Che ti passa per la testa? Quali sono i tuoi pensieri? Quante volte nella tua vita la tua mente è rimasta a rimuginare sulla domanda “Cosa sarebbe successo se…?”, come a cercare di capire se là fuori, da qualche parte tra le infinite timeline alternative, ne esiste una dove la nostra vita è priva di problemi? Esiste forse un altro io la cui vita ha preso una piega differente, non ha problemi con le tasse, vive una vita felice insieme alla propria famiglia?
L’idea di partenza è quella, affascinante, di un multiverso di infinite possibilità, nel quale ogni nostra singola scelta porta alla nascita di una realtà alternativa nella quale le cose sono andate in modo differente. Ma non solo le piccole cose. Esistono universi privi di vita, realtà nelle quali le persone sono degli hot-dog viventi, altre sono invece versioni parodistiche di film animati di successo, altre ancora appaiono come la solita, piatta e grigia vita che viviamo ogni giorno. Vedere la stessa persona da più prospettive, in fin dei conti, è un’esperienza magica e impossibile, per noi comuni mortali.
“Cosa sarebbe successo se…?”, dicevamo. E in effetti è proprio questa la domanda alla quale Everything Everywhere All At Once risponde, in una spirale infinita di storie che si intrecciano confluendo nella metafora della vita.
Daniel Kwan e Daniel Scheinert, in arte i Daniels, si lanciano in una sfida che in effetti non ha precedenti nella storia della narrazione cinematografica, saltellando in continuazione tra realtà e storie, lasciando talvolta lo spettatore spaesato per l’incredibile quantità di immagini, suoni, parole e rumori. Nulla a che vedere, parlando di un filone simile, con quel Doctor Strange nel Multiverso della Follia di Sam Raimi, che tanto avrebbe potuto essere e che infine si è limitato a una storia molto più trattenuta di quello che immaginavamo, sebbene ricca di sostanza “marvelliana”.
No, Everything Everywhere All At Once è diverso. Folle, assurdo, emozionante, infinito. Un crescendo incessante di sentimenti contrastanti che sprigionano la potenza del multiverso, l’espediente prescelto per parlare del e arrivare al cuore di ogni cosa in una commedia dal sapore amaro, tremendamente realistica nel suo subconscio nonostante l’assurdità del tutto.
Evelyn (Michelle Yeoh) è capace di rappresentare lo smarrimento di tutti coloro che si ritrovano di fronte a EEAAO, a partire da un primo atto che parte coi piedi per terra (ma in scarpe diverse…) e finisce sempre più in un turbine apparentemente sconclusionato per larga parte del racconto, tra colpi di scena, ribaltamenti continui e riflessioni che si sovrappongono tra realtà e realtà. L'”universo” di Evelyn, la sua famiglia, è solo una parte della sconfinata multiversalità dei mondi e delle storie vissute da ogni sua versione, tutto questo insieme al marito Waymond (Ke Huy Quan) e la figlia Joy (Stephanie Hsu). Ma sembra che la costante non sia solo Evelyn, quanto anche il suo modo di affrontare le cose, di vivere il sempre complicato rapporto con la figlia, di accettare una vita che sperava sarebbe andata in un modo differente. Come può una persona, o una moltitudine di persone, vivere se il caos è l’unica cosa certa e in divenire?
Inutile dilungarsi su tutte le sfaccettature di Everything Everywhere All At Once, film che fonda la sua particolarità proprio questa complessità di fondo, non solo narrativa. I dialoghi, i movimenti di macchina nelle perfette coreografie di combattimenti, le luci che rimbalzano di continuo sul volto dei protagonisti, la continua alternanza di versioni e realtà fuse tra loro grazie a un montaggio magistrale. Tutto, in EEAAO, grida alla genialità, anche nei piccoli ma divertentissimi riferimenti.
La cosmogenesi delle varie scelte di vita di Evelyn è resa con colori, toni e capacità tutte differenti, lasciando basiti di fronte all’impressionante lavoro di messa in scena, quasi lasciando in secondo piano una trama che parla di un immenso potere oscuro che vuole prendere il multiverso e appallottolarlo come l’impasto di un dolce. Un potere che in realtà non è la classica minaccia da cinecomic o film action, ma l’allegoria di una vita che va affrontata di petto, prima che sia troppo tardi.
Dura troppo? Ecco, questo forse è l’unica criticità che si può riscontrare, ma i Daniels a briglie sciolte si prendono tutto il tempo per raccontare ogni cosa, per mostrare quante più cose e per dare a ogni personaggio la possibilità di emergere (non è un caso che tra i produttori ci siano i fratelli Joe e Anthony “Avengers: Endgame” Russo) e dare il suo sempre prezioso contributo. Spesso in maniera apparentemente disordinata.
Ma in fin dei conti, Everything Everywhere All At Once parla proprio di disordine, ed è anche questa la sua forza. Riuscire, nel disordine, a cercare l’ordine delle cose. E il film, nel suo stile unico e già inconfondibile, lo fa alla perfezione.
Everything Everywhere All At Once è candidato a 11 premi Oscar. Ecco la lista completa.
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