Difficile scrivere qualcosa che non sappia di già letto, qua e là nella rete; come dovrebbe sempre essere, mi limiterò a dire la mia.
Credo sia profondamente sbagliato giudicare un film per la sua aderenza alla scienza o per la somiglianza a pellicole precedenti: come si può pensare di farlo, portando su una pellicola concetti che trascendono le 3 dimensioni? E cosa può fregarcene se Interstellar è affollato di suggestioni da 2001.. e Solaris? E Contact? C’era persino McConaughey in quel film…
E proprio il Matthew è paradigma della pellicola, con un’interpretazione magistrale, capace di emozionare, spaziando da gioia a shock a disperazione in un paio di frame. E con esso, ci ha emozionato anche il film, complici le sequenze magnifiche da vedere – nessuno schermo sarà abbastanza grande – e un montaggio sonoro di livello altissimo, che vi lancerà nello spazio più profondo insieme alla vostra poltrona.
Il contraltare? Alcuni dialoghi poco riusciti, buona parte del cast “moscia” rispetto il protagonista; le solite chiuse affrettate a “la Nolan” per far tornare la sceneggiatura, e un finale a dir poco disneyano.
Ma tutto questo è davvero secondario di fronte a un fatto inconfutabile: ho amato essere in sala, e a restare a tratti basito dallo spettacolo che ho visto, dal monumento alla nostra umanità, che ci porta alle mani anche nella galassia più remota, ma che non ci permette di dire basta, neanche di fronte alla morte.
E non ci sono tecnicismi che tengano, davanti a questo.
Se davvero non lo avete ancora fatto, trovate la sala più grande e con meno esseri umani possibili, non ve ne pentirete.
Parere lampo di Robert Wayne Show
Articolo a cura di Fabio Gabbanelli
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