La bolla è ormai scoppiata, il vaso ha traboccato, la soluzione è satura, il troppo stroppia. Insomma, ditelo con la metafora che volete, ma il discorso è uno solo: la guerra delle piattaforme streaming è conclusa, perché le grandi aziende hanno ormai capito che non ci potrà mai essere un vincitore assoluto.
Pochi giorni fa, cosa abituale per le grandi aziende in questo periodo dell’anno, Disney ha tenuto un incontro con gli investitori per parlare dell’ultimo trimestre fiscale. Da un lato gioisce, dall’altro molto meno: sono diminuite le perdite e aumentati gli utili, è vero, ma Disney+ ha registrato la perdita di 5,2 milioni di abbonati, la maggior parte dei quali da USA e Canada (600 mila) e da Disney+ Hotstar in India (4,6 milioni di addii), causati principalmente dalla perdita dei diritti della Premier League di cricket.
Certo, la piattaforma conta ancora oggi 157,8 milioni di abbonati, ma è chiaro che la curva della crescita si sia ormai appiattita. Lo dimostra non solo il caso di Disney+, ma anche quello di tante altre piattaforme streaming: Netflix ha registrato una lieve crescita di 1,75 milioni di abbonati portandosi a un totale di 232,5 milioni; HBO Max di Warner, ormai prossima a cambiare il suo nome in Max fondendosi con Discovery+, ha aggiunto 1,6 milioni di iscritti (97,6 milioni in totale); Peacock di NBC Universal sale a 22 milioni di iscritti; sfoggia invece un sorriso a trentadue denti Paramount+, che nell’ultimo trimestre aggiunge altri 4 milioni di abbonati e si porta a 60 milioni in totale, superando Apple TV+ che invece si è fermata.
Ma la situazione di tutte le major, anche di fronte a questi più o meno importanti incrementi, è quella nella quale si trova Disney, e tutte, prima o poi, dovranno fare i conti con tutto questo. In effetti, nonostante le notizie positive, Netflix ha già deciso di ridurre il budget concesso ai suoi prodotti originali, puntando forse a dare il via libera a meno show ma con più qualità; la stessa filosofia è stata imposta ai Marvel Studios, che su Disney+ speravano di trovare terreno fertile per creare infiniti prodotti e hanno invece largamente disatteso le aspettative; sempre Disney inoltre, insieme anche a Warner Bros. Discovery, ha annunciato il licenziamento di migliaia di dipendenti, che si aggiunge al taglio alla spesa per i contenuti streaming – si parla di miliardi di dollari.
Christine McCarthy, direttore finanziario di Disney, ha dichiarato nei giorni scorsi che la compagnia produrrà meno contenuti in futuro, e gli effetti si sono già visti in queste ultime settimane. La casa di Topolino ha cancellato Il Mistero dei Templari: La serie, messo in pausa a tempo indefinito Willow, e fermato la produzione di uno spin-off di Indiana Jones – e chissà quanti altri show, ai quali si aggiungono anche tutte le serie di ABC e network affiliati cancellate di recente tra cui Big Sky. E non è un caso se alcuni mesi fa una delle serie evento Marvel della piattaforma, Armor Wars, sia stata trasformata in un film per il grande schermo. Oltre a questo, anche Topolino si è dovuto arrendere, andando ad adattarsi a Max: il catalogo non sarà sempre fisso, e alcuni contenuti saranno rimossi e reimmessi ciclicamente. A farne le spese saranno ovviamente i film e le serie meno visti, coi quali l’azienda potrà risparmiare.
Complice anche e soprattutto la pandemia di Covid-19, che nel 2020 ha accelerato esponenzialmente la diffusione e la crescita delle piattaforme streaming, è ormai chiaro che queste siano già arrivate, in pochi anni, alla loro massima espansione. Vero, i numeri possono ancora crescere, ma certamente non al ritmo a cui abbiamo assistito negli scorsi 36 mesi circa. In meno di tre anni, Disney+ ha registrato un boom stratosferico, con un picco di 160 milioni di abbonati, cosa che Netflix aveva raggiunto dopo molto più tempo. Ma questa impressionante bolla è già scoppiata, e ormai la guerra si è spostata su altri settori. Il problema più grande, paradossalmente, riguarda proprio chi ha fatto dello streaming la sua fortuna.
Sì perché anche società come Paramount, la cui piattaforma è in crescita, è scesa del 28% a seguito della notizia dei tagli alle spese, e anche Disney, che migliora negli utili, registra una diminuzione significativa soprattutto in India. E se si pensa che per Netflix lo streaming è l’unica fonte di sostentamento, a differenza di tutti gli altri competitor, la situazione è molto delicata.
La notizia dei nuovi incrementi nei prezzi, tuttavia, segna un’altra svolta importante per Topolino, che Netflix ha già adottato da tempo e che presto, immaginiamo, coinvolgerà anche Max e altre piattaforme: ora che la crescita nel numero degli abbonati è ormai finita, è tempo di pensare alla crescita dei ricavi. Meno contenuti ma più ragionati, meno spese ma più oculate, e, perché no, meno abbonati ma disposti a spendere qualcosa in più. Pochi ma buoni, per citare un celebre detto. Magari quegli stessi utenti che attendono serie come Secret Invasion, Stranger Things e il reboot di Harry Potter.
L’unica strategia volta effettivamente ad aumentare il numero di abbonati è legata ai servizi a prezzo ridotto, ma infarciti di pubblicità. Lo ha fatto Netflix, lo ha fatto Disney, lo faranno anche le altre piattaforme. Amazon Prime Video, all’incirca come Apple TV+, resta per ora un caso a parte essendo un servizio che fa parte di una moltitudine di servizi, anche se l’azienda di Bezos ha già detto di essere pronta a far approdare i suoi Originals più apprezzati su altre piattaforme. Ma la pubblicità, in tal senso, è ormai vista da anni dai fruitori di streaming come un elemento del passato, e in pochi sono disposti a tornare indietro. E come dar loro torto; la stessa Netflix si è da sempre proposta come l’unico baluardo senza ad. Ma i soldi fanno gola a tutti.
Le aziende stanno quindi cambiando, e non è assurdo pensare che la pandemia abbia accelerato anche questo cambiamento. E questo, prima o poi, sarebbe accaduto: gli abitanti del pianeta Terra non sono infiniti, ed era ovvio che la crescita si sarebbe fisiologicamente arrestata. Forse sarebbe accaduto nel 2027 o 2028, senza la pandemia, ma sarebbe comunque accaduto.
Allora, che si fa? Si va in cerca di maggiore qualità e meno (spesso dannosa) quantità, arrivando a puntare sempre di più su franchise enormi. In questo senso, Netflix è quella che rischia di più, non avendo nomi come Star Wars, Harry Potter, Marvel e DC. Ma la crescita potrebbe arrivare in altri modi, e, ancora una volta, Netflix potrebbe essere stata un precursore.
Il colosso di Los Gatos è ormai entrato da tempo nel settore dei videogiochi, grazie a partnership commerciali con Ubisoft e altri editori, e l’impressione è che le cose si faranno sempre più serie in futuro. Zack Snyder ha dichiarato che sta collaborando con Netflix per lo sviluppo di un gioco di ruolo AAA dedicato a Rebel Moon, il suo prossimo film per la piattaforma. Amazon Games è una realtà da diversi anni, e dopo una partenza molto discutibile sta trovando una quadratura del cerchio – l’esempio di Tomb Raider 4 di Crystal Dynamics ne è il caso, con il gigante delle spedizioni pronto a creare intorno a esso un universo condiviso con film e serie.
L’idea di espandersi nei videogiochi, a quanto pare, sta attirando sempre più major. Comcast, proprietaria di Universal, lo scorso anno ha pensato seriamente di acquisire Electronic Arts; Ubisoft sta disperatamente cercando aziende interessate, e a Hollywood c’è chi potrebbe fare qualche offerta, forse proprio Netflix; anche Activision, la cui fusione con Microsoft è a rischio dopo la decisione della CMA, potrebbe rientrare nell’orbita di qualche big del cinema, magari quella Warner Bros. che sembrava a un certo punto non credere più nel suo settore videoludico e che oggi invece ha rilanciato la divisione con numerosi progetti come Hogwarts Legacy e Suicide Squad: Kill the Justice League. Si tratterebbe di un percorso simile a quello fatto a suo tempo da Sony, la quale, zitta zitta, si è risparmiata la creazione di una sua piattaforma proprietaria per lo streaming e si è invece accordata con le altre major per contenere i costi e fare contenti tutti.
CNBC regala un’ipotesi forse assurda, ma neanche troppo: e se Disney, anch’essa da anni tornata a puntare sul mercato dei videogiochi, acquisisse Epic Games e l’intero Fortnite, costruendo intorno o grazie a esso un gigantesco universo interattivo per i suoi franchise? Un’idea che, in maniera approssimativa, era già stata fatta a suo tempo con giochi come Disney Infinity, o anche LEGO Dimensions nel caso di Warner. E se il futuro dello streaming, inteso come successo dei propri prodotti e costruzione di una solida base di iscritti, passasse anche da queste operazioni?
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