Se vi dicessimo di pensare ai videogiochi di ruolo storici, che hanno cambiato il senso stesso di ”ruolo” del protagonista da voi utilizzato, a cosa pensereste? Probabilmente per i più giovani è difficile dare una risposta. Le meccaniche dei giochi di ruolo negli ultimi anni hanno vissuto un rodaggio sempre più sottile, senza subire stravolgimenti epocali. Ma sono soprattutto 3 i titoli, anzi le serie videoludiche, che hanno letteralmente cambiato la storia del genere: Ultima, Final Fantasy e The Elder Scrolls. E proprio dell’epopea made in Bethesda vogliamo parlarvi in questo nuovo episodio di Lezioni di Storia.
L’inizio della leggenda: Arena
Pubblicato nel 1994 su piattaforma MS-DOS, The Elder Scrolls: Arena ricalcava gli stereotipi del genere ruolistico già in voga al tempo. Riprendendo tutti gli elementi dei tipici wargames e roguelike, Bethesda ha voluto puntare leggermente più in alto offrendo una visuale in prima persona che risultasse immersiva al giocatore, pur senza rinunciare a tutte quelle caratteristiche che avevano fatto la fortuna dei giochi di ruolo. Non mancavano, infatti, le tipiche razze liberamente selezionabili per il proprio protagonista, anche se create ad-hoc al fine di creare sin da subito un vero e proprio universo TES. Immancabili anche le classi e le relative sottoclassi, in tutto 18, che offrivano una scelta sicuramente ampia per il tempo, ed una grande mappa liberamente esplorabile, dove era possibile fermarsi presso villaggi, città, osterie e quant’altro. Se a tutto ciò si aggiunge la trama, per nulla banale (e raccontata in alcuni tomi presenti nei successivi TES) si può comprendere come, pur essendo il primo capitolo e possedendo un gameplay spartano, Arena abbia sicuramente lasciato il segno nel panorama dei GDR vecchio stampo.
Daggerfall, sinonimo di vastità
La serie ritornò nel 1996 e sempre su MS-DOS con The Elder Scrolls II: Daggerfall. Senza troppi fronzoli può essere considerato l’anticamera del terzo capitolo, Morrowind, grazie alla grande riproposizione della caratteristica fondamentale della serie: la libertà d’azione, già possibile su Arena ma qui moltiplicata per mille. Considerato rivoluzionario per l’epoca, poteva vantare una mappa dell’intera Tamriel smisuratamente enorme: 161.600 chilometri quadrati, numeri imbarazzanti se confrontati con le 6 miglia quadrate in Morrowind e le 16 miglia quadrate in Oblivion. Tutto ciò grazie ad un motore grafico molto semplice, l’XnGine, che tramite un sistema di randomizzazione rigenera continuamente le locations secondarie. Ritornando alla libertà d’azione, in Daggerfall sono state date al giocatore innumerevoli possibilità aggiuntive rispetto al titolo precedente: spiccano su tutte le quest risolvibili in modi diversi e generate casualmente a partire da quattrocento schemi prefissati, l’introduzione delle gilde, la possibilità di acquistare case, navi ed equipaggiamento a dismisura, trasformarsi in lupo mannaro o vampiro, ed un semplice sistema di crafting ed incantamento. Sicuramente le possibilità di scelta non mancavano, senza considerare un rinnovato sistema di personalizzazione della classe: in base alle nostre preferenze, nel gioco possiamo aumentare o diminuire determinate caratteristiche, come l’atletica, la forza o l’intelligenza, oppure optare per una delle classi precostruite. Ancora una volta la trama gravita attorno al rapporto tra l’imperatore Uriel Septim e le altre cariche reali del continente di Tamriel, in un continuo scambio di sotterfugi politici che sfocia in sanguinolenti scontri armati. Daggerfall è purtroppo ricordato anche per la presenza massiccia di bug, tanto da essere chiamato ironicamente negli Stati Uniti ”Buggerfall”. Ma non gli si può attribuire questo difetto come causa principale per non giocarlo: Daggerfall resta un esperimento ben riuscito che, convertito in videogioco vero e proprio, ha dato sicuramente la spinta decisiva per l’affermazione al grande pubblico della serie degli Elder Scrolls.
La rivoluzione: Morrowind
Il 2002 è forse uno degli anni più cari per gli appassionati della serie di TES. Bethesda, dopo un esperienza quasi decennale nel genere dei GDR, raccolse quanto di buono fatto fino ad allora, adeguandosi all’evoluzione videoludica in quanto a grafica e gameplay, e vi aggiunse quel tocco personale che l’ha resa una delle migliori case produttrici nel panorama. The Elder Scrolls III: Morrowind nacque in questo contesto per entrare di fatto nell’olimpo dei videogiochi, non solo di ruolo. A distanza di anni riecheggia ancora nelle più belle memorie la melodia d’arrivo al villaggio di Seyda Neen, un piccolo porto nell’isola di Vvardenfell dove hanno inizio le vicende del nostro protagonista, uscito di prigione ed abbandonato a sè stesso, ma legato ad un misterioso contatto nella città di Balmora. E’ impossibile non sentirsi coinvolti nel mondo di Morrowind, una terra dai colori cupi e sbiaditi che, tuttavia, la rendono una delle ambientazioni più affascinanti mai viste nel mondo videoludico. Il passaggio al tridimensionale ha ridefinito gli standard dei GDR, donando un senso di profondità generale che ancora oggi dà il senso di respirare in un mondo parallelo al nostro. La mappa è completamente esplorabile, quasi tutti gli edifici sono accessibili, così come i dungeon; l’introduzione dei silt strider, delle imbarcazioni e delle magie di teletrasporto hanno inoltre reso più facile lo spostamento tra le diverse città, evitando le lunghe camminate che spesso possono risultare pericolose. In generale al giocatore è stata data una libertà d’azione quasi ineguagliabile. Il nostro eroe è personalizzabile in ogni suo dettaglio, dal nome alla razza, passando per la classe, che può essere predefinita o creata da zero da noi. La scelta della razza influenzerà addirittura le idee espresse dagli NPC in relazione alla politica o agli eventi del passato. E’ possibile commerciare, sedersi all’osteria per bere un calice di vino mentre si parla con il viandante di turno (e di conseguenza cogliere novità e potenziali quest su fatti accaduti nei dintorni), è possibile ignorare del tutto la storia principale, per forgiare un proprio destino personale legandosi ad una delle gilde o delle grandi casate; è possibile darsi al furto, alla magia nera o effettuare scorribande a caccia di nemici. Proprio le quest secondarie costituiscono una grossa fetta del gioco, andando a costruire delle vere e proprie storie nella storia. La trama principale è molto articolata e interessante: a differenza di Daggerfall, il tema principale non è la politica o l’ambiente di corte, bensì la relazione tra gli abitanti dell’isola ed un’occulta setta religiosa, la Sesta Casata, che venera il dio Lorkhan ed il suo ritorno. Il nostro protagonista, a seguito di alcuni incubi, viene a conoscenza di adempiere alla profezia Nerevarine, tramandata sin dalla morte dell’antico eroe Indoril Nerevar, ed è ben presto incaricato di sconfiggere Dagoth Ur, ex luogotenente di Nerevar che ha ricevuto immensi poteri dal cuore del dio Lorkhan. La trama è stata ampliata con l’uscita di due espansioni, Tribunal e Bloodmoon, che hanno aggiunto rispettivamente due side-quest sostanziose, nuove aree di gioco, nuove armi, armature e creature.
A distanza di anni, The Elder Scrolls 3: Morrowind suscita ancora le stesse emozioni che i giocatori hanno provato all’uscita su PC ed Xbox. La direzione artistica, la libertà totale, una grafica per il tempo rivoluzionaria hanno garantito al titolo una edizione Game of the Year, uscita l’anno successivo. Ma ciò non basta a rendergli onore. Morrowind è uno di quei videogiochi da provare, sia per capire l’evoluzione dei giochi di ruolo, sia semplicemente per godersi un titolo sontuoso, profondo, divertente, complesso ed affascinante nella sua interezza. E può vantare soprattutto di essere il precursore degli Elder Scrolls moderni, per i quali vi diamo appuntamento alle prossime puntate.
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