La speranza è l’ultima a morire. Se si dovesse riassumere con un noto proverbio la campagna di Call of Duty: Black Ops 6, probabilmente questo sarebbe il più calzante. Le esperienze per giocatore singolo del noto brand Activision sono state infatti più che altalenanti negli ultimi anni, passando da buoni risultati come Cold War, a profondi abissi come quelli raggiunti dall’ultimo Modern Warfare 3 (qui la nostra analisi), fino ad arrivare a capitoli che nemmeno hanno contemplato questo aspetto, come Black Ops 4.
A fronte di questo roller coaster di emozioni viene da sé che, alla presentazione di Black Ops 6, i buoni propositi messi in campo da Treyarch a riguardo della componente narrativa sono stati presi tutto sommato con le pinze da molti appassionati, ancora alle prese con lo shock generato dal terribile comparto single player di MW3.
Per fortuna, non è la stessa merda proposta in un altro giorno, volendo parafrasare un noto epiteto del franchise.
Attenzione: per quanto questa analisi non sveli nulla delle vicende della nuova interazione, sono presenti alcuni spoiler relativi ai capitoli precedenti, di conseguenza proseguite la lettura con cognizione di causa.
Serial Thriller
La campagna di Black Ops 6 riprende quasi direttamente dopo gli eventi di Cold War e Black Ops II. La linea temporale ufficiale è difatti così composta: Black Ops, Cold War, Black Ops 2, Black Ops 6, Black Ops 4 e Black Ops 3. Gli eventi della Guerra Fredda come noto sono ambientati nel 1981, mentre Black Ops 2 è ambientato nel 1989. Il nuovo titolo della serie vede invece le proprie vicende prendere luogo nel 1991.
Frank Woods, ferito e messo in disparte dalla CIA per una falsa accusa di tradimento, dirige un piccolo nucleo di outsiders composto inizialmente da Troy Marshall e dal silente (ed inedito) protagonista William “Case” Calderon. Insieme a vecchi e nuovi volti, la squadra è chiamata ad investigare su un emergente gruppo militare, desideroso di gettare nel caos gli Stati Uniti per mezzo di una misteriosa e pericolosa arma.
Già da questo incipit, è possibile notare come gli ingredienti chiamati spionaggio, coinvolgimento e scrittura si amalgamano perfettamente ancora una volta, in modo da formare un piatto appetitoso ed assolutamente non banale.
Il ritmo, Mason
La campagna di uno sparatutto in prima persona, a maggior ragione se si tratta di Call of Duty, ha un compito difficilissimo: quello di farsi giocare. La maggior parte degli utenti infatti, spesso bistratta il comparto narrativo di un FPS in quanto, come da prassi, il cuore della proposta ludica è incentrato sugli ambiti multiplayer, siano essi competitivi o cooperativi (qui trovate le nostre guide dedicate alla modalità Zombies). Non è quindi automatico che la storia venga affrontata, soprattutto viste le delusioni collezionate nel recente passato.
Treyarch ha tuttavia deciso di prendere di petto la questione, focalizzandosi su uno dei due aspetti fondamentali utili per catturare l’interesse del pubblico: il ritmo. Le undici spedizioni che compongono il single player di Black Ops 6, godono di una scrittura degna di una spy story hollywoodiana, in quanto capaci di gestire magistralmente i momenti di narrazione con quelli meramente adibiti all’azione. Tale palcoscenico è fortunatamente sorretto dall’altra qualità necessaria per calamitare l’attenzione degli utenti: la varietà.
L’esperienza in solo presenta difatti missioni più longeve e dagli obiettivi sempre differenti, alla pari del contesto in cui sono inserite. Il team americano ha saputo collocare sapientemente fasi di infiltrazione a momenti di battaglia diretta con le orde nemiche, per poi arrivare addirittura ad un contesto semi open world con svariati compiti da completare in un’area aperta (ben lungi quindi dalle drammatiche quest con libertà di azione di MW3).
Novità con qualità
La trama di Black Ops 6 vede le proprie vicende svolgersi non solo attraverso le varie spedizioni, ma anche all’interno dell’hub. Una villa in Bulgaria rappresenta infatti il punto di partenza per ogni attività, dando modo anche di interagire con i vari compagni. Grazie a diverse opzioni di dialogo, utili per approfondire ulteriormente il background dei personaggi coinvolti, la scelta di Treyarch si rivela oculata, in quanto consente di legare maggiormente con gli NPC.
Allo stesso tempo nella magione, in pieno stile Black Ops 2, viene concessa la possibilità di acquistare dei potenziamenti permanenti per il protagonista, così da incrementare l’efficacia dell’equipaggiamento e quindi le chances di sopravvivenza. Il denaro, recuperabile durante l’esplorazione dei vari scenari oppure dall’eliminazione dei nemici più coriacei, permette di conseguenza una gestione diretta e personalizzata della dinamica di gioco, che si adatta coscienziosamente allo stile dell’utente.
Missione compiuta?
Tornando alla domande delle domande si, Call of Duty: Black Ops 6 è riuscito a riportare in auge una modalità a giocatore singolo spesso sottotono e superficiale. Gli anni di sviluppo concessi a Treyarch hanno quindi dato i propri frutti, consegnando agli appassionati una storia avvincente, convincente ed appassionante. Se a questo aggiungiamo, come detto poco sopra, una durata oltre la media per il genere (7-8 ore circa), non si può fare altro che rimanere ancora più soddisfatti del piccolo miracolo compiuto dalla software house di Santa Monica, che potrebbe ora aver fissato un nuovo metro di paragone per le prossime campagne della serie FPS.
Speriamo naturalmente che questa non rappresenti la classica mosca bianca, ma che anzi funga da lezione per le grandi aziende. Mai come ora è infatti doveroso far comprendere che con il giusto lasso di tempo (ed il consono clima lavorativo), tutto viene meglio.
Ma ora arriva il vostro turno: cosa ne pensate di questo nuovo Black Ops 6, dopo le prime giornate di gioco? Lo avete acquistato oppure avete sfruttato la nuova politica di Microsoft, che lo propone su Xbox Game Pass? E cosa ne dite della modalità Zombies, qui presente con le due mappe Terminus e Liberty Falls?
LEGGI ANCHE: La guida ai trofei di Call of Duty Black Ops 6
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