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The Creator, ovvero la difficoltà di distinguersi in un mare di già visto [Recensione]

Come si può cercare di creare qualcosa di nuovo in un genere stracolmo, come quello del blockbuster fantascientifico? Questa è la domanda che mi è sorta spontanea quando vidi per la prima volta il trailer di The Creator, il nuovo film diretto da Gareth Edwards. Lo spot, infatti, abbassò di parecchio le mie aspettative, poiché sapeva tutto di già visto. Una guerra tra Intelligenza Artificiale ed esseri umani che richiama la saga di Terminator, ma con un discorso umanistico preso direttamente da Blade Runner e la scelta di usare un “bambino-arma” come metafora delle generazioni nate sotto l’ombra della guerra già vista in Akira. Un immaginario che si prospettava molto simile a quello di Star Wars (tra le altre opere dirette di Gareth Edwards, la più famosa è proprio “Rouge One”, che ha avuto il compito di portare nuova linfa vitale all’universo di George Lucas) e dei robot simili a quelli dell’anime Ghost in the Shell. Insomma, un mappazzone di classiconi della fantascienza cinematografica.

Recensione a cura di Luca Zenesini.

Una scena da The Creator

E queste cose, alla fine, sono proprio quelle che mi sono trovato davanti guardando il film. Con John David Washington che ripete “sono Intelligenza Artificiale, non esseri umani, sono solo programmazione!!!” abbastanza volte per essere sicuro che anche il vecchietto in fila H abbia capito come si evolverà il suo personaggio nel corso del film.

Ma, sarà per le mie aspettative basse, il film a me è piaciuto.

Pur non innovandosi a livello tematico, il film riesce a distinguersi soprattutto a livello del suo immaginario e del suo world-building. La scelta che secondo me è stata vincente da questo punto di vista, è stata quella di prendere tre film completamente diversi tra loro e che sulla carta non c’entrano nulla l’uno con l’altro, come ispirazione base nel costruire le atmosfere di questo mondo. Star Wars, Blade Runner e Apocalypse Now (e sia chiaro, il film è distante anni luce dall’essere paragonato allo stesso livello dei film che cita).

Una scena da The Creator

Il primo lo ritroviamo nella gigantesca e minacciosa arma spaziale che fa subito pensare alla Morte Nera. Un design che riesce a rappresentare contemporaneamente sia progresso tecnologico, sia morte e distruzione. Blade Runner, invece, è inciso nell’ottimo production design e nelle diverse scenografie, riempite di schermi luminosi, linee al neon e grattacieli ultra-moderni, ma allo stesso tempo tenebrosi. Mentre il capolavoro di Francis Ford Coppola (con anche dei richiami ai film di Malick) è presente in questa fittizia “New Asia”, in cui coesiste povertà e modernità, natura e tecnologia, tranquillità e trincee improvvisate.

Apocalypse Now e La Sottile Linea Rossa di Malick, non sono film che vengono citati a caso solo per il loro immaginario e per l’amore di Edwards per queste due opere. Ma sono presenti a livello di atmosfera anche per un altro tema che viene trattato dal film, ovvero la brutalità della guerra. Questo argomento, a differenza di quello delle IA che viene discusso in modo banale e ripetitivo, viene presentato molto efficacemente dal regista, che preferisce lasciar parlare le immagini piuttosto che le parole.

Una scena da The Creator

Sia chiaro, nulla di innovativo e di incredibile anche per quanto riguarda questo tema, ma la scelta di Edwards di concentrarsi sulle vittime, trasformando ogni scena di combattimento in tragedia e alternando l’eccitazione dell’azione con la brutalità della violenza, rende il film molto più maturo. Allontanandosi così dalla propaganda patriottistica in cui è facile incombere per un film del genere.

Il film parla di armi. Di ciò che costruiamo con l’intento di distruggere e di come ne facciamo uso. Quando scegliamo di costruirle, e quando scegliamo di usarle, diventiamo noi stessi l’arma. Ci trasformiamo in un algoritmo apatico con l’unico obiettivo di essere i più forti, di “evolverci” nel modo più facile e veloce possibile, ovvero attraverso la distruzione dei più deboli. Con questo film, Edwards, cerca di esortarci a distinguerci da tutto ciò sfruttando ciò che ci fa evolvere davvero, ovvero: l’empatia. Dato che anche le scimmie sanno premere un pulsante (e questo viene sottolineato grazie a due scene dalla comicità grottesca).

Una scena da The Creator

Il film, quindi, è più profondo di quello che lascia intendere la discussione molto superficiale sull’umanità della IA. Ma allo stesso tempo fa molta fatica a distinguersi dalle icone del passato. Più volte, infatti, il film fa difficoltà a uscire dalla pura e semplice citazione. E tecnicamente è impeccabile, soprattutto per quanto riguarda gli effetti speciali (curati giusto dalla Industrial Light & Magic di George Lucas, niente di che), il suono, la scenografia e il production design. Ma non è abbastanza per poter brillare in un genere così difficile e così saturo.

Il world-building di The Creator, lascia aperta la possibilità di ampliare l’universo cinematografico del film (come tutti i film fantascientifici che vanno a creare un loro immaginario), ma non scade nella marchetta tipica di franchise da cui vengono munti almeno 2 prequel e 4 serie spin-off su ogni singolo personaggio che appare (vero signor Star Wars?). Edwards, infatti, sceglie di concentrarsi solo sul suo racconto, mostrando poche ambientazioni e pochi personaggi caratterizzati molto bene. E questa è sicuramente una cosa apprezzabile, soprattutto vedendo le tendenze degli ultimi anni.

Una scena da The Creator

Quindi, tornando alla domanda iniziale. Come si può cercare di creare qualcosa di nuovo in un genere stracolmo, come quello del blockbuster fantascientifico? Questo film ha sicuramente tanta volontà di distinguersi, e si vede. Ma sfortunatamente la sola volontà non basta. Se la pellicola avesse ampliato la sua matrice di spionaggio (presente solo in piccolissime parti qua e là nel film), forse ne sarebbe venuto fuori qualcosa di nuovo e originale. Edwards (e il mondo creato con “The Creator”) ne ha indubbiamente il potenziale.

Scritto da
Gianluca Rossi

Nei momenti in cui i miei pensieri riescono ad avere un senso logico può capitare che io scriva cose.

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