Bisogna ammettere che per tanti, forse tantissimi, Call of Duty è sinonimo di tempi andati. Quando si pensa a Call of Duty vengono in mente le giornate passate a giocare con gli amici, a divertirsi nel momento d’oro della serie tra COD 4 e Black Ops 2 prima di un continuo sali-e-scendi tra esperimenti, ritorni più o meno riusciti, e altro. E Modern Warfare 3, da poco uscito, ragiona proprio in tale direzione, nel rievocare cioè nella mente del malcapitato la sensazione di nostalgia.
Malcapitato, appunto, perché questo MW3, dei precedenti giochi della serie, ha ben poco oltre le mappe. Il gameplay e il gunplay, per quanto siano stati affinati rispetto a un MW2 che voleva esageratamente puntare su un realismo che Call of Duty non ha mai avuto, sono infatti completamente differenti da quelli dell’originale Modern Warfare 3 del 2011 (rigiocato con gran piacere in estate su Xbox, rispolverando il mitico ACR in vista del nuovo gioco). Il sistema di movimento si rifà alle dannate dinamiche che Infinity Ward è stata costretta a inserire nel 2019 in vista di Warzone, quello che per alcuni è la rinascita del franchise mentre per altri è l’inizio di una parabola di videogioco sempre più elitario. Sempre più impossibile da godere, visto il tempo a disposizione – e la vecchiaia che avanza imperante. Chi scrive, purtroppo, appartiene a questa seconda categoria.
E sebbene io riconosca i pregi di questo multiplayer, che in effetti ha tutto per divertire, proprio non riesco a capacitarmi di cosa sia passato nella mente di Activision quando ha deciso di stravolgere (perché in realtà è sempre stato presente) il sistema di matchmaking di Call of Duty all’epoca di MW 2019, ancora oggi utilizzato e rimaneggiato fino a rendere l’esperienza quasi… terribile, a mio modesto modo di vedere. Solo un capriccio? Questo articolo è solo frutto di un tremendo ragequit dopo una Dominio su Terminal finita con un’altra batosta e un rapporto infimo di uccisioni/morti? Può essere. Ma che diamine, Call of Duty è il franchise più commerciale che esista al mondo, e dopo quasi 30 ore di gioco accumulate su MW3, non posso fare a meno di ribadire il concetto espresso nel titolo. Lo SBMM ha davvero rotto qualsiasi apparato riproduttore, maschile e non.
Sì, ma cos’è lo SBMM?
SBMM è un acronimo che spesso i giocatori di Call of Duty sentono pronunciare nei video dei loro streamer e influencer preferiti, senza però sapere con precisione di cosa si tratti. Ecco, a conti fatti si tratta di un sistema potenzialmente interessante ma al momento implementato, a parer nostro, nel peggiore dei modi su Call of Duty.
SBMM significa Skill Based MatchMaking, ossia un matchmaking basato sulle abilità dei singoli giocatori. Se ve lo state chiedendo, sì: nonostante alcuni portali stiano erroneamente riportando il contrario, anche MW3 implementa un sistema SBMM, che accoppia i giocatori con altri utenti, in poche parole, con lo stesso tipo di abilità. Non si tratta però solo semplicemente di abbinamento online, ma anche di andare a lavorare costantemente e in tempo reale addirittura sulle statistiche e le caratteristiche del gioco.
Gli sviluppatori di molte produzioni multiplayer, non solo Call of Duty, stanno sempre più abusando dell’SBMM per un semplice motivo: favorisce l’ingresso di nuovi utenti. Normalmente l’andamento di un gioco online è molto strutturato: si ha una crescita iniziale, si arriva a una situazione di appiattimento, e da lì la community inizia poi a separarsi, anche perché, nel caso di COD, è già tempo di pensare al successivo capitolo. L’obiettivo del SBMM è quello quindi di avere a disposizione una curva di apprendimento più adeguata e blanda, ma è davvero questo il metodo più adeguato?
Ogni partita è Italia-Germania 4-3
Proposto da Activision come il Mosè di Call of Duty, un sistema cioè che ha permesso al brand di salvarsi per essere guidato verso la terra promessa (le classifiche di vendita), lo SBMM è più una rogna che altro. È un espediente che il più delle volte manda ai pazzi, portando gli utenti a sudare sette camicie anche solo per mantenere uno score moderatamente adeguato senza il costante pensiero di “Sono scarso io, o sono forti gli altri?”. Si tratta di una funzionalità molto nobile nei suoi intenti, ma semplicemente sbagliata per essere applicata al 100% al PvP di un titolo come Call of Duty dove lo scambia-bare, specie con l’SBMM, è tornato a essere quasi una feature di gameplay.
Il fatto è che tale pensiero non viene condiviso solamente dai giocatori più “scarsi”, ai quali tranquillamente posso accordami anche io (come detto, riconosco tranquillamente che non ho più la manualità di 15 anni fa, purtroppo il tempo si fa sentire), ma anche dai più esperti, costantemente e ossessivamente costretti a dover giocare concentrati in ogni singolo istante di ogni singola partita di ogni singola sessione. Non c’è distrazione che tenga, non c’è riposo, ogni pixel può essere fatale, non c’è anche solo un tentativo di rilassarsi: ogni frazione di secondo è fondamentale. E questo, come è giusto che sia, non tutti possono permetterselo.
Call of Duty è andato con MW 2019 in cerca di un realismo, una maggiore competizione che una parte della community chiedeva da tempo. Impegno encomiabile, su questo non si può che dare ragione a Infinity Ward e a chi è venuto dopo di essa. Il problema, ancora una volta, è che così facendo COD è passato dall’essere un prodotto perfetto nelle mani di chiunque, a videogioco sparatutto che richiede tanta dedizione e preparazione, e che non perdona il minimo errore.
Ogni giocatore, dal pro player a colui che per la prima volta ha avviato il gioco, viene assegnato a utenti di pari abilità (o quasi), e questo porta i match a essere talmente equilibrati, parlando di abilità manuali, da risultare quasi frustrante vista l’impossibilità di concedersi sessioni scacciapensieri che non devono per forza terminare con schiaccianti vittorie ma che dovrebbero comunque dare la possibilità a tutti di godere della propria fetta di sano intrattenimento. Cosa che prima accadeva. E che oggi è stata clamorosamente dimenticata da Activision.
Il risultato è che ogni match è sul filo del rasoio, ogni partita diventa come Italia-Germania dell’82, uno scontro cioè nel quale perdere di vista l’avversario anche solo per un istante porta a conseguenze folli. Non parliamo poi di nerf e buff in tempo reale che riguardano componenti come l’audio di gioco, la percezione stessa dei giocatori, la potenza effettiva delle armi: tutti sistemi che Activision ha ufficializzato in brevetti che si possono facilmente reperire in rete, i quali testimoniano un sistema artificioso per spingere i giocatori a divertirsi il più possibile senza neppure contare interamente sulle proprie forze.
No, questo non può essere divertimento. Non sempre, almeno. Call of Duty è sempre stato un’altalena, una montagna russa tra risultati eccellenti e potenziali debacle, tra le quali si nascondevano poi partite ovviamente equilibrate nelle quali l’impegno richiesto era notevolmente più importante. Finito quello, ecco solitamente maggiore tranquillità. Intesa non come unicorni e arcobaleni, ma avversari sicuramente meno opprimenti tra slide, salti, zompetti, mire infallibili e soprattutto molto più variegati in ottica obiettivi – ma solo io trovo alleati totalmente incapaci di seguire direttive e strategie per Postazione?? E così ecco che mantenere il mio imbarazzante rateo di 1.00 diventa un’impresa degna di Ulisse, quando anche solo pochi anni fa si viaggiava con tranquillità su valori ben più elevati. E meno sudati, anche…
Non solo noi…
Il ragionamento a livello aziendale, va sottolineato, non è sbagliato. Lo SBMM garantisce infatti che chiunque, anche colui che acquista MW3 (in questo caso) sei mesi dopo la sua uscita, riesce a trovare un ambiente consono al suo primordiale stile di gioco, per poi successivamente essere assegnato a lobby più in linea con le sue abilità. Da lì, l’obiettivo è costantemente migliorarsi contro i propri pari… Ma davvero questo sistema può funzionare? Davvero il miglioramento può avvenire venendo sistematicamente assegnati con e contro utenti che condividono le stesse skill?
Curiosamente (l’articolo è stato redatto domenica), proprio oggi un ex Bungie di nome Max Hoberman, leader multiplayer online di Halo 2 e Halo 3, ha proprio parlato di quello che lui definisce “il fallimento del multiplayer odierno”, ossia appunto lo SBMM. Il matchmaking di Halo, così come quello di molti altri titoli, era progettato inizialmente sul modello di quello di COD (o meglio, il contrario, dato che Halo è arrivato prima… ma avete capito), ossia alternando tre tipologie di esperienze: una più pesante contro nemici molto forti, una più leggera contro nemici abbordabili, e una equilibrata.
La necessità odierna di SBMM, che appiattisce questa selezione, è secondo Hoberman la rovina del multiplayer, e azzera soprattutto il divertimento: “Il fallimento del moderno matchmaking basato sulle abilità, secondo me, è che è progettato per massimizzare questi scenari di abbinamento perfetto e minimizzare gli altri”, ha scritto su X. “Quando funziona, la maggior parte dei giochi diventa super serrata, super stressante. Questo non è divertente per la maggior parte dei giocatori. Dov’è la variabilità?”
Se siete interessati, qui potete leggere tutto l’intervento di Hoberman, che si affianca dunque a quello espresso da noi oggi.
So perfettamente che le mie considerazioni finiranno nel vuoto: questo SBMM era già stato criticato in occasione della beta e Sledgehammer Games non ha fatto nulla per cambiarlo, dunque perché dovrebbe farlo adesso? Ma forse, a conti fatti e mente fredda, forse non è lo SBMM il problema. Forse il problema siamo noi, che per oltre un decennio siamo stati abituati a una certa concezione di Call of Duty che oggi, per un motivo o per l’altro (dannato Warzone), non esiste più, e che non siamo interessati, o pronti, ad abitare in un multiplayer votato esclusivamente alla competizione ossessiva. Forse COD non è più un posto per vecchi, o per chi semplicemente cerca di divertirsi senza dover realizzare un montage 50+ kill omg con musica tunz tunz in sottofondo da caricare su TikTok. Peccato.
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