Top & Flop & Meh ripercorre i principali avvenimenti del mese e i giochi pubblicati, per dare uno sguardo allo stato di salute dell’industria del gaming e alle cose che più ci hanno colpito, positivamente o anche negativamente.
Top: Kingdom Come: Deliverance 2, perfetta imperfezione
Il sequel di quello che ormai è entrato di diritto nella definizione di simulatore medievale per eccellenza è finalmente arrivato, e ci ha convinto in tutto e per tutto (quasi). Il secondo capitolo delle avventure di Henry si conferma eccellente nella sua ricostruzione storica, profonda e coinvolgente, in un titolo dalle dimensioni mastodontiche, curatissimo nei dettagli.
Non vi anticipiamo nulla (se volete di più, ecco la nostra recensione), e vi ricordiamo che sul nostro sito trovate una valanga di guide dedicate a Kingdom Come: Deliverance 2. C’è odore di GOTY? È presto per dirlo, ma sicuramente la qualità è altissima.
Flop: Call of Duty e l’IA…
Premesso che era ormai il segreto di Pulcinella, considerando che quando abbiamo visto le art di Black Ops 6 con i personaggi con 6 dita ci eravamo già insospettiti, questo mese Activision ha confermato ufficialmente che fa uso di IA per creare contenuti su Call of Duty. Quale sia la natura di questi contenuti, non ci è dato saperlo, ma la cosa che fa riflettere è che parliamo di un brand multimiliardario che macina soldi ogni secondo che passa, che monetizza anche l’aria respirata dai giocatori, e che non si fa scrupoli a lasciare a casa dipendenti nel caso in cui il conto in banca registri anche solo un -0,1%.
Il coinvolgimento dell’IA nello sviluppo dei videogiochi, così come nel cinema e nella tv, sta diventando un dilemma sempre più etico, e probabilmente ne sentiremo parlare sempre di più in futuro. In questo caso, però, siamo davvero amareggiati per la situazione in casa Activision: è davvero necessario rinunciare a qualche artista o grafico in cambio dell’IA gratuita, quando vengono venduti bundle estetici a prezzi spropositati come nel caso dell’evento delle Tartatughe Ninja? Meditiamoci su…
Meh: Days Gone Remastered e lo State of Play
Mah (e meh), lo State of Play di Sony di febbraio non è stato esagerato, ma neppure da buttare. Non è ancora chiaro cosa la gente si aspetti dagli State of Play, che non sono certo paragonabili a eventi come gli showcase – e di questo PlayStation ne ha veramente bisogno, ma è un altro discorso. Qualche bel titolo c’è stato, insieme anche alla sorpresa Saros di Housemarque, mentre è stato annunciato ufficialmente Days Gone Remastered in uscita tra non molto.
Ecco, questo è un elemento che da un certo punto di vista è quasi incomprensibile. Sony ha volutamente evitato lo sviluppo di Days Gone 2, dando a Bend Studio il compito di creare un live service (oggi cancellato), e il gioco lanciato nel 2018 non è mai stato ricordato tra i top titoli di PS4. Eppure, eccolo qui pronto a tornare con una Remastered. Perché? C’è forse l’intenzione di sondare il terreno per questo sequel da molti desiderato? Se è così, comunque non ne sentiremo parlare prima di 4 o 5 anni almeno. La spiegazione più semplice potrebbe essere che Days Gone Remastered è un tappabuchi creato in poco tempo per ovviare al problema più grande: la gestione Jim Ryan.
Sì, l’elemento più importante che è emerso dallo State of Play di questo mese è che Sony non è ancora pronta. Non è pronta a mostrare i pezzi da novanta, non è pronta a esporsi, non è pronta a ribaltare la prima metà di generazione. I danni dell’era Ryan sono forse incalcolabili, e si faranno sentire ancora per un bel po’. C’è ora il rischio ad esempio che Naughty Dog saluterà PS5 solo con Intergalactic: The Heretic Prophet, e che sentiremo parlare di The Last of Us: Parte 3 tra chissà quanti anni.
Top: Avowed funziona
Obsidian, bene. Brava. Bene. Avowed non sarà un capolavoro, ma funziona. Per chi era assetato di GDR con atmosfere simili a Skyrim ed è rimasto deluso da Dragon Age: The Veilguard, il titolo è una bella sorpresa di questo inizio 2025, come vi abbiamo raccontato nella nostra recensione:
Avowed è un GDR in tutto e per tutto, dimostrando l’estrema esperienza di Obsidian nella realizzazione di giochi di questo genere. Il titolo espande ulteriormente alcune delle questioni già esplorate in Pillars of Eternity. Ciò grazie ad un storia profonda e ben scritta che potremo influenzare direttamente sfruttando a pieno il sistema di dialoghi con gli altri NPC. Lo stesso gameplay risulta di buona fattura, anche se mancano elementi che rendono legnose alcune meccaniche. Nonostante tutto, il sistema di progressione del personaggio risulta ben bilanciato e il comparto tecnico grafico è davvero di spessore, eccezion fatta per alcuni problemi di lieve entità. Probabilmente, la scelta di creare un mondo più contenuto e suddiviso in aree di gioco si è rivelata vincente.
Noi ne siamo rimasti piacevolmente colpiti, e abbiamo anche creato una serie di guide e consigli utili per la vostra avventura. Di nuovo, brava Obsidian, e ora attendiamo con gran trepidazione The Outer Worlds 2 – anche perché Fable non lo vedremo ancora per un bel po’…
Flop: Warner Bros, un’altra che non vuole capire…
Io faccio seriamente fatica a commentare questa notizia (l’ennesima, se seguite il settore da tempo), ma siamo qui e quindi parliamone. Proprio sul finire di questo mese, Jason Schreier di Bloomberg ha raccontato del caos nel quale versa Warner Bros. Games, che ha chiuso ben tre studi di sviluppo tra cui gli autori di MuliVersus (acquisiti neanche un anno fa, grande idea col senno di poi) e Monolith Productions, autori della saga La Terra di Mezzo. Risultato: il gioco di Wonder Woman è cancellato.
Ora, tutto questo, come al solito, è frutto delle brillanti intuizioni di una schiera di dirigenti ai limiti del credibile che si inventano di tanto in tanto le mode del momento, finendo col distruggersi con le loro stesse mani. Un esempio? Basta pensare alla stessa Warner, che circa un anno fa, venendo dal clamoroso successo di Hogwarts Legacy, decise comunque che i single player avevano fatto il loro tempo e che ora bisognava pensare solo ai live service.
Risultato: nel 2024, Warner ha lanciato 3 game as a service, tutti andati male o malissimo addirittura, e a farne le spese non sono ovviamente i dirigenti che lo hanno deciso, ma i dipendenti dei vari studi. Bene così, industria del gaming. Ogni giorno sai sorprenderci.
Top: Red Dead Redemption 2 non muore mai
È incredibile: dopo tutti questi anni, dopo tutti questi giochi concorrenti, dopo tutte le decisioni di Rockstar Games che lo ha consapevolmente lasciato a marcire per dare priorità allo sviluppo di GTA 6 (e vabbé, qui li possiamo anche capire), Red Dead Redemption 2 è ancora lì tra i grandi, sempre.
Questo mese abbiamo scoperto che il kolossal western lanciato nel 2018 ha venduto la bellezza di 70 milioni di copie, continuando a piazzare unità a un ritmo impressionante – 10 milioni solo nell’ultimo anno. E la cosa ancor più impressionante, come dicevamo, è che il supporto a Red Dead Online è già finito da tempo. Sapete cosa vi dico? Me ne torno anche io a cavalcare con Arthur Morgan…
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