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[Recensione] Black Widow

Scarlett Johansson ci ha messo quasi 10 anni a convincere i Marvel Studios a realizzare un film interamente dedicato al suo personaggio, la Vedova Nera. La pandemia di Coronavirus, poi, ha ulteriormente allungato l’agonia di un film che sembrava fosse sotto una tremenda maledizione, sottoposto a continui rinvii e a quella spada di Damocle che si chiama streaming. Alla fine, il compromesso c’è stato: Black Widow arriverà dal 7 luglio al cinema, e due giorni dopo anche su Disney+, con Accesso VIP – modo elegante per non dire “a pagamento”. E sebbene non sia un film dalle proporzioni colossali, come ci avevano abituato le ultime produzioni MCU, il film che riporta sul grande schermo uno dei personaggi più apprezzati dell’ultimo decennio è l’occasione giusta per invadere nuovamente la sala.

Natasha Romanoff (Scarlett Johansson) ci è sempre stata presentata come un personaggio forte, forse il più forte tra gli umani, capace di respingere e trattenere quanto più a lungo possibile i propri legami da lei talvolta visti come un motivo di debolezza. Era già stato Avengers: Age of Ultron a mostrarci qualcosa del suo problematico passato che voleva lasciarsi alle spalle, ed era in Avengers: Endgame che Nat, con lo spirito di chi sarebbe disposto a tutto per salvare la propria famiglia e i propri amici, contribuiva a quello che sarebbe stato poi il trionfo di Tony Stark su Thanos. Gran parte del merito, ora lo sappiamo, arriva dalle vicende di Black Widow, una “origin story” del personaggio mascherata da midquel nell’intricato MCU che concede alla rossa spia del KGB prima e dello SHIELD poi il giusto palcoscenico.

Ed è forse anche per la sua particolare natura di retro-storia – esiste questo termine? Ci piace immaginare di sì – che Black Widow rappresenta un importante film Marvel che allo stesso tempo è in larga parte differente da qualsiasi altra pellicola del Marvel Cinematic Universe. Questo per una questione narrativa, certo, così come per la dimensione relativa al personaggio, il cui racconto delle vicende deve naturalmente slegarsi da contesti mitologici o cosmologici, e restare ancorato a un mondo più terreno – il film è peraltro ambientato poco dopo gli eventi di Captain America: Civil War, quando Natasha, una volta tradito Stark e aver infranto gli Accordi di Sokovia, diventa uno degli Avengers ricercati dal governo. Ma non solo. La famiglia è da sempre stata un importante elemento al centro del MCU, ma in Black Widow diventa l’elemento scatenante, la vera forza collante di tutto ciò che è, e sarà, la nuova vita di Natasha.

La Vedova più famosa al mondo si ritrova inconsapevolmente al centro di una missione che ha a che fare con il suo sanguinoso passato, con la famosa nota rossa accennata da Loki in The Avengers, e che la costringe a riunire quella che è stata la sua prima famiglia. Un gruppo di persone messe insieme dalle forze sovietiche per missioni di spionaggio ad altissimo rischio, perfettamente consci delle proprie potenzialità ma anche uniti da un legame forte e particolare, come emerge dallo splendido e adrenalinico prologo. Oltre a Nat ci sono Melina (Rachel Weisz), il possente Alexei aka Red Guardian (David Harbour), e quella che è stata il suo primo vero legame, la piccola Yelena (Florence Pugh). Quattro persone con abilità fuori dal normale, divisi da un mondo che sembra costantemente contro di loro, ed è proprio quando questo particolare agglomerato si ritrova che anche Natasha, sempre distaccata, riesce a far emergere le proprie emozioni. Ricordare un passato che non se ne vuole andare, che la tormenta ancora oggi e che sta rovinando altre vite.

Il film è bravo a raccontare la sua storia fatta di viaggi e scoperte, a sorprendere a piccole dosi, e a mettere insieme tutti quei piccoli pezzi del puzzle sparpagliati per i precedenti film del MCU e qui riuniti per comporre una nuova e intrigante missione, tra segreti, complotti e la solita azione che non può mancare. L’ingombrante figura e la personalità di Natasha giganteggiano su tutte le altre, tuttavia ciò non eclissa le ottime prove dei comprimari, su tutti David Harbour, burbero soldato dal cuore d’oro, e la sorprendente Florence Pugh, stella nascente del cinema e, quasi certamente, tra i principali futuri volti del MCU. Nonostante la sua natura, infatti, Black Widow è stato sfruttato dai Marvel Studios non solo per dare il giusto e definitivo (?) saluto a Scarlett Johansson, ma anche per iniziare a raccontare qualcosa di nuovo, e che potrebbe avere ripercussioni in futuro. Impalpabile, invece, il villain principale Dreykov: neanche l’ottimo Ray Winstone riuscirà a farvi ricordare di una figura tra le più classiche di sempre per i cinecomic, assetata di potere e… altro potere.

Le scene più esplosive, forse, sono anche quelle nelle quali Black Widow fa più fatica. Specialmente nel lungo atto finale, a tratti si notano effetti speciali sommari e combattimenti risolti in pochi istanti, forse per un bisogno fisiologico di chiudere la storia nei tempi rispettati, e questo è anche quello che meno funzione nell’intera produzione. A causa della sua particolare natura, non siamo entrati in sala carichi di enormi aspettative per Black Widow, ma non neghiamo che la pellicola è stata in grado di lasciare il segno, grazie ad alcune sequenze davvero particolari e personali, davvero intense. Il dover necessariamente incastrarsi in qualcosa di più vasto e già raccontato, però, ha probabilmente frenato le ambizioni di Jac Shaffer e dell’intera produzione, tanto che il finale, nonostante sia perfettamente sensato e coerente, appare sconclusionato, quasi come se nessuno avesse voluto interrompere lo status quo. Cosa che, in effetti, non può essere fatta.

Un buonissimo film, senza dubbio, ma certamente nulla di memorabile. I seguaci del MCU, per vedere i primi grandi botti della Fase 4, dovranno attendere le prossime pellicole, su tutte Eternals e Spider-Man: No Way Home che promettono grandi cose. Per la nostra amata Vedova Nera, in definitiva, è stata una valida passerella d’addio, che, per forza di cose, non poteva essere più di quello che è.

Scritto da
Andrea "Geo" Peroni

Entra a contatto con uno strano oggetto chiamato "videogioco" alla tenera età di 5 anni, e da lì in poi la sua mente sarà focalizzata per sempre sul mondo videoludico. Fan sfegatato della serie Kingdom Hearts e della Marvel Comics, che mi divertono fin da bambino. Cacciatore di Trofei DOP.

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