Scrivere di Kingdom Hearts è sempre affascinante. Non solo perché si tratta della serie videoludica preferita di chi sta scrivendo queste righe, che ormai dal lontanissimo 2002 viene accompagnato dal progredire degli avvenimenti narrati e che ancora oggi non sono giunti ad una conclusione. Ma anche perché Kingdom Hearts rappresenta, nel bene e nel male, una delle esperienze di intrattenimento più strampalate, riuscite e complicate (a livello narrativo, soprattutto) che abbiano mai calcato l’onda del successo nella storia dei videogiochi. Partita con il botto, gli ultimi anni di questa serie sono stati abbastanza dominati dall’oscurità, tra un terzo capitolo che non accenna ad arrivare (caro Nomura, ce la facciamo per il 2017?) e una strategia gestionale del franchise a dir poco suicida, con 8 giochi canonici all’attivo sparsi su ben 7 piattaforme. Fortunatamente, vista l’incombenza del terzo capitolo. Square-Enix ha avviato negli ultimi anni una saggia politica di rimasterizzazione di tutti i titoli, riuniti in un’unica piattaforma in modo da fornire al giocatore tutto quello che c’è da sapere per prepararsi alla battaglia finale. A gennaio, questa immensa opera di rimasterizzazioni si concluderà, con l’uscita di Kingdom Hearts HD 2.8: Final Chapter Prologue (alla quale a marzo seguirà l’uscita delle remastered 1.5 e 2.5 su PS4), e dunque abbiamo deciso di approfittare dell’occasione per rivivere in un lungo excursus storico tutte le vicissitudini della serie. Sedetevi, dunque, prendete un buon thè caldo, e prepariamoci a questo lungo viaggio che si comporrà di tre appuntamenti. Diamo il via alle danze.
IL PRESCELTO
La nascita di Kingdom Hearts è una storia molto curiosa. Shinji Hashimoto e Hironobu Sakaguchi, le due menti dietro all’intero franchise di Final Fantasy, erano grandi fan di Super Mario 64. Il platform 3D di Nintendo aveva rivoluzionato completamente il concetto di gioco in tre dimensioni, uno standard qualitativo che ancora al giorno d’oggi molti giochi non riescono a raggiungere. Hashimoto e Sakaguchi iniziarono, proprio riferendosi a Super Mario 64, a pensare ad un videogioco in tre dimensioni con meccaniche simili ma che avesse al suo interno solamente personaggi Disney. Il perché, è presto detto: Mario godeva di una popolarità sconfinata nel mondo dei videogiochi, e a detta loro solamente i personaggi in mano a Disney possedevano una fanbase simile. Un terzo individuo, in quella conversazione, stava ascoltando in modo molto interessato: era Tetsuya Nomura, che già dal 1991 lavorava in Square-Enix (all’epoca conosciuta ancora come Squaresoft, prima della fusione con Enix) contribuendo alla realizzazione di alcuni titoli (su tutti, Final Fantasy IV, V e VI, e anche Super Mario RPG: Legend of the Seven Star) e che dunque godeva già di una certa importanza nell’azienda. Nomura si disse molto interessato all’idea dei due papà di Final Fantasy, e gli venne assegnato l’arduo compito di creare un videogioco così come era stato pensato. Da lì in poi, la storia la conosciamo tutti: Squaresoft si accordò con Disney, e dopo mesi di idee, sviluppo e anche contrasti (inizialmente la Disney non voleva un personaggio originale come protagonista della serie), nel 2002 arriva Kingdom Hearts. Il primo, di una lunghissima serie.
Sora, Kairi e Riku sono tre ragazzi, abitanti delle Isole del Destino, che hanno un solo, grande sogno: lasciare questo pianeta e visitare tutti i mondi che si trovano nell’universo. Le antiche leggende, così come i racconti popolari delle Isole, parlano spesso di abitanti che sono riusciti, in tempi addietro, a lasciare la loro casa e intraprendere un viaggio nello Spazio. Il più determinato dei tre è sicuramente Riku, giovane forte e robusto con una forte personalità, che si ritrova spesso ad entrare in competizione con il suo migliore amico, Sora, vittima di alcuni strani sogni che includono voci misteriose, esseri oscuri e luoghi fuori dal tempo e dallo spazio. Un tranquillissimo inizio viene però rotto da apparizioni misteriose, come quella di una figura incappucciata che si dichiara interessata ad una enigmatica porta conservata all’interno dell’isola, questo fino a quando, una notte, l’intero mondo viene attaccato. Gli Heartless, esseri oscuri che divorano i cuori delle persone e dei mondi stessi, sono arrivati al Cuore delle Isole del Destino, e si stanno apprestando ad inglobarlo. Sora, a questo punto, scopre il suo vero destino: essere il prescelto del Keyblade, una mitologica arma in grado di contrastare l’oscurità e i cui ultimi custodi sono ormai scomparsi da tempo.
Da questo punto, inizia la più grande delle avventure che Sora avrebbe mai potuto immaginare. Il prescelto non riesce a impedire la distruzione del suo mondo, e si ritrova catapultato nella Città di Mezzo, luogo nel quale gli abitanti dei mondi distrutti si riuniscono. Tra questi, iniziamo già a trovare delle vere e proprie icone dei lungometraggi Disney, come Pongo e Peggy da La carica dei 101, Qui, Quo e Qua, ma anche qualche celebre personaggio della serie Final Fantasy, su tutti Yuffie, Leon, Cid e Aerith. Personaggi senza una casa, ormai annientata dagli Heartless tempo addietro, ma tutti loro stanno cercando una persona: il custode della Chiave capace di liberare i mondi. Sora, insomma. Insieme ai suoi compagni di avventura Paperino e Pippo, scelti in persona dallo scomparso Re Topolino per guidare il prescelto, Sora intraprende un viaggio che cambierà per sempre non solo la sua vita, ma anche l’intero universo.
Kingdom Hearts ci viene presentato come un semplicissimo action JRPG, con pochi comandi su cui fare affidamento ma con tante variabili da tenere in considerazione, come i vari Limite che impareremo nel corso della storia, le magie, e anche le Invocazioni, che comprendono vari personaggi Disney come Genio (Aladdin), Peter Pan, Bambi, Simba. A questi si aggiungono i party di tre personaggi modificabili a seconda dell’ambientazione che visiteremo. La narrazione procederà con tanti colpi di scena, esplorando le colorate lande di tanti conosciuti mondi targati Disney e rivivendo, con l’adeguamento giusto per incastrarle nella trama del gioco, le stesse storie che abbiamo osservato da bambini sulle videocassette della Casa di Topolino: l’oceano de La sirenetta, il Paese delle Meraviglie, la giungla di Tarzan, la Città di Halloween da Nightmare before Christmas, la balena di Pinocchio. Nomura dimostra già dal primo capitolo della serie di poter imbastire una trama molto profonda, fatta non solo della classica ricerca del villain di turno da sconfiggere (prima Malefica da La bella addormentata nel bosco, poi Ansem), ma anche di forte amicizia, e di un legame indissolubile tra Sora, Kairi e Riku che ancora oggi rappresenta una delle fondamenta di Kingdom Hearts.
Ma che cos’è il Kingdom Hearts? Ansem, il cattivone di turno, era un grande studioso dei cuori delle persone e dei mondi, che si ritrovò però a toccare troppo da vicino l’oscurità stessa, finendo con l’esserne inglobato. Il Kingdom Hearts, per quello che ne sappiamo oggi, è una immensa fonte di potere, una porta per il collegamento tra la Luce e l’Oscurità. Una cosa che Ansem non era riuscito a comprendere, e che rappresenterà anche la sua sconfitta. A dire il vero, l’essenza stessa del Kingdom Hearts è ancora uno degli enigmi più grandi della serie. Nel corso della storia, ne abbiamo visti parecchi, alcuni naturali e altri creati ad hoc per riprodurne gli effetti (come vedremo in Kingdom Hearts II). Ma il significato vero e proprio di tale luogo (sempre se di un luogo si tratti), è ancora tutto nella mente di Tetsuya Nomura. Lo stesso che, conscio dell’enorme potenziale successo che avrebbe potuto avere Kingdom Hearts sul mercato, insistette per inserire diversi enigmi irrisolti nel gioco, come il boss segreto nella Fortezza Oscura e il filmato speciale Another Side, Another Story, che introduceva per la prima volta Roxas e l’Organizzazione XIII. Ma questa, giustamente, è un’altra storia…
In quella che divenne un’abile mossa di mercato per accaparrarsi sempre più compratori, Tetsuya “La Volpe” Nomura modificò il gioco in base al mercato di rilascio. La prima versione giapponese, ad esempio, era priva di alcuni contenuti che vennero inseriti per la release occidentale, come il boss Kurt Zisa. Per andare poi incontro alle richieste dei fan nipponici, ecco che nel 2003 esce Kingdom Hearts Final Mix, una versione ulteriormente migliorata e completa del gioco, cosa che divenne poi una tradizione esclusiva dei giapponesi per la serie. Pensate solo che noi occidentali, per poter godere delle varie edizioni definitive della serie, avremmo dovuto aspettare oltre 10 anni per poterle finalmente provare. In tutto questo, però, anche la trama del primo Kingdom Hearts arriva ad una fine. Sora riesce a sconfiggere Ansem e a chiudere le porte del regno dei cuori, anche grazie all’aiuto di Re Topolino e di Riku che decidono di sacrificarsi e restare rinchiusi nel Regno dell’Oscurità. Kairi viene salvata, e riesce a tornare a casa. Per Sora, però, si prospetta un compito ancora molto lungo: scoprire gli effetti della sua trasformazione in Heartless (avvenuta per riuscire a salvare Kairi dalle grinfie di Ansem, intenzionato a sfruttare il potere delle sette Principesse del Cuore per aprire il Kingdom Hearts), e trarre in salvo i due dispersi…
UN PRIMO APPROCCIO SU MOBILE
Non molti sanno che prima di avere la sua seconda incarnazione ufficiale, la serie Kingdom Hearts approdò su mobile nell’ottobre del 2004, con il capitolo V Cast. Gli avvenimenti del gioco si pongono cronologicamente tra il primo e Chain of Memories, ma il titolo sviluppato da Superscape finì con l’essere considerato fuori canone, risultando dunque un’esperienza superflua ai fini della trama completa. La storia di V Cast, in effetti, non ha alcuna importanza nell’epopea di Kingdom Hearts, in quanto narra semplicemente di un sogno vissuto da Sora tempo dopo la sconfitta di Ansem nel quale il ragazzo era costretto a viaggiare attraverso i mondi già visitati per ritrovare i suoi compagni di viaggio, Paperino e Pippo.
Il gioco in sé non rappresenta un pessimo prodotto per mobile, nonostante le limitatissime possibilità tecniche per i telefoni cellulari dell’epoca, ma il fatto di aver voluto trasportare un gameplay come quello di Kingdom Hearts su un cellulare del 2004 non è stata una grandissima mossa. Il legnoso movimento di Sora, che si può qui muovere solamente in quattro direzioni (avanti, indietro, destra, sinistra), non aiuta né nelle fasi di esplorazione né in quelle di attacco contro gli Heartless, anche se il combattimento può risultare gradevole grazie ad alcune intuizioni. Tra queste, anche la novità dei personaggi di supporto, che non saranno più gestiti come nel primo gioco ma in modo differente attraverso i quattro mondi disponibili (di cui due considerati “apocrifi”, ossia L’Isola dello Spadaccino e la Dimora di Malefica, villain finale del gioco). Tutto, comunque, come detto, si concluderà in un nulla di fatto a livello narrativo. Square e Disney stavano però già dimostrando di guardare a diverse piattaforme per espandere il loro franchise, cosa che, come vedremo, è leggermente degenerata negli anni a venire.
CASTELLO DI CARTE
È il novembre del 2004 quando, su GameBoy, arriva Kingdom Hearts: Chain of Memories, uno dei titoli più amati e allo stesso tempo odiati dai fan. Il perché è da ricercare nel sistema di combattimento, probabilmente partorito da Nomura mentre si trovava sotto l’effetto di potenti acidi. Sora, Paperino e Pippo, poco dopo la conclusione del primo gioco, vengono contattati da una misteriosa figura che li trasporta in un mondo, il Castello dell’Oblio, situato tra il regno della Luce e quello oscuro. In questo enigmatico castello, i tre vengono istantaneamente privati di tutte le loro abilità, che vengono riconsegnate dalla figura sotto forma di carte. Ecco quindi che arriva il perno centrale del gameplay del gioco, l’utilizzo di un mazzo di carte comprensivo di attacchi fisici, magie, invocazioni e oggetti, che è stato da molti criticato. Personalmente, ho trovato sia molto strano questo tipo di gameplay scelto da Nomura per questo titolo (forse anche per diversificarlo dal primo, da molti ritenuto troppo semplicistico in quanto spesso gli scontri si riducevano ad un premere ripetutamente il tasto X per attaccare), sia molto affascinante e profondo. La presenza di un mazzo di carte completamente personalizzabile era un grosso vantaggio per l’attento giocatore, che doveva giostrarsi tra le combinazioni e gli attacchi nemici per poter portare a termine in modo vittorioso una battaglia, specialmente nelle lunghe boss fight. Un sistema di combattimento che, lo riconosco, sicuramente non può piacere a tutti, specialmente a coloro che si aspettavano un’esperienza molto più aderente alla realtà del primo Kingdom Hearts. Ma di fatto si è trattato di una grossa e gradita rivoluzione, che comunque non avrà un seguito nei futuri titoli.
Il Castello dell’Oblio, misterioso luogo del quale parlavamo in precedenza, sarà la gigantesca location che farà da contorno all’intera trama di Chain of Memories, una lunga catena di ricordi come ricorda il nome stesso. La figura incappucciata, un membro dell’Organizzazione XIII, riassume in sostanza la pericolosa situazione nella quale si trova Sora: un gigantesco castello formato da più piani, in ognuno dei quali il ragazzo sarà costretto a rivivere i suoi ricordi e a rincontrare vecchi amici. Tutto questo a causa proprio dell’Organizzazione XIII, un gruppo di oscuri esseri che ormai si ritrova scissa in due fazioni: una prima, della quale non sappiamo nulla, e una seconda guidata dal dissidente Marluxia, intenzionato a rendere Sora e il suo Keyblade dei preziosi schiavi al servizio dell’Organizzazione per i propri scopi. Vexen, Axel, Laxaeus, Zexion e Larxene saranno i vari membri che Sora sarà costretto a fronteggiare nella sua risalita al castello, mentre i suoi ricordi vengono confusi, cancellati e riscritti da una ragazzina, Naminé, che sembra avere un profondo collegamento col nostro protagonista, e mentre il cuore di Sora. Ad ogni piano terminato, corrisponde un ricordo dimenticato. Questo sarà l’alto prezzo da pagare di Sora, per riuscire a salvare la sua amica. Il tutto, arricchito da colpi di scena come il doppiogioco di Axel che segretamente era ancora legato alla radice originale dell’Organizzazione, si concluderà in un gigantesco cliffhanger: dopo aver sconfitto Marluxia, Naminé svela a Sora che solo un lungo sonno potrà permettergli di recuperare i ricordi perduti, grazie alla lunga missione che la ragazzina si prefigge per aiutare il custode del Keyblade. Ma la storia non finisce qui, perché nei sotterranei del castello c’è un altro personaggio che si sta facendo largo per uscire dalla prigione dei ricordi…
Mentre Sora sterminava il gruppo separatista dell’Organizzazione, infatti, Riku, penetrato nel Castello dell’Oblio attraverso un qualche passaggio dal Regno dell’Oscurità insieme a Re Topolino, stava cercando di fuggire dalla fortezza. Il cammino di Riku, che visiterà a ritroso gli stessi mondi vissuti da Sora, sarà una sorta di redenzione per i suoi peccati commessi nel primo Kingdom Hearts, quando, in cerca di potere e gloria, aveva accettato l’oscurità e si era lasciato possedere da Ansem, che anche nel Castello dell’Oblio sarà una presenza fissa che disturberà non poco il giovane. L’enigmatico DiZ, inoltre, si intromette più volte nella sua risalita, con la promessa di aiutarlo se Riku sarà disposto a ricambiare il favore. Ma le decine e decine di domande che ci porremmo giocando a Chain of Memories ebbero una risposta (anche se non tutti) solamente un anno dopo, con l’uscita del secondo capitolo numerato della serie. La modalità Reverse/Rebirth, con protagonista appunto Riku, diveniva disponibile solamente una volta completata la trama principale del gioco con Sora, ma non era l’unico contenuto extra del titolo. Gli sviluppatori si cimentarono infatti in un primo e timido tentativo di rendere multiplayer Kingdom Hearts, introducendo una modalità Versus per un massimo di due giocatori. Un esperimento che non ebbe un gran successo, ma che divenne un importante precedente per altri titoli della serie futuri.
La tranquilla e lineare trama del primo Kingdom Hearts nascondeva, come già avrete capito, qualcosa di molto più grande, grazie all’intuizione di Tetsuya Nomura che capì fin da subito il potenziale della serie. Chain of Memories, un notevole intreccio narrativo e un ottimo prodotto nonostante sia uscito solamente su GameBoy, iniziava già a porre le basi per il futuro del franchise, che sarà costellato di tantissimi colpi di scena. L’appuntamento è fissato fra due settimane, quando Lezioni di Storia ci porterà a scoprire il proseguimento della serie.
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