Alzi la mano chi si ricorda di Kao the Kangaroo. Il simpatico platform 3D, nato sulla scia dei ben più famosi Super Mario, Crash Bandicoot e Spyro, solo per citare i nomi di spicco dell’epoca, irrompeva nel 2000 su varie piattaforme per prendere a pugni tutto ciò che lo circondava, mantenendo comunque un’atmosfera sempre leggera e coloratissima.
Oltre vent’anni e vari giochi dopo, che non hanno mai a dire il vero consacrato il personaggio, Kao ci riprova. Tate Multimedia, dopo aver vagliato l’idea di realizzare i remake dei giochi classici, ha deciso di tentare il tutto per tutto con un reboot totale di Kao the Kangaroo, con la prospettiva, certamente, di riuscire a ritagliare un po’ di spazio al giovane canguro al giorno d’oggi. L’esecuzione è meno nobile delle aspettative, ma l’esperienza è abbastanza piacevole e intrattenente.
Versione provata: PS4.
KAO, IL CANGURO CAMPIONE DI BOXE
Le premesse narrative di Kao the Kangaroo, gioco che come dicevamo in apertura non ha nulla a che vedere con la serie classica di Kao in quanto ne rappresenta un reboot, sono tanto semplici quanto efficaci per introdurre il giocatore al personaggio e al suo mondo. Kao è un giovane canguro che vive con sua madre, e al quale in sogno compare la sorella Kaia che gli chiede aiuto. Al suo risveglio, Kao scopre che la sorella è effettivamente scomparsa, e che questa sua misteriosa sparizione è legata a quella del loro padre Koby.
Cosa potrebbe fare un giovane eroe senza macchia e senza paura come Kao? Uscire di casa, convincere la madre di voler partire per una grande avventura (la quale non rifiuta, madre dell’anno), e recuperare i mitici guantoni da boxe di Koby, che gli permetteranno di salvare la sua famiglia e, forse, il mondo intero. Non ci aspettavamo un incipit particolarmente complesso, e così è stato. Proprio come i platform ci hanno spesso abituato, la storia è solo un pretesto per far visitare al protagonista varie ambientazioni e livelli dove raccogliere innumerevoli collezionabili, che in questo caso sono diamanti, pergamene e tre lettere per stage che vanno a formare la parola K-A-O.
Messo in questi termini, Kao the Kangaroo ha ben più similitudini con un altro platform 3D degli ultimi anni, New Super Lucky’s Tale, del quale in effetti ricalca le dinamiche. Se l’originale gioco di inizio millennio seguiva le orme di Crash Bandicoot, con livelli strutturati in corridoi tridimensionali, il reboot si lascia maggiormente andare costruendo aree più vaste, che fungono da HUB, e livelli invece più tradizionali con un singolo percorso dal punto A al punto B contenenti però anche segreti, vie secondarie e qualche gustoso extra, tutto questo senza far venire mai meno la componente principale del platforming che invece domina su tutto il resto.
Sebbene Kao abbia a disposizione i portentosi guantoni da boxe, l’utilità di questi è davvero limitata. Kao potrebbe tranquillamente prendere a pugni un qualsiasi nemico anche senza i suddetti guantoni, e le cose non cambierebbero affatto. I due magici oggetti fungono più che altro da pretesto per introdurre alcuni poteri extra (fuoco, ghiaccio, vento) che consentono di procedere nei vari livelli, sempre in punti predeterminati. L’inclusione dei poteri, infatti, non ha alcun effetto sui combattimenti, e questo risulta essere il maggiore dei peccati data la ripetitività e l’estrema facilità con la quale i nemici vengono abbattuti.
E dire che, almeno dal suo artwork di presentazione, Kao the Kangaroo sembrava rimandare a Crash Bandicoot 4: It’s About Time, un platform stupendo nel quale, grazie alle dinamiche delle dimensioni multiple e di nuove maschere, Toys for Bob ha confezionato numerose meccaniche di gioco per variegare l’esperienza. Le similitutidini con Crash 4, a dire il vero, si limitano prorpio al suddetto artwork, oltre forse ai cristalli viola che, se colpiti con un boomerang (debitamente posizionato a pochi metri di distanza dal cristallo), “sbloccano” piattaforme invisibili, senza lasciar però intravedere alcun richiamo al multiverso o a qualcosa di più elaborato. Come sopra, però, anche queste dinamiche non influiscono sui combattimenti, siano essi contro i nemici più piccoli o contro i boss di fine area, che Kao combatte dopo aver raccolto abbastanza Rune.
Combattimenti che, ancora una volta, sono l’emblema di quanto Tate si sia concentrata sulla costruzione di livelli semplici e piacevoli da vedere, grazie anche a una direzione artistica simpaticamente cartoonesca, e abbia messo totalmente in seconda parte le fasi action, che si limitano semplicemente a prendere quadrato per prendere a pugni e nemici e, una volta caricata la barra d’azione, triangolo per concludere la combo con un attacco (leggermente) più forte. Ne deriva un livello di difficoltà praticamente inesistente, sia per quanto riguarda il superamento di un combattimento o di un intero livello, ragionato probabilmente nell’ottica del pubblico di riferimento, ossia giocatori molto, molto giovani, che quindi non fanno neppure caso ad animazioni abbastanza elementari in generale. Una sorta di schiaffo morale verso chi era cresciuto con la figura di Kao.
PUNTI DI FORZA
- Ambientazioni simpatiche
- Direzione artistica ispirata al punto giusto
PUNTI DEBOLI
- Animazioni e comparto grafico non proprio di primo pelo
- Vari bug e glitch grafici, che forse saranno risolti da una patch D1
- Livello di difficoltà assente
Kao the Kangaroo non è certo un reboot memorabile, e anzi speravamo che Tate avesse osato qualcosa di più in termini di quantità ma soprattutto qualità, prestando maggiore attenzione al combat system che invece è quasi inesistente. Si tratta di un platform 3D leggero e piacevole da giocare, con un livello di difficoltà quasi inesistente, che quindi potrà rilassare molti giocatori che amano questo genere. Non aspettatevi però un tasso di sfida appagante, e anzi nelle poche ore che vi serviranno per completare il tutto, i game over potrebbero tranquillamente ridursi a zero.
Ringraziamo Tate Multimedia per il codice review.
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