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Marvel’s The Punisher – La recensione della nuova serie Netflix

Il connubio Marvel/Netflix probabilmente non prevedeva all’inizio la produzione di una serie TV su Frank Castle. Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage e Iron Fist, con il crossover finale Defenders a concludere l’arco narrativo del progetto. E invece l’incredibile successo di alcune di queste serie, su tutte quella dedicata al Diavolo di Hell’s Kitchen, ha portato ad una rivisitazione del piano, che ha visto l’inserimento di nuove stagioni forse impreviste e nuove produzioni da zero. Co-protagonista delle vicende di Matt Murdock in Daredevil, il Punitore interpretato da John Bernthal si è meritato una serie tutta sua, che ha debuttato ovviamente su Netflix pochi giorni fa. Con tutta la sua rabbia, la sua ferocia e il suo istinto militare innato, The Punisher prosegue il suo cammino nella vendetta che aveva iniziato proprio lo scorso anno, finendo con lo scontrarsi con Daredevil.

Lo sfondo delle vicende di Marvel’s The Punisher è ancora una volta New York, ma questa non condivide in alcun modo le tonalità accese di Spider-Man: Homecoming o The Avengers. Le atmosfere sono quelle cupe dei quartieri più malfamati, con i quali la polizia locale ha a che fare tutti i giorni, quelle insomma che più si addicono ad un uomo completamente privo di poteri ma nel quale alberga un senso di vendetta inarrestabile, che lo porta a scontrarsi con figure di spicco delle alte sfere e a fare i conti con il dilagante fenomeno della corruzione, che ormai ha raggiunto livelli inimmaginabili e insospettabili. C’è tanto di Daredevil, nella prima stagione di The Punisher, così come anche alcuni dei temi narrativi trattati in Luke Cage, e questo potrebbe spaventare chi è alla ricerca di qualcosa di diverso dagli show poco fa citati. Il punto di forza delle serie Marvel/Netflix non è però tanto quello di riuscire a raccontare una storia originale e sempre sul pezzo (questo compito viene già assolto da Agents of SHIELD, per restare in tema di UCM), ma quello di COME questa viene raccontata, sulla base di una componente principale: il protagonista. Frank Castle è un duro, lo sapevamo già, e questo ci viene confermato dai drammatici flashback che si alternano alla timeline presente facendo luce sulla triste vicenda di quello che oggi il mondo conosce come Punitore. Un uomo tutto d’un pezzo, con un codice etico ben preciso ma che non disdegna l’omicidio nudo e crudo per porre fine all’ingiustizia.

Così come nei fumetti, è questo che funziona di Frank Castle e che lo differenzia dagli altri eroi e anti-eroi. La totale noncuranza per sè stesso e per la vita di coloro che hanno fatto del male, che non meritano alcuna pietà di fronte al giustiziere. Una crociata personale, quella di Frank, che porta alla ulteriore maturazione della sua figura di Punitore, consolidando la sua preoccupante presenza tra le strade della Grande Mela grazie ai suoi compagni di supporto. Ad esempio Micro (Ebon Moss-Bachrach), abile hacker informatico capace persino di sfruttare lo stesso Frank, con una storia tormentata e una famiglia da ritrovare. O ancora Karen Page (Deborah Ann Woll), una vecchia conoscenza, che già aveva aiutato Castle in passato a nascondersi dalla giustizia e a ricominciare una nuova vita, che però durerà ben poco. L’entrata in scena di questi elementi dà davvero il via alla narrazione della serie, che parte con il freno a mano tirato ma che si sa risollevare dal quarto/quinto episodio, entrando nel vivo della storia. Lo stesso freno a mano che mostra Bernthal nei primi minuti del primo episodio. Distaccato, pensieroso, non è il Punitore che conosciamo e del quale abbiamo imparato ad amare ed odiare luci e ombre. Ma non fatevi trarre in inganno. La rabbia è ancora tutta dentro di lui, e sinceramente ancora ora, al termine della prima stagione, fatico a capire come Frank abbia resistito così tanto in quello stato considerando appunto la sua indole.

I 13 episodi che compongono la stagione scorrono via lisci, lasciando però l’impressione in alcuni tratti di una brodaglia che è stata allungata in almeno un paio di occasioni per poter raggiungere la cifra finale. Fortuna vuole che la presenza scenica di Bernthal, attore capace di farsi amare per la sua innata capacità di risultare odioso sin dal primo impatto, sia imponente. Ogni volta che il Punitore entra in scena siamo sicuri che sarà per dare il meglio di sè, che sia per un dialogo all’apparenza innocuo e senza secondi fini o per una nuova puntata della sua Operazione Vendetta, a macchiare di sangue le strade di New York. Possiamo non essere d’accordo sull’etica, in effetti molto discutibile, di un personaggio come Frank Castle. Ma la sua figura, in una serie TV che deve tenere sempre viva l’attenzione dello spettatore, la fa alla grande. E anche nelle sue interazioni con i vari Billy Russo (Ben Barnes), Dinah Madani (Amber  Rose Revah) e Rawlins (Paul Schulze), è sempre Frank a dare l’impressione migliore, finendo addirittura con l’oscurare l’interesse per le trame di minor rilievo dei personaggi secondari piazzate attorno alla storyline principale.

Dopo gli scivoloni di Iron Fist e Defenders, The Punisher ristabilisce la retta via dell’universo telesivo Netflix e Marvel. Una prima stagione (o forse unica, chissà) ricca di azione, di intrighi, di dramma, e della solita oscurità tanto amata all’anti-eroe di casa Marvel per eccellenza. La violenza di Frank Castle, forse la migliore sorpresa di Daredevil S2, ha saputo conquistarci, forse anche per la sua totale estraneità ai fatti della Mano e dei Difensori. Con i supereroi, il Punitore ha ben poco da spartire. Lui ha solamente bisogno di un’arma e di un piano, per darsi alla pazza gioia.

Scritto da
Andrea "Geo" Peroni

Entra a contatto con uno strano oggetto chiamato "videogioco" alla tenera età di 5 anni, e da lì in poi la sua mente sarà focalizzata per sempre sul mondo videoludico. Fan sfegatato della serie Kingdom Hearts e della Marvel Comics, che mi divertono fin da bambino. Cacciatore di Trofei DOP.

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