A cura di A. De Giorgi.
Kaaaaaang!!
No, nessuno in preda alla rabbia urla a squarciagola il nome del supercattivo alla William Shatner. Tanto nel regno quantico nessuno può sentirti urlare.
Forse.
Forse qualcuno è lì in ascolto, in attesa da tanto tempo di riuscire a cogliere anche solo una briciola (avete colto? Regno quantico… briciola … no eh… scusate) di possibilità per…
Beh, al solito niente spoiler quindi per sapere come va a finire non vi rimane che andare a vedere Ant-Man and the Wasp: Quantumania, il 31esimo film del Marvel Cinematic Universe, primo della Fase 5 e terzo con protagonista l’unico e irreprensibile Scott Lang.
A fianco dell’eterno giovane comico Paul Rudd tornano la co-protagonista Wasp/ Hope van Dyne (Evangeline Lilly), relegata per gran parte del lungometraggio a mera spalla, l’Ant-Man originale Henry “Hank” Pym (Micheal Douglas) che rivaleggia alla grande con Rudd per battute esilaranti, e la consorte Janet van Dyne (Michelle Pfeiffer), personaggio che finalmente diventa centrale per tutta la trama dopo essere stato solamente sfiorato nel capitolo precedente.
Troviamo inoltre una cresciuta Cassie Lang, interpretata questa volta da Kathryn Newton, in piena fase “ribelle”, pronta a dimostrare di essere all’altezza del padre (anche in senso letterale) e intenzionata a salvare chiunque si trovi in difficoltà. Un po’ banale forse la premessa di costruire un nuovo supereroe su queste basi, e la Newton davvero ci mette anima e corpo per poter trasporre sullo schermo un’eroina acerba ma caparbia (ovvio futuro erede della maschera del padre Scott e/o della matrigna Hope), non riuscendo però a raggiunge il balance perfetto di credibilità e ironia che invece contraddistinguono la performance di Hailee Steinfeld, aka Kate Bishop, nella miniserie Hawkeye.
Probabilmente, questo è causato anche da una scrittura a tratti confusa che porta la trama a concentrarsi troppo sul cattivo e meno sui co-protagonisti e sui personaggi secondari che in questo film sono davvero tanti. Il problema di Quantumania forse è proprio questo: c’è troppo da raccontare.
Eravamo stati infatti preparati dalla teoria di Hank Pym ad uno spazio vuoto, desolato e completamente privo di forme di vita, e invece il Regno Quantico si presenta come un universo popolato da strane forme di vita (applauso al personaggio di Veb, interpretato da David Dastmalchian che nei precedenti film di Ant-Man ha ricoperto invece il ruolo di Kurt), politici sfrontati (decisamente nella parte Bill Murray con il suo Lord Krylar) e soprattutto governato da un temibile Kang, interpretato da quel Jonathan Majors che ritroveremo sempre di più in futuro nel MCU.
Molto delle ambientazioni e dei personaggi alieni rimanda all’universo coloratissimo e a tratti folle di Guardiani della Galassia; l’impatto sui protagonisti di questo nuovo mondo invece ricorda qualcosa del terzo capitolo del dio del Tuono, Thor: Ragnarok, dove l’incapacità di comunicare e le incomprensioni tra popoli diversi scaturiscono in esilaranti situazioni assurde.
Chi ha già avuto modo di vedere la prima stagione della miniserie Loki (e ancor di più chi conosce il personaggio direttamente dai fumetti), sa benissimo che Kang rappresenta una svolta dal punto di vista dei villain nel MCU poiché non è la persona che hai di fronte ad essere la vera minaccia, ma la sua natura di conquistatore ossessivo compulsivo che è presente in ogni versione del multiverso.
Davvero apprezzabile la maestria di Majors (se non l’avete visto recuperate la miniserie Lovecraft Country dove l’attore californiano sfodera il meglio di sé) nel calarsi nella parte del viaggiatore del Multiverso che sfrutta al meglio anche la propria fisicità invidiabile (non per altro è stato scelto come controparte sul ring in Creed 3, diretto dallo stesso Micheal B. Jordan) per rendere credibile e tangibile la determinazione del suo personaggio, disposto a tutto per riuscire nel suo temibile piano, che, in fondo in fondo, così malvagio probabilmente non è.
Quantumania è quindi un buon modo per dare agli spettatori un primo, importante assaggio di Kang, mettendo purtroppo da parte una storia più ambiziosa. Si poteva osare di più, ecco. L’impressione è che Peyton Reed e i suoi avessero troppo da dire in così poco tempo, specie per “colpa” di un Multiverso lasciato troppo in disparte dal MCU nonostante il suo ruolo centrale.
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