Vi sono nomi che anche un mancato cinefilo conosce, che sia per mera cultura personale o per uno sviluppato fandom popolare non importa, la fama ma in specie lo stile di alcuni registi è noto a tutti: tra questi Tim Burton non è solo un chiaro esempio ma anche un emblema, simbolo di un contesto “noir” ed oscuro divenuto ormai sua firma.
Non è la prima volta che questo autore proponga qualcosa di diverso, distante parzialmente dalla sua linea stilistica, vedesi “Big Fish“, traendone un grande successo al botteghino e non; ed il 2015 pare aprirsi con un nuovo esperimento che prende il nome di “Big Eyes”, ironica similitudine nel titolo, ma che sembra non essere destinato ai medesimi allori.
La pellicola è biografica, scandendo gli attimi più intensi ed importanti dell’autrice Keane, vittima di abusi del marito il quale, sfruttando il talento della moglie spacciandolo per proprio, riuscì a creare un impero artistico di grande valore. L’opera per quanto interessante però non si discosta dalla continua ripetizione mondana attraverso una narrazione lineare e decisamente poco frizzante, sin a trovare la tanto agognata tensione solo nell’ultima porzione di film, non abbastanza dal creare quella forte appetibilità tipica dei lavori del regista.
La recitazione è distinta, abile con un cast da oscar come Waltz e la Adams, il primo conosciuto tra le prime scelte del noto Tarantino, la seconda per opere talvolta meno importanti ma non certo di livello inferiore; la fotografia è altalenante, ma nel momento in cui risulti ben concitata diviene strepitosa, fortemente artistica, quasi metaforica, specie nei primi minuti del film. Nel complesso “Big Eyes” si trasforma in un’opera piuttosto comune tra quelle di Burton, sufficiente nei suoi contenuti ma nulla più, fortunatamente nessun fallimento del regista come fu per Dark Shadow.
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