Nel percorso di avvicinamento alla recensione di Black Ops 6, abbiamo parlato ieri della modalità campagna single player, una delle prove più granitiche offerte da Call of Duty negli ultimi anni. Non siamo ancora pronti a parlare del titolo di Treyarch in tutta la sua interezza, tuttavia dopo un lungo weekend di gioco iniziamo a tirare le somme del multiplayer PvP e delle sue novità, compreso l’Omnimovement che oggi e probabilmente negli anni a venire rivoluziona il gameplay di COD.
Iniziamo subito col dire che tutto si può dire a Treyarch, tranne il fatto di non aver fatto orecchie da mercante verso tutte le richieste dei fan storici della serie. Verissimo, l’Omnimovement, ossia questa esagerazione dei movimenti e delle possibilità in ogni direzione, non è certo un ritorno al classico COD che in molti speravano, ma l’esperienza è solida, divertente, il feeling delle armi è molto piacevole e si segnala anche il ritorno alle origini per quanto riguarda la progressione – i Prestigi sono di nuovo tra noi, finalmente.
Non è però tutto oro quello che luccica. Se da un lato il gameplay si differenzia e migliora i difetti del dittico MW2 e MW3 degli anni passati, nei quali già la frenesia è stata l’elemento principale dei giochi di Infinity Ward e Sledgehammer Games proponendo un PvP tra i più veloci nella storia della serie, forse anche più del tanto odiato Infinite Warfare del 2016, a deludere in questo momento è soprattutto il design delle mappe. Ma vediamo più nel dettaglio le nostre impressioni dopo un weekend di multiplayer – circa 15 ore di partite.
Omnimovement promosso, PvP azzeccato
La formula generale è invariata. I veterani della serie non si trovano di fronte a stravolgimenti nel concept di Call of Duty (avrebbe senso farlo, considerando le oltre 30 milioni di copie che ogni anno la serie macina?), ma ciò che soddisfa maggiormente stavolta è il gunplay. Treyarch ha sempre fatto scuola sotto questo punto di vista, pensiamo banalmente alle splendide armi di Black Ops 3 che, pur cambiando il suo sistema di movimento, risultava un’evoluzione naturalissima.
Le armi sembrano molto più versatili e leggere di quelle viste in MW3, facendo un confronto con il passato più recente, e l’impatto è notevole. Vibrazioni immersive ed effetti sonori fanno il resto, rendendo la gioia dell’headshot con qualsiasi arma una vera gioia. A perdere forse in questo caso, rispetto al titolo di Sledgehammer Games, è stata la varietà effettiva delle armi. Scegliendo uno qualsiasi dei fucili d’assalto, non si percepisce un reale distacco dalla precedente bocca da fuoco utilizzata.
Va detto che Sledgehammer Games in particolare ha avuto molto più tempo per lavorare a questo aspetto, non dovendosi curare delle mappe – ricordiamo che MW3, al lancio, proponeva le esatte riproposizioni delle mappe di Modern Warfare 2 del 2009. Detto questo, anche il time-to-kill sembra aver raggiunto il compromesso migliore. I nemici muoiono abbastanza velocemente da far continuare l’azione, ma resta una finestra di tempo utile per reagire e cambiare le cose se si viene colpiti per primi. È stato leggermente accelerato rispetto all’anno scorso, e questo richiede un piccolo periodo di adattamento dopo migliaia di partite di MW3, tuttavia, il TTK più veloce funziona magnificamente con il movimento più veloce in Black Ops 6.
E poi, l’Omnimovement. Che funziona, bene e tanto. Non sbilancia, non rende ingiocabile l’esperienza per i neofiti o per i veterani, ma è invece una dinamica che fluidifica ancora di più l’esperienza e implementa possibilità inedite per i giocatori, senza stravolgere il gameplay. Ora, non sappiamo ancora il reale impatto di questo nuovo sistema di movimento, e in particolare se la sua costruzione ed evoluzione cambierà gli equilibri. Per il momento, però, risulta essere solo una delle tante possibilità, e non l’unica e imprescindibile meccanica da apprendere e padroneggiare come invece capitava con i jetpack nell’era futuristica del franchise. I riflessi rapidi e la precisione sono ancora fondamentali, ma si può tranquillamente puntare a vincere senza per forza apprendere ogni singolo segreto di questo omnimovement.
A meno che, ovviamente, non si parli di determinate mappe. Ed ecco il nocciolo della questione, e anche il vero punto negativo del PvP di Black Ops 6 in questo momento.
Mappe? Non ci siamo
È strano fare questo discorso, se pensiamo che Treyarch ha creato alcune delle mappe più iconiche della storia di Call of Duty. Raid, Hijacked, Firing Range, Slums, Summit, Nuketown – tornerà tra pochi giorni, tranquilli. Eppure, le mappe di Black Ops 6 sono a oggi il vero punto negativo dell’esperienza multiplayer: un design elementarissimo, dimensioni spesso eccessivamente ridotte, e tantissimi punti di spawn da rivedere completamente.
Sebbene siano tutte contraddistinte da uno stile unico, che le differenzia le une dalle altre, le mappe mancano di tanta fluidità, oppure ne presentano anche troppa. Sono anche molto più piccole di quelle che abbiamo visto negli ultimi anni, quando Infinity Ward soprattutto ha cercato di evolvere il design delle mappe – in funzione di Warzone, ricordiamo. Il senso di claustrofobia è ricorrente, e in alcune location anche una pausa di qualche secondo può portare alla morte. Persino la scelta dell’arma a inizio partita. Sapete quante volte sono morto per una semtex lanciata istantaneamente da una parte all’altra della mappa, che in alcuni casi sono qualcosa come 10 metri?
In tal senso, anche i punti di spawn e respawn sono quelli sui quali Treyarch dovrà intervenire al più presto, poiché alcune modalità, in varie mappe, risultano totalmente sbilanciate sotto questo profilo.
Non tutte le mappe sono così estreme, per fortuna. Forse quella più riuscita, o comunque quella capace di divertire maggiormente, è Lowtown, ambientata in quella che potrebbe essere Venezia. Detto questo, probabilmente nessuna di queste nuove mappe passerà alla storia: i problemi ci sono, e sembra che Treyarch si sia più concentrata nel creare un sacco di nuove Shipment piuttosto che esprimere una reale idea di design più complessa.
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