Alla fine, dopo Mulan, è stato Raya e l’ultimo drago il “sacrificato di lusso” della line-up di inizio 2021 per gli studi Disney, sradicato dalla sala e proposto con Accesso VIP sulla piattaforma streaming dell’azienda. Una scelta inevitabile, purtroppo. Gli studi animati sfornano lavoro in continuazione, anche in regime di smartworking – basti pensare a Pixar che sta ultimando Luca e si prepara a lanciare la sua prima serie animata, Monsters at Work, a luglio su Disney+ -, e la chiusura dei cinema impone alle grandi major di trovare vie alternative per la distribuzione dei film.
Nell’era dello streaming, Disney+ è uscita forse nel momento migliore possibile per la Casa di Topolino. In questo periodo storico così delicato, le persone sono costrette a restare lontane l’una dall’altra, a isolarsi, pur cercando di restare in contatto tramite mezzi vari per rispondere a quell’innato bisogno dell’essere umano di aggregarsi in gruppi coesi e forti.
In questo senso, quasi per un curioso caso del destino, Raya e l’ultimo drago racconta di un mondo paradossalmente molto simile a quello che stiamo vivendo oggi. Il più recente Classico Disney, disponibile da pochi giorni su Disney+, ci porta in terre lontane, ispirate dalle antiche arti e culture del sud-est asiatico – a tal proposito, la cura e il dettaglio di queste ambientazioni sono spettacolari – e in cui leggenda, magia e realtà sono fuse in un tutt’uno. Tra draghi, gemme luminose e oscurità, c’è molto di più di una semplice avventura in compagnia della giovane e coraggiosa Raya.
È interessante notare una certa somiglianza a quei temi che negli ultimi tempi sono stati oggetto di grandi opere di intrattenimento, basti citare il Death Stranding di Hideo Kojima che ne fece il cuore pulsante dell’esperienza ludica, ma anche quel male che ha afflitto il mondo nell’ultimo anno. Raya e l’ultimo drago è la storia di una giovane avventuriera, appunto Raya, impegnata a trovare il drago Sisu e a forgiare nuovamente la Gemma Drago, unica difesa del mondo contro gli spiriti oscuri Druun. Perché anche in queste magiche terre, proprio come nel nostro mondo reale, le persone hanno smesso di fidarsi l’una dell’altra. Le tribù, un tempo sotto l’unica grande bandiera, sono ormai distanti nello spazio e nelle idee. L’egoismo e la ricerca del potere di salvare solo ed esclusivamente le persone a cui si tiene sono le forze dominanti, in un regno che, dopo l’avventata scelta della giovane e ingenua Raya, si sgretola pochi minuti dopo l’inizio per fare un salto temporale in avanti e presentarci il vero svolgimento dell’avventura.
È vero, Raya e l’ultimo drago non è certo un film perfetto e indimenticabile. Non è da escludere che la pandemia abbia provocato alcuni spiacevoli effetti collaterali alla produzione, ma per ora non lo sappiamo. Il lungometraggio diretto da Don Hall e Carlos Lopez Estrada pecca di ritmo, accelerando bruscamente in certi frangenti e mostrandoci solo da lontano o per pochi minuti paesaggi e villaggi sontuosi che ci sarebbe piaciuto vedere più da vicino. È anche vero, però, che Raya e l’ultimo drago pone la sua attenzione sulle emozioni, sulle persone che fanno parte della sua avvincente storia. Siano esse ragazze, bambini, bruti del nord o draghi leggendari capaci di incredibili poteri, ognuno, chi in maggior proporzione chi in piccolo, ha il suo peso su un racconto della famiglia e della ricerca, dell’unione e del bisogno di unione.
Nel mezzo di una storia già vista più volte, Raya and the Last Dragon riesce a emergere grazie alle sue trovate, alle risate ben dosate, all’arte del mondo, ai personaggi ricchi di sfumature e funzionali alla narrazione. Un peccato, dicevamo, che il film non si sia preso un po’ di tempo in più per raccontarsi e raccontare del suo, almeno nell’aspetto, splendido mondo. Ma forse è anche questo un effetto collaterale dell’oscurità, della solitudine e della distanza, proprio come nel mondo reale: restiamo fin troppo concentrati su noi stessi, senza fermarci e pensare a cosa abbiamo e a come possiamo migliorarlo. A partire dai rapporti umani.
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