Se c’è una cosa che non manca a Zero è la voglia di stupire. Nella sua fragilità e timidezza, il protagonista dell’omonima serie TV di Netflix tutta italiana, disponibile dal 21 aprile sulla piattaforma, rispecchia in buona parte lo spirito del prodotto finale, nonostante una non indifferente dose di difetti specchio però dell’estrema giovinezza del progetto – e dei protagonisti.
Zero segue la storia di Omar (Giuseppe Dave Seke), giovane di colore di Milano che si guadagna da vivere facendo il ragazzo delle consegne e che ha un sogno, quello di diventare un’artista all’estero per coronare la sua passione di scrivere e disegnare manga. Come parte di quel sottomondo col quale le grandi città devono sempre avere a che fare, un ghetto, per così dire, fatto di pregiudizi e discriminazioni, Omar è esattamente come tutti i suoi coetanei e vicini del quartiere: invisibile ai più, colpevole quando serve. L’invisibilità di Omar è però più che figurata, rispetto a quella degli altri ragazzi che diventeranno presto parte della sua (piccola) schiera di amici. Il ragazzo è infatti sorprendentemente in grado di diventare davvero invisibile, e questo attirerà l’interesse, chi nel giusto e chi nel torto, di molte altre persone tra la Milano del rione e quella che conta, quella dei ricchi e dei soldi, quella degli affari non sempre alla luce del Sole.
La serie, basata sul romanzo Non ho mai avuto la mia età di A.D. Distefano, racconta in una manciata di episodi dalla durata tradizionalmente da sitcom – cosa che Zero non è in alcun modo – di come la vita di Omar venga stravolta in pochi giorni, e di come, superando paure ed emozioni, un semplice ragazzo come sempre vittima di pregiudizi riesca a far emergere da se stesso tutto il suo potenziale. L’amore, la paura, i forti legami che si vengono a creare nel corso degli eventi, tutti sentimenti che vengono scatenati ancora una volta dalla discriminazione che la comunità deve subire, non senza però fare i conti anche con altre minacce del sottobosco milanese tra malavita e crimine organizzato.
Un tema usato e logoro, apparentemente, nel quale confluisce però anche una sana dose supereroistica che conferisce una maggior leggerezza e carisma al prodotto. Nonostante alcuni personaggi decisamente sopra le righe, figli forse dell’impostazione decisa per la serie – preparatevi a sentire bro, zio, bella per una buona metà di ogni episodio -, Zero raccoglie temi più vasti della semplice visione del razzismo, e anzi le chiavi di lettura sono molteplici. Per essere un prodotto estremamente giovane, al pari dei suoi protagonisti e principali interpreti, Zero rappresenta finalmente un punto di svolta importante per le serie italiane di Netflix, di cui ormai ci siamo già dimenticati di (enormi) passi falsi come Luna Nera e Curon.
Non mancano situazioni al limite, personaggi stereotipati ormai in tutte le salse, così come anche risvolti di sceneggiatura poco comprensibili e che sembrano realizzati ad hoc per poter mandare avanti una narrazione che si sarebbe altrimenti stagnata, ma vogliamo essere clementi, per una volta (non sarà un’abitudine), con una produzione tutto sommato coraggiosa e nuova per il nostro paese. Il finale di Zero lascia aperte alcune porte per il futuro, e non nascondiamo che la serie ha fatto nascere in noi una certa voglia di sapere come tutto ciò potrebbe proseguire. Stavolta, magari, concedendo meno ingenuità e facendo maggiormente emergere le qualità del cast.
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