Alla fine, Thor ce l’ha fatta. Il Dio del Tuono, ruolo che Chris Hemsworth era pronto ad abbandonare da tempo, è arrivato invece per la quarta volta al cinema con un film da solista, la prima “quarta volta” per un eroe del MCU. Dietro la macchina da presa, ancora una volta, Taika Waititi. L’uomo che ha rivoluzionato l’immagine di Thor, da solenne a eterno bambinone dal cuore puro, riprende le redini del destino del Tonante dopo Ragnarok, riuscendo però nell’impresa solo fino a un certo punto. Problemi di tono? Non proprio.
Thor: Love and Thunder ha portato sul grande schermo due delle più significative run fumettistiche dedicate al personaggio nella sua lunga storia editoriale. La prima, la più evidente sin dal primo trailer, è quella di Mighty Thor, la versione cioè femminile del Tonante dietro le cui sembianze si cela Jane Foster. La seconda, quella forse più attesa dal pubblico per la spettacolarità promessa, è stata anch’essa creata da Jason Aaron ma è datata 2013, e vede Christian Bale nei panni di Gorr il macellatore di dei. Villain di una maestosa run costruita intorno a un triplice Thor pronto a tutto pur di fermare la carneficina degli dei, nella pellicola di Waititi Gorr non è stato certo risparmiato dalle esigenze di adattamento, senza però sfigurare.
Perché intendiamoci, il vero problema di Thor: Love and Thunder è l’aver riproposto una formula (a nostro dire) riuscita, quella di Thor: Ragnarok, buttando però nel calderone troppi avvenimenti, personaggi, riferimenti e dettagli sul futuro, con un finale inoltre che lascerà basito anche il più puro amante dei fumetti. Facciamo un po’ di ordine.
Sono passati alcuni mesi da quando Thor (Chris Hemsworth) è partito insieme a Star-Lord (Chris Pratt) e il resto dei Guardiani della Galassia (se ve lo state chiedendo, sì, sono presenti per una manciata di minuti), rimettendosi in forma dopo gli eventi di Avengers: Endgame senza però riuscire a colmare un vuoto, un senso di incompiutezza che alberga nel cuore del Tonante ormai da tempo. Il film non si perde però troppo in chiacchiere. Proprio come Ragnarok, anche stavolta si passa al nocciolo della questione in poco tempo: gli dei dell’universo stanno morendo. Non tanti, a dire la verità, ma quanto basta per mettere in allarme Thor anche grazie all’intervento di un personaggio che non vedevamo da tempo. L’asgardiano fa quindi ritorno sulla Terra per proteggere Valchiria (Tessa Thompson) e ciò che resta del suo popolo, trovandosi però di fronte a qualcosa di incredibile: la sua ex fidanzata, Jane Foster (Natalie Portman), brandisce Mjolnir e possiede i suoi stessi poteri.
Va detto che il film, che brilla quando deve mostrare spettacolari scorci di pianeti e luoghi fantastici, riesce comunque attraverso la sceneggiatura a dare una spiegazione a tutto ciò che vediamo, e nulla, nonostante alcune importanti divergenze rispetto ai fumetti (cosa che ormai diamo per assodata, scordatevi gli adattamenti 1:1), ci è sembrato fuori posto. Un dettaglio su Mjolnir, forse, potrebbe far storcere il naso, ma è bene ricordare che oggi l’MCU è fatto sì di scienza ma anche di magia e poteri difficili da comprendere, e in fin dei conti ciò che emerge da questa storia è che il potere più grande, sarà banale sentircelo dire, è proprio quello dell’amore.
L’amore, sì, proprio quell’amore che fa anche da sottotitolo al film, inizialmente incomprensibile ma che acquista significati differenti e chiari via via che ci avviciniamo alla conclusione degli eventi. C’è l’amore in senso più tradizionale, c’è quello tra un padre e una figlia da vendicare, c’è persino quello tra un Dio del Tuono e un magico artefatto di cui non vi sveliamo troppo ma che è protagonista di alcune delle gag più riuscite del film. L’amore, così come ovviamente il tuono (e in questo c’entra anche lo Zeus di Russell Crowe, a proposito, che danza con leggiadria interpretando uno scontroso ed egocentrico signore dell’Olimpo), finisce al centro dell’intero intreccio narrativo sviluppandosi su più livelli, rubando però inevitabilmente spazio ad alcune storyline che avrebbero meritato maggiore attenzione.
Perché è vero che tutte le linee narrative interessano questo particolare tema, al quale anche Korg (Taika Waititi stesso) si rivela essere molto interessato, ma questo fa sì che la figura di Jane non riesca ad approfondirsi più di tanto nonostante la sua storia sia trattata con genuino tatto, così come quella di un Gorr di cui comunque è d’obbligo segnalare una performance talvolta su di giri ma davvero importante di Bale. Nel mezzo di tutto ciò, c’è tanto altro, forse troppo: i Guardiani, i flashback necessari per la comprensione delle dinamiche, Valchiria, gli altri dei, l’evoluzione di Thor, la Necrospada e anche intriganti sorprese che ampliano il pantheon delle entità di questo universo – una presenza in particolare, in qualità di vecchi lettori delle saghe cosmiche di casa Marvel, ci ha fatto molto piacere, ma ancora una volta è anche quella che apre un interrogativo gigantesco al termine del film.
Inoltre, resta quello che per molti è un difetto insormontabile: il tono. Waititi ha ormai fatto di Thor una sua creatura, adattandolo al suo stile e ai suoi tempi, e questo porta anche in Love and Thunder rapidi scambi di battute, colori accesi (non sempre, come nella spettacolare battaglia già intravista nel trailer), gag che in alcuni casi sembrano infinite e forse esagerate. Ecco, esagerate è il termine che meglio si adatta a questo quarto capitolo della storia del Tonante, in tutti i sensi. Thor: Love and Thunder è, esattamente come ci aspettavamo, un film molto difficile da apprezzare se avete odiato la piega intrapresa da Ragnarok, mentre è perfetto per chi si trova su quelle stesse lunghezze d’onda, al netto di alcuni difetti di cui abbiamo discusso.
È palese sin da subito che il regista premio Oscar con Jojo Rabbit abbia messo anima e corpo in un film che certamente avrà la sua importanza futura come tassello del MCU, cadendo forse nel trappolone del troppo che stroppia. Le sensazioni che proverete al termine della visione di Love and Thunder saranno molteplici. Sarete divertiti per la leggerezza con la quale Thor ormai affronta il mondo, sarete estasiati dalle scelte artistiche sempre sopraffini, sarete felici di fronte ad alcuni importanti risvolti e sopresi con altri. Non potrete però fare a meno di percepire un leggero senso di insoddisfazione, causata forse dalle enormi ambizioni di una pellicola che, soprattutto negli ultimi 20 minuti, sembra tutto meno che un film di Thor. Sarà difficile da digerire. Noi, con Ragnarok, lo abbiamo fatto con gran piacere. Stavolta il discorso è un po’ diverso.
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