralasciare. E così, ecco che a Insomniac viene subito commissionato il sequel del gioco, e dopo soli 7 mesi di sviluppo arriverà Ratchet & Clank 2: Fuoco a volontà nel novembre del 2003. La storia riporta in scena l’amato duo, stavolta impegnato a ritrovare per conto della Megacorp un esperimento biologico, il Protopet, nella galassia di Polaris.
Il gioco si rivelò essere un vero e proprio trionfo, su tutti i fronti. Gli sviluppatori presero tutto ciò che era piaciuto del primo capitolo (praticamente tutto), riproponendolo in una nuova formula in cui si percepiva chiaramente la sensazione di un passo avanti. Oltre alle ambientazioni nuove di zecca e sempre ispiratissime, Ratchet aveva a disposizione un arsenale di armi rinnovato e che stavolta poteva potenziare con il passare del tempo e l’utilizzo, oltre che alcuni nuovi gadget con tanto di piccoli minigiochi da risolvere. Le sezioni di Clank, poi, diventavano decisamente più approfondite, passando da semplici platform, a sequenze più elaborate con tanti di piccoli alleati o addirittura a boss fight nelle quali il piccolo robottino diventava gigantesco. Tra le aggiunte più rilevanti, anche la possibilità di migliorare e personalizzare l’astronave tramite crafting e acquisto di nuovi pezzi; il debutto dell’arena, una delle modalità più divertenti e ricorrenti nella serie, con Ratchet e Clank chiamati a vincere tornei via via più difficili contro orde sconfinate di nemici; infine, l’apprezzatissima meccanica dello spostamento laterale, a dir poco fondamentale nelle fasi di shooting.
Contraddistinto dal solito mix di azione e divertimento, anche graficamente Ratchet & Clank 2 fu un notevole passo avanti rispetto al suo predecessore, e i risultati furono eccellenti. Il gioco si rivelò essere uno straordinario successo commerciale (quasi 3 milioni di copie) ma anche un’enorme soddisfazione per Insomniac Games, che si riconfermava tra le case più interessanti e talentuose del panorama. Vista la risposta del pubblico, Sony e gli sviluppatori ci misero ben poco a organizzarsi per il passo successivo: il franchise era in ottima forma, tutti erano contenti e la serie sarebbe andata avanti ancora per molto tempo.
L’importanza di chiamarsi Nefarious
L’unica cosa che fino a quel momento era mancata nella serie, un prodotto già dall’elevato carisma, era un villain. Un iconico villain. Del resto, franchise sullo stampo di Ratchet & Clank sono sempre state caratterizzate non solo da un protagonista celebre e famoso, ma anche dalla sua nemesi, altrettanto famosa e che con il primo forma un binomio quasi imprescindibile. Mario ha Bowser, Sonic si scontra con Eggman, Crash manda all’aria i piani di Cortex, Banjo e Kazooie detronizzano in continuazione Gruntilda, Spyro distrugge le manie di grandezza di Ripto – in realtà anche il caso di Spyro è particolare, ma Ripto è il nemico che è tornato più volte. Per il terzo capitolo della serie Ratchet & Clank, arriva proprio quello che si rivelerà essere una delle figure più iconiche del franchise e che avrà a che fare più volte con il duo nel suo tentativo di raggiungere il potere assoluto: il dr. Nefarious.
Dopo aver salvato Polaris, in Ratchet & Clank 3 (conosciuto anche come Ratchet & Clank: Up Your Arsenal) i due eroi tornano in azione nella Galassia di Solana, presa d’assalto dalla minaccia dei Tirannoidi. La trama e la grandezza di questo terzo capitolo mettono in evidenza lo straordinario percorso evolutivo di Insomniac Games, ormai arrivato a una maturità eccellente. La storia si fa sempre più profonda, e oltre a riabilitare la figura di quel Qwark che da qui in poi diventerà una figura centrale della serie, introduce appunto la figura del malvagio dottor Nefarious, un tempo essere vivente biologico e già nemesi di Qwark e che invece oggi si è costruito un corpo robotico che gli permette di vivere praticamente in eterno.
La varietà e la bellezza degli ambienti continuano a stupire, e la solida impalcatura del primo gioco consolidata con il secondo capitolo viene ovviamente ripresa tra armi vecchie e nuove. A questo, si aggiungono diverse aggiunte di peso, come le missioni secondarie da portare a termine su alcuni pianeti e incentrate sull’azione, le sezioni a bordo della grande nave spaziale della Phoenix e quelle che furono le vere sorprese del gioco, i videogiochi in 2D di Qwark. Esatto, videogiochi all’interno del videogioco. Tra i temi di R&C3 c’era anche quello della riscoperta della storia perduta del capitano Qwark, con simpatici livelli platform in due dimensioni che garantivano nuove cose da fare e completamente diverse.
Luci, colori, mondi, personaggi, musiche. Ratchet & Clank 3 fu fenomenale, e, non ve lo nego, personalmente lo ritengo il miglior videogioco della serie insieme allo spettacolare A spasso nel tempo. Ed fu proprio con Up Your Arsenal che Insomniac sperimentò per la prima volta nella sua carriera una modalità multiplayer online, un’eccezione ai tempi di PlayStation 2 ma che risultò un riuscitissimo passatempo che ampliava l’offerta e che per la prima volta univa davvero la community di Ratchet & Clank sotto un’unica bandiera. Una rarità, se ci pensiamo, perché il multiplayer in un gioco della serie sarà riproposto solo in un’altra occasione dove sarà peraltro la meccanica principale, ma senza brillare particolarmente.
Prima di lasciarci al prossimo appuntamento con la seconda parte della retrospettiva dedicata all’amata serie, c’è un altro gioco di cui dobbiamo parlare, l’ultimo – in realtà no, ma vedrete a cosa ci riferiamo nel prossimo episodio – titolo del franchise a sbarcare su PS2. Nel 2005, rispettando l’ormai abituale cadenza annuale della serie, Insomniac pubblica Ratchet Gladiator, quello che si rivelerà essere uno dei giochi più amati/odiati dalla community, e naturalmente c’è un perché.
Ratchet: Deadlocked, questo il titolo originale del gioco, è infatti maggiormente assimilabile a uno spin-off, più che un vero nuovo capitolo della serie. Nonostante sia ancora Ratchet il protagonista, Gladiator ha come unico elemento quello dell’azione, mettendo in secondo piano o addirittura eliminando dinamiche comuni ai giochi della serie come il platforming e l’esplorazione. L’intero gioco è un susseguirsi di scontri in arene e missioni – che riprendono la formula delle battaglie via terra e via aerea di R&C3 – che hanno a che fare con la DreadZone, un violento e spettacolare reality show in voga nella galassia nel quale i contendenti vengono dotati di un collare esplosivo, come garanzia che questi continueranno a combattere, e gettati in una sanguinosa esperienza volta a ottenere gli indici di ascolto più elevati.
Proponendo nuovamente anche la modalità multiplayer online (anche co-op), oltre che per l’appunto anche la prima esperienza co-op della storia della serie, Ratchet Gladiator, che comunque si rivela essere un riuscitissimo TPS nel quale si notano chiaramente le tipiche atmosfere della serie, non è ricordato con grande affetto da una parte della community, che non gli perdona in particolare il fatto di avere una storia molto meno sviluppata e di aver ridotto Clank al ruolo di semplice apparizione, che di tanto in tanto interagisce con Ratchet senza però avere sezioni dedicate come era sempre avvenuto in passato. Un videogioco, insomma, di transizione, un prodotto di pregevole fattura che però sfigurava di fronte ai traguardi raggiunti con gli ultimi capitoli.
Il motivo dietro a questo passo indietro, forse, è da ricercare nel futuro di Insomniac e di Sony, che di lì a poco avrebbe fatto un altro grande passo generazionale. Nel 2006 venne infatti presentata al mondo PS3, e la software house americana era già al lavoro su questo nuovo strabiliante hardware con due IP in particolare: la prima è Resistance, una fortunata trilogia sparatutto in prima persona; la seconda, un po’ a sorpresa, era ancora Ratchet & Clank. Perché se Insomniac aveva dovuto dire addio a Spyro troppo presto, nel passaggio tra PS1 e PS2, non intendeva ripetere questo errore, e anzi credeva che il duo Lombax-robot potesse regalare altre emozioni. Così sarà. Ma questa è un’altra storia…
Appuntamento alla seconda parte di Lezioni di Storia: Ratchet & Clank!
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