Con il passare degli anni il medium videoludico è diventato sempre più accessibile, abbracciando un numero di utenti sempre più alto a prescindere dall’hardware utilizzato (console, PC o smartphone). Tra gli anni ’80 e ’90, infatti, il videogioco era una forma di intrattenimento di nicchia, che solo i nerd (nella vecchia accezione negativa) amavano giocare. Da allora le cose sono cambiate radicalmente, soprattutto grazie ad una difficoltà di gioco sempre meno punitiva. Ciò ha permesso a molti utenti di avvicinarsi a questo fantastico mondo, pur non avendo doti ludiche così sviluppate. La questione sembra non andare a genio ai giocatori di vecchia guardia, i quali reputano i giochi odierni troppo facili e privi di un livello di sfida adeguato. Anche se questa diatriba potrebbe non avere una risposta univoca, noi di Uagna vogliamo provare a rispondere a questa semplice domanda: l’accessibilità è davvero la rovina dei videogiochi?
Dalla Sala giochi al proprio divano di casa
I primi videogiochi sono nati per essere giocati nelle Sale Giochi. Si trattava di stanze occupate da cabinati in cui i giocatori dovevano spendere soldi per iniziare una partita o per continuare dopo una sconfitta. Detto ciò risulta piuttosto chiaro che l’interesse degli sviluppatori era quello di creare giochi difficili, così da spingere gli utenti a spendere quanti più gettoni possibile. Ovviamente anche le limitazioni tecniche e i tanti errori di bilanciamento e programmazone contribuivano a creare giochi con picchi di difficoltà decisamente elevati. Vi basti pensare che all’epoca molti videogiochi si basavano sulle “vite” che, una volta terminate, obbligavano il giocatore a cominciare da capo l’intero gioco. Non esistevano quindi checkpoint o salvataggi a cui poter fare riferimento né tantomeno guide che ci spiegassero come superare determinate sezioni. Le cose iniziarono a cambiare con l’avvento delle prime console e, in particolare, con l’arrivo di Playstation 1. Il nuovo hardware Sony risultava tecnicamente avanzato, permettendo di migliorare level design e gameplay, rendendo gli stessi giochi meno punitivi e ingiusti. Tra l’altro, anche il sistema di comandi era diventato meno legnoso, consentendo movimenti più responsivi e privi di input-lag. Tali premesse furono poi riproposte anche con l’arrivo delle console successive andando a creare videogiochi sempre più rifiniti e..più accessibili. Tra le tante meccaniche che hanno contribuito a questo cambiamento ricordiamo la rigenerazione della vita, la presenza di checkpoint, l’inserimento di indicatori di aiuto o, ancora, la semplificazione dei comandi o la possibilità di decidere il livello di difficoltà (facile, medio o difficile). Specialmente quest’ultimo è stato uno dei punti più importanti della trasformazione dei videogiochi. Tramite il semplice cambiamento di alcuni parametri, i giochi potevano essere più o meno difficili.
Troppo facile è male?
L’inserimento delle meccaniche che abbiamo presentato poco sopra ha portato i videogiochi amigliorare il loro grado di accessibilità. Un aspetto che ha permesso al media di abbracciare molti più utenti rispetto al passato ma che molti videogiocatori e critici considerano un punto negativo. Negli ultimi anni avrete letto infatti recensioni che screditano alcuni titoli perchè troppo facili o che consigliano al pubblico di non giocare in modalità facile. La facilità del gameplay è stata quindi additata come una cosa negativa da evitare in tutti i modi. Ma perchè tutta questo odio nei confronti di approcci più accessibili? Il motivo è presto detto. Solitamente i livelli di difficoltà più facili inseriscono o rimuovono elementi che rappresentano il fulcro del gameplay di base. Per estremizzare la cosa provate a pensare ad un’ipotetica modalità facile in Dark Souls, grazie alla quale ogni morte non causerà la perdita delle anime. Si tratterebbe di una meccanica che romperebbe il gameplay e che creerebbe un’esperienza molto diversa da quella impostata dagli sviluppatori. In questo caso siamo d’accordo nell’affermare che un’accessibilità così impostata rappresenta il male nel mondo videoludico. Ciò non significa però che la presenza di un livello di difficoltà ben bilanciato sia da esorcizzare. Quanti di voi dopo una lunga di sessione di lavoro o di studio ha acceso il proprio hardware per rilassarsi e spegnere il cervello? In questi casi avere a che fare con un con un gameplay semplificato potrebbe rivelarsi la soluzione migliore. Potremmo riproporre lo stesso esempio parlando del cinema. Dopo un’intensa giornata preferireste seguire un film pesante o un film leggero? Siamo sicuri che molti di voi opterebbero per la seconda scelta. Ma mentre per il cinema sareste costretti a cambiare film, con il medium videoludico potete tranquillamente avviare un gioco qualsiasi ed impostare una difficoltà più bassa. Quello che vogliamo farvi capire è che facilità e accessibilità nei videogiochi non sono per forza qualcosa di negativo. L’importante è che il tutto rimanga bilanciato, evitando di allontanare il gameplay da quella che è l’anima del gioco.
Personalizzazione, il giusto compromesso?
Negli ultimi tre o quattro anni il concetto di difficoltà facile, media e difficile è stato ampiamente superato dando spazio ad un sistema più innovativo e funzionale. Ci stiamo riferendo alla possibilità di creare un livello di difficoltà personalizzato, in cui il giocatore può impostare a suo piacimento ogni piccolo elemento di gameplay. In altre parole non è più il giocatore ad adattarsi il gioco ma è quest’ultimo che si adatta allo stile di gioco degli utenti. Una rivoluzione per l’industria videoludica che permette ad ogni giocatore di giocare ogni titolo. Al momento questa feature è stata sfruttata con estremo successo da gran parte dei giochi simulativi. Giochi come Project Cars 3, Flight Simulator, Ride 4 o F1 2020 presentano tutti un’estrema personalizzazione del gameplay, permettendo ad hardcore e casual games di giocare come meglio preferiscono. Ciò non significa che i giochi attuali siano diretti a tutti i giocatori allo stesso modo. Con molta probabilità rimarranno giochi dedicati agli hardcore gamers (Dark Souls, Monster Hunter, Nioh, Cuphead o il recente Ghostrunner) o ai casual gamers (Ghost of Tsushima, Watch Dogs: Legion, Rogue Company, Need for Speed Heat e altri ancora).
Alla fine di questo speciale risulta chiaro quindi che l’accessibilità dei videogiochi è qualcosa di positivo, sempre che sia implementata in modo coerente a seconda della natura del gioco. In fin dei conti si tratta di un’opzione in più, grazie alla quale adattare il gameplay di un titolo allo stile di gioco di ogni singolo utente. Nulla vieterà ai veterani di cercare un livello di sfida più alto e ai neofiti una maggior facilità.
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