Nel corso della storia, in specie valutando l’ultima porzione moderna di cinematografia contemporanea, vi sono state molte saghe smembrate dal loro contesto originario, fumettistico e video-ludico, con sia ottimi che pessimi risultati.
A differenza d’una opera unica non originale, le serie di film trovano nel loro tallone d’Achille la varietà stilistica, del cast ma soprattutto del comparto di sceneggiatura e registico, originando in tal modo un’instabilità decisamente visibile quanto criticabile anche da uno spettatore medio.
Ed è anche da ciò che si genera uno degli atteggiamenti meno onorevoli delle produzioni: la superficialità dei contenuti in relazione a basse aspettative da parte di un pubblico definibile “poco serio” o fandom pignoli eccessivamente prevenuti, ma mai di più sbagliato allacciarsi a questa linea di pensiero.
La testata X-Men firmata Marvel Comics apparsa per la prima volta nel 1963 ha subito notevoli cambiamenti, sia a riguardo di personaggi che di trama, almeno tanto quanto nella loro trasposizione cinematografica: fattore da considerare enormemente visto il continuo cambio di regia, ma che in tal caso, con “X-Men: Giorni Di Un Futuro Passato”, torna alla luce ed alla ribalta con il veterano Bryan Singer, autore dei primi due capitoli, da molti considerati i migliori sia a livello di scelta stilistica, introspettiva che fotografica.
Nel complesso questo parere univoco e popolare trova le sue forti radici con un risultato decisamente apprezzabile; una linea di trama netta e pulita seppur toccata da balzi temporali e connessioni con i precedenti lavori, una valutazione e cura dei personaggi decisamente più sviluppata, una comicità sottile a tratti lievemente fuori posto ma accuratamente inglobata al contesto, dialoghi nella media ma decisi ad enfatizzare le qualità dei protagonisti ed i loro intenti. Cos’è dunque che segna “X-Men: Giorni Di Un Futuro Passato” così ferocemente ai primi posti nel rispetto dei propri lavori gemelli? A mio modesto parere la scelta ben saggia di creare spazi e misure per ogni personaggio, molti definiti dall’affetto costituito precedentemente sia a livello fumettistico che filmico, tale che l’opera si integri ottimamente nella sua durata senza risultare soffocante ed opprimente, come fosse compressa, bensì libera di lasciare respirare lo spettatore ma al contempo renderlo conscio dei vari accadimenti.
L’introduzione del Trickster Quicksilver agli albori della propria giovinezza ritaglia con specifica mira non solo una possibilità di Spin-Off ma anche un’introduzione veloce ed accurata del personaggio stesso, scandendo il proprio ritmo con una scena dedicata dalla fotografia assolutamente calzante e gradevole alla vista, accompagnata da ironia e musicalità. Se inizialmente la saga di questi fantastici eroi, padroni della gioventù di molti uomini, pareva proprio destinarsi all’eclissi, Bryan Singer come padre del proprio operato rilancia con forza i suoi contenuti, recando una speranza concreta che i nostri beniamini dai variopinti poteri forse potranno sfruttare in futuro, generando così un’era di più grandi aspettative.
Scrivi un commento