Aah, Guillermo del Toro. Un personaggio eclettico, un regista dall’impronta riconoscibile, amante delle crude favole gotiche (pensiamo al Premio Oscar La Forma dell’Acqua, o a Il Labirinto del Fauno o ancora a Crimson Peak). Molti appassionati di videogames non potranno dimenticare la sua apparizione in Death Stranding nei panni di Deadman.
La sua ultima fatica si intitola Nightmare Alley, tradotto in italiano La Fiera delle Illusioni, in arrivo nelle sale il 27 gennaio. Abbiamo avuto il piacere di gustarci il film in anteprima.
Ecco quindi il nostro onesto parere, in una recensione ovviamente priva di spoiler.
Cosa trasforma gli uomini in bestie?
La locandina di Nightmare Alley – La Fiera delle Illusioni vede riportati sullo sfondo i vizi capitali che tutti ben conosciamo. Queste demoniache caratteristiche fanno parte del protagonista Stanton Carlisle (Bradley Cooper), un uomo apparentemente innocuo che viene assunto per dei lavoretti di manovalanza in una fiera, una sorta di luna park animato da personaggi grotteschi (come il mostruoso “Uomo-Bestia”) e abili truffatori.
Stanton si ambienta subito tra questi reietti, trovando terreno fertile per le sue ambizioni e i suoi sogni di gloria: imparando da chi lo circonda, aiutato da un aspetto attraente e da modi falsamente gentili, riesce ben presto a farsi strada nel mondo del mentalismo. Stanton è abile nel “leggere” le persone e nel manipolarle per fargli credere ciò che vuole: ha un animo da profiler, riesce così a far leva sui desideri più reconditi delle persone e sui loro traumi per elevarsi dalla massa e spacciare per veri i propri poteri di sensitivo.
Sì, avete capito bene. Il protagonista della storia raccontata da Guillermo Del Toro (e tratta dal romanzo di William Lindsay Gresham) è, di fatto, il villain dell’intera faccenda. Stanton è un uomo corrotto dalla propria avidità, un manipolatore che farebbe qualsiasi cosa per i soldi.
Attorno a lui ruota una giostra di personaggi più o meno a fuoco. In particolare, Stanton rimarrà invischiato in due relazioni parallele con due donne altrettanto agli antipodi: Molly (Rooney Mara), che fa parte delle attrazioni del luna park, e Lilith Ritter (Cate Blanchett), una ricca psicologa di New York.
La situazione si complica quando il truffatore sale la scala sociale, puntando a prede sempre più pericolose.
Un film affascinante, ma non del tutto riuscito
Nightmare Alley – La Fiera delle Illusioni ha una interessante struttura narrativa circolare, che però non soddisfa per tutta la durata del film, lasciando troppo spazio ai momenti morti. La prima metà del film, quella prettamente dedicata alla fiera, è purtroppo la meno riuscita. Prolissa, sa di già visto e patisce un’ambientazione fin troppo sfruttata nel cinema più recente (vedi, ad esempio, Freaks Out di Gabriele Mainetti).
Il film decolla davvero nella sua seconda metà, con l’arrivo del protagonista ai piani alti dell’elitè newyorkese. Inutile far notare che questo cambio di scenario corrisponde anche all’introduzione di Cate Blanchett nei panni della psicologa Ritter, di sicuro il personaggio più intrigante dell’intera vicenda.
Ambientato negli anni Quaranta, il film ha una fotografia e dei personaggi che prendono a piene mani dal genere noir. La Ritter è, in questo caso, l’indispensabile femme fatale: la sua mancanza si fa decisamente sentire nella prima parte di Nightmare Alley. Difficile non notare la somiglianza tra il suo personaggio e l’iconica Dottoressa Bedelia Du Maurier nella serie TV Hannibal, interpretata da Gillian Anderson.
Peccato invece per alcuni personaggi secondari (come ad esempio la chiaroveggente Zeena, interpretata da Toni Collette), che non hanno abbastanza spazio per esprimersi e vengono presto abbandonati e dimenticati nel corso delle due ore e mezza di pellicola.
Il ritmo del film aumenta vertiginosamente durante le battute finali, accompagnando la rovinosa discesa agli inferi del protagonista. Nightmare Alley – La Fiera delle Illusioni si mostra quindi per ciò che è: un film affascinante e intrigante che però non riesce a convincere dall’inizio alla fine. Si tratta di una vera chicca dal punto di vista della fotografia spiccatamente noir e dei personaggi “hard-boiled”, peccato per un ritmo non sempre efficace e per il potenziale sprecato di alcuni personaggi. Troppa carne al fuoco.
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