Posso dire di aver vissuto The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom nel modo migliore possibile: con tanto, tantissimo tempo libero. Era il 12 maggio 2023 quando Nintendo sganciava l’ennesima bomba atomica su Switch, l’ultima insieme a Super Mario Bros. Wonder per concludere col botto il supporto delle grandi esclusive prima di un anno, questo, ricco di esperimenti e riproposizioni. Era il 12 maggio e io, a letto da ormai un mese con il tendine d’Achille completamente sbriciolato, avevo di fronte a me almeno altre tre settimane di riposo assoluto, quasi senza neppure potermi muovere dal letto/divano. E così, partì la grande avventura.
A suo tempo non ero riuscito a godermi pienamente Breath of the Wild, o comunque non lo avevo fatto nel momento del suo massimo splendore. L’acquisto di Switch arrivò infatti alla fine del 2017, in occasione dell’uscita di Super Mario Odyssey, e solo molto dopo, in tempo di pandemia, sono riuscito a dedicare il giusto tempo all’avventura di Link che aveva cambiato il modo di intendere la serie e gli open world. Un titolo sbalorditivo, capace finalmente di esulare dalle solite regole dei soliti open world nei quali andare dal punto A al punto B, una vera rivoluzione del genere insieme a pochi altri esempi negli ultimi anni – Death Stranding, sto parlando di te.
Pensare che Tears of the Kingdom potesse avere un impatto simile era difficile, anche perché questo nuovo capitolo appariva… strano, sì. Sicuramente strano. Il focus della comunicazione pre-lancio si era concentrato ancora una volta sulla componente esplorativa, in particolare per quanto riguarda le isole fluttuanti sui cieli di Hyrule dopo l’antefatto di questa nuova storia, ma ancora non avevo ben capito dove il titolo volesse andare a parare. Col senno di poi, avevo solo male interpretato tutto quanto. Tears of the Kingdom era un more of the same, sì, se consideriamo che l’ambientazione ricalca in gran parte quella di BOTW. Ma tutto, in questo nuovo capitolo, aveva il profumo di una straordinaria avventura completamente nuova, ancora una volta capace di sbalordire.
A partire da un prologo oscuro e capace di catturare, facendo capire da subito che la storia riserva una grande importanza in questa nuova avventura, Tears of the Kingdom si apriva davanti agli occhi dei giocatori in tutto il suo splendore. Tutto sapeva di già visto, ma allo stesso tempo si restava completamente sbalorditi di fronte alle nuove meccaniche di gameplay introdotte da Nintendo.
Ultramano, la più grande invenzione di questo nuovo gioco della serie e del quale sarà difficile ora farne a meno in futuro, spaccava completamente le regole di base della fisica, dell’interazione e della mente del giocatore, portandolo a compiere acrobazie mirabolanti o trovare metodi ingegnosi per superare ostacoli o completare intere missioni. E qui, ovviamente, risiedeva e risiede ancora oggi la grandezza di TOTK.
La strada per il primo dungeon è stata lunghissima. Non in termini di mappa attraversata, ma di tempo. Tempo perso, si fa per dire, a esplorare ogni angolo di questo affascinante mondo, che proprio come BOTW lascia nelle mani del giocatore l’intero suo destino. Lo accudisce inizialmente, gli offre i primi strumenti per partire, e poi lo bastona a più riprese facendo capire che occorre prestare una grande attenzione agli elementi circostanti, agli accampamenti nemici e alle sorprese continue.
In Tears of the Kingdom è difficilissimo, quasi impossibile tirare dritti per una strada. Può sempre capitare di trovare una persona con cui parlare che, in qualche modo, porta a una quest secondaria. Oppure a una caverna da esplorare per trovare oggetti rari. O una torre topografica, la quale spesso nascondeva enigmi o subquest per essere completata. O ancora le scuderie dei cavalli, i semi di Korok, i glifi, gli accampamenti dei goblin. Persino una richiesta stupida come sistemare le Insegne in tutta Hyrule è una sfida stimolante, per capire fino a dove il gioco lascia dare sfogo alla libertà del giocatore.
E questo era ovviamente solo l’inizio. Le isole nel cielo, seppur poco sfruttate (forse è questo il più grande difetto di Tears of the Kingdom, ossia aver dato così poca rilevanza alla componente celestiale del mondo), offrivano una componente esplorativa comunque tutta nuova, anche se credo che il punto più alto di tutto questo immenso titolo sia arrivato con l’oscuro e gigantesco sottosuolo. Impossibile esplorarlo a piedi, una follia anche solo pensarlo. La sola presenza del miasma e l’assenza quasi totale di illuminazione richiedeva qualcosa di diverso. Le regole della superficie non possono andare bene qua sotto.
Così, tra miniere Zonai e magnifiche opere meccaniche, iniziava la creazione di veri e propri mezzi a quattro ruote o addirittura volanti per partire alla volta di sconosciute destinazioni, magari con un paio di semi luminosi piazzati davanti ai veicoli come se fossero dei fanali anteriori. Magnifico.
La possibilità di fondere praticamente tutto grazie a Ultramano consentiva non solo il completamento dei Sacrari in modi talmente imprevedibili da rompere il gioco, ma anche di creare veri e propri carri armati per abbattere i nemici più forti in una manciata di secondi. Davvero, amavo passare il mio tanto tempo libero anche su YouTube per capire cosa i giocatori di tutto il mondo fossero riusciti a creare. C’è chi aveva creato un elicottero, chi un robot, chi un carro armato. I miei preferiti erano le speedrun dei Gleeok, dove la community faceva a gara per abbattere i dragoni nel minor tempo possibile sfruttando costruzioni Zonai semplicemente fuori di testa.
The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, dopo un anno, è ancora un capolavoro. Per scrivere questo breve ma significativo speciale sono recentemente tornato a Hyrule per ricordare l’ultima grande avventura di Link, e con mio sommo piacere non è stato un semplice giro a vuoto. Avevo ancora qualche missione secondaria da completare tra quelle segnate nel diario, e sicuramente ne ho anche altre ancora da scoprire – se il tempo me lo permetterà prometto di farlo, magari usando la guida strategica ufficiale in caso di estremo aiuto. E tornare a Hyrule è stato bellissimo. Magico e unico, con Nintendo capace di dare una nuova svolta fantastica alla potenza che il giocatore può sprigionare. La più grande potenza, in effetti: quella della mente.
In occasione di questo speciale, torna anche utile riaprire un grande interrogativo: Tears of the Kingdom avrà DLC aggiuntivi? Aonuma in autunno aveva confermato che non c’erano piani per contenuti extra di Tears of the Kingdom, dichiarando che il team di sviluppo aveva ormai fatto tutto per questa Hyrule. Però, diamine. TOTK è un titolo da oltre 20 milioni di copie vendute, e in più Switch avrà bisogno di qualche sorpresa per la seconda metà del 2024 per tenere alta l’attenzione dei giocatori. Un ritorno di Link per una nuova missione, seppur in miniatura, è proprio da escludere?
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