Non fa più molto parlare di sé, ma Halo è ancora qui, in mezzo a noi, e questa forse è la cosa più triste, quella cioè di dover ricordare che il franchise è ancora in vita. Chiaramente stiamo esagerando, difficilmente una persona, specie se appassionata di videogiochi, non conosce le ultime vicissitudini di Halo, ma è inutile negare che il suo non sia più un nome di primo pelo per l’industria. E questa, lasciatecelo dire, è una cosa tragica.
Nato come la rivoluzione degli sparatutto in prima persona, con un impatto paragonabile forse solo a quello di Half Life di Valve, Halo sta vivendo periodi non proprio felici. Negli ultimi mesi, dopo tanta, tanta attesa, 343 Industries sembra aver trovato la quadratura del cerchio per quanto riguarda il supporto a Infinite, ma le voci intorno al futuro del franchise hanno fatto calare una fitta nebbia di incertezza, quasi impenetrabile nonostante le parole rassicuranti di Phil Spencer. Il quadro clinico, purtroppo, non è felice, ma il paziente ha tutte le carte in tavola per guarire. E anzi deve assolutamente guarire, perché Microsoft non può permettersi il lusso di rinunciare alla potenza di questo brand.
Indipendentemente dall’esito dell’acquisizione di Activision Blizzard King e Call of Duty (gli ultimi accordi messi nero su bianco hanno messo la parola fine a molte discussioni, e ora si attendono i risvolti), la società di Redmond farebbe infatti meglio a rivedere urgentemente la sua gestione di quello che fino a pochi anni fa era il nome di spicco assoluto nella line up degli studi Xbox, che ha però perso progressivamente popolarità non appena Bungie si allontanò dopo Halo: Reach per lavorare a Destiny – e passare curiosamente sotto la bandiera di PlayStation alcuni anni dopo, ma questa è un’altra storia.
E il fatto che Microsoft abbia un bel problema con Halo, oggi, è indiscutibile. Bello, sì, perché chiunque vorrebbe avere tra le mani un’IP del genere, il simbolo di un magico momento d’oro dell’industria che sovvertiva le regole. Però è anche e soprattutto un problema, che forse non è partito da quell’Halo 4, primo progetto dell’allora neonata 343 Industries, ma che si è certamente acuito col tempo. Se già Halo 5: Guardians aveva lasciato qualche dissapore, Halo Infinite è stato l’opposto di quello che Microsoft sperava che fosse.
Penso non ci sia bisogno di ricordare cosa Halo Infinite doveva essere, come Halo Infinite è stato presentato e quali sono stati gli enormi problemi di Halo Infinite dopo la sua uscita. Annunciato come la più grande rivoluzione del franchise, e pensato come una piattaforma decennale per gli ambiziosi piani di 343, Infinite viene ricordato ancora oggi per una presentazione davvero sottotono (per non dire altro) nell’estate 2020, producendo un danno d’immagine di non poco conto per la software house e il brand stesso, non riuscendo a comunicare quelle che invece erano, e sono tuttora, le indubbie qualità di un titolo che ha dalla sua un comparto multigiocatore perfetto, avvincente, esplosivo, passato fin troppo in sordina. Dopo il rinvio alla fine del 2021, le cose non sono state infatti certo rose e fiori per Infinite, specie per il silenzio stampa di una 343 Industries in evidente stato di difficoltà nel mantenere i suoi piani di supporto al gioco. Il progetto decennale, già un anno dopo, è apparso scricchiolante. Troppo scricchiolante.
Va detto che negli ultimi mesi, da novembre 2022 circa, 343 sembra aver trovato una certa quadra, con update più costanti e soprattutto vari contenuti davvero apprezzati. La Forgia è una di questi, e anche la recente playlist dedicata alle mappe create dalla community è il segnale di uno studio che sta andando sempre più incontro ai giocatori e che forse ha capito che proprio l’amore dei fan potrebbe essere la strada giusta per proseguire un cammino tortuoso. Cammino che, e questo ce lo dicono parecchie e insistenti voci di corridoio, riserva ancora moltissime insidie, e anzi il futuro di Halo è ancora tutto da scrivere.
Il problema è che oggi risulta molto difficile delineare le intenzioni di Microsoft su Halo, ma ancor di più su 343 Industries. La valanga di licenziamenti approvati da Redmond a gennaio, frutto dell’espansione in tempo di pandemia che ormai ha esaurito gli effetti, ha toccato anche e soprattutto lo studio (pure Bethesda, ma in quel caso è a causa dell’acquisizione di qualche anno fa, e si tratta di semplice riorganizzazione che sempre avviene dopo affari di questo tipo), e il terremoto non è da sottovalutare.
Sì perché oltre ai licenziamenti già citati, nel 2022 lo studio aveva già subito alcuni importanti addii: dopo Joe Staten, veterano di Bungie che era stato assunto per riportare in carreggiata Halo Infinite, anche Bonnie Ross (capo di 343) e Kiki Wolfkill (capo del franchise di Halo) sono stati accompagnati all’uscita, proprio nel periodo in cui alcuni ex membri dello staff della software house hanno denunciato una “leadership incompetente” che ha caratterizzato tutti gli ultimi progetti legati al brand.
Voci di corridoio, certo, ma con Halo Infinite è divenuto sempre più chiaro che 343 abbia enormi difficoltà a gestire un franchise di questa portata, proprio come il suo Slipspace Engine. Se lo scoglio del supporto al multigiocatore di Infinite sembra superato, il divenire di Infinite è in bilico, con i report che parlano di contenuti single player cancellati, cambiamenti in corsa, ripensamenti e così via. Sullo sfondo c’è poi sempre la famosa modalità battle royale di Halo Infinite, sviluppata (forse eh, è sempre un grande forse!) da Certain Affinity. La giocheremo? Sì. La aspettiamo? Diciamo di sì, ma il filone dei battle royale, negli ultimi tempi, ha dimostrato di essere nella sua fase discendente, e Halo BR rischia di uscire quando ormai la massa di giocatori avrà superato questa passione.
Cosa ne sarà, quindi, di Halo? La risposta a questa domanda è maledettamente difficile, e Phil Spencer non lo verrà certamente a dire a noi. Le certezze, per ora, sono poche: Microsoft ha tra le mani un brand enorme, un gioco che ha sottoperformato ed è stato più un problema d’immagine che un bonus, e uno studio creato appositamente per occuparsi di Halo che ha da tempo dimostrato di non essere in grado di occuparsi di Halo, finendo con l’essere ridimensionato nei numeri e nella capacità. Di fronte a questo scenario, le voci che parlano di 343 come studio che si occuperà della sola direzione creativa del franchise, con studi di terze parti impiegati nello sviluppo dei prossimi giochi, non è sorprendente, e neppure le frasi di Spencer, Matt Booty (boss di Xbox Game Studios) e Pierre Hintze (capo di 343) sono bastate a gettare acqua sul fuoco.
L’unica realtà dei fatti, oggi, è che nessuno sia mai stato in grado di replicare la grandezza e la genialità di Bungie con la sua gestione dell’universo narrativo, delle armi, del multiplayer (anche se quello di Halo Infinite è davvero ottimo), delle abilità, di tutto quanto in generale. Per fare un paragone, ad Halo sta accadendo, in minor proporzione, quello che è accaduto a Crash Bandicoot e Spyro nel momento in cui i rispettivi creatori hanno detto basta: i nuovi giochi non sono mai riusciti a replicare l’esperienza originale, e i tonfi sono stati parecchi.
Fortunatamente Halo Infinite è ben lontano da un obbrobrio come Spyro: Enter the Dragonfly, ma la sua credibilità colò a picco in quella indimenticabile presentazione dell’estate 2020, simbolo di una disorganizzazione e disattenzione che nessuno si aspettava. E ora Microsoft, per far rialzare il suo franchise più importante, dovrà lavorare parecchio in questo senso. Indipendentemente da come andrà a finire l’acquisizione di Activision Blizzard King e, per la proprietà transitiva, Call of Duty.
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