All’inizio si trattava di semplici oggetti acquistabili per diversificare leggermente il gameplay di un gioco, o di vere e proprie espansioni che aggiungevano storie a titoli già di per sé mostruosi. Nel mio caso, ad esempio, il mio primissimo DLC acquistato e scaricato da PS Store fu una serie di personaggi aggiuntivi per Naruto Ultimate Ninja Storm, il primo titolo della serie, che venne rilasciato agli inizi dell’era PS3. A questo pacchetto che era completamente gratuito, una parola sconosciuta ai più nell’industria videoludica attuale, feci seguire l’acquisto di Grand Theft Auto IV: The Ballad of Gay Tony, DLC che aggiungeva una storia. Una storia. Una nuova storia. Una storia completa con un nuovo protagonista, ma sempre ambientata in quella Liberty City che io avevo già esplorato in lungo e in largo. Scaricato il DLC, lo provo: bella trama, buona varietà di missioni, sotto molti punti di vista migliore del gioco di base, davvero troppo noioso per essere un GTA. Ma una cosa era innegabile: The Ballad of Gay Tony era una cosa a parte, un contenuto che avrebbe potuto coesistere tranquillamente da solo, così come GTA IV, un gioco confezionato completo e senza tagli. Ed è così che doveva essere. Ma non è così che è stato per ciò che venne dopo.
L’industria, specialmente in questi ultimi anni, si sta prendendo fin troppe libertà, rischiando di far sprofondare non solo molte serie famose, ma anche di far stancare noi, i videogiocatori, coloro che riempiono di freschi soldini le tasche di sviluppatori e produttori. Ho preso l’esempio di GTA IV per parlare di un gioco che di per sé è uscito completo, nonostante la pubblicazione di altri DLC, ma bisogna ammettere che non si tratta fortunatamente dell’unico esempio. Giochi come Red Dead Redempion, GTA V, inFamous, Halo, Gears of War, Uncharted, The Last of Us, Ratchet & Clank, L.A. Noire, sono tutti giochi che, bene o male, escono completi, con il videogiocatore che non è costretto a subire possibili buchi nella trama o che comunque, anche supportati da DLC programmati, non hanno bisogno di questi ultimi per essere compresi appieno. Se pensate ad un titolo come Red Dead Redemption e alla sua splendida espansione Undead Nightmare, questo è l’esempio lampante: un gioco gigantesco, con centinaia di attività, luoghi da esplorare, missioni, attività secondarie, e una trama perfetta. E poi arriva un’espansione, che si pone come una sorta di “storia alternativa” ma che di fatto non va a intaccare quello che avete provato nella versione base del gioco, e che non va a riempire i buchi di quel gioco. Purtroppo però, come ho già detto, non è così che va l’industria di oggi, o perlomeno la maggior parte di questa.
Ripensate ora per un momento ad Assassin’s Creed: Brotherhood. Gioco splendido, uno dei migliori della serie. Ambientato nell’Italia Rinascimentale, il gioco che vede protagonista Ezio Auditore fu quello che diede il lancio definitivo a quella che è diventata una delle serie videoludiche più celebri di sempre. Ma già in quell’occasione, se ci pensate, lo spettro della castrazione del gioco si faceva sentire. La mancanza di due Sequenze durante la storia, cosa di cui mi accorsi subito, venne spiegata poco dopo l’uscita del titolo: un DLC. Un DLC che avrebbe colmato il vuoto lasciato dalle sequenze mancanti e che sarebbe costato fior fior di euro. Ma Assassin’s Creed: Brotherhood rappresenta solo uno degli innumerevoli esempi che avrei potuto fare, basti pensare recentemente a Destiny, gioco nel quale addirittura i contenuti erano già tutti inseriti nel disco di gioco ma che venivano sbloccati solamente con un mini-pass da poco più di 1 MB, da acquistare separatamente. Un altro esempio? Eccolo subito: The Order: 1886, esclusiva PS4 targata Ready at Dawn di indiscutibile livello tecnico – forse la miglior grafica mai vista su console – ma di bassa resa a livello di narrazione, con una storia che oltre a durare poco più di 5 ore termina con un finale che definire aperto sarebbe dire poco, che quindi apre ad un sequel e fa sembrare il gioco nient’altro che un’introduzione per qualcosa di più grande. Una situazione simile a quanto accaduta con Metal Gear Solid V: Ground Zeroes, poco più che un prologo di un grande capolavoro quale The Phantom Pain a che a conti fatti all’esorbitante prezzo di 40 euro garantiva poco più di 2 ore di gioco. I giochi di oggi, per la maggior parte e parlando naturalmente sempre di titoli tripla A, nascono in un certo modo, vengono sviluppati, visionati e nel momento in cui viene pianificata l’uscita vengono volutamente castrati, in favore di un profitto più ampio e a lungo termine grazie ai DLC, ai sequel, ai prequel, e a tutto quello che verrà dopo. Giusto? No. Ma è così che va il mondo oggi, ed è da noi videogiocatori che le cose devono iniziare a cambiare.
Siamo arrivati veramente alla frutta. Il concetto di DLC, in sé, non è sbagliato. L’industria nel corso degli anni si è evoluta, così come i videogiochi, e le software house trovano molto più semplice cercare di prolungare la vita di un gioco piuttosto che concentrarsi sulla creazione di un sequel che rischia di occupare anni e anni di lavoro. Ma il concetto di DLC non deve far rima con quello di gioco castrato di contenuti. Nel momento in cui l’acquirente paga un videogioco la bellezza di 70 €, questo prodotto deve essere COMPLETO, e non con una trama a metà o contenuti già presenti che non si possono ottenere se non pagando ulteriormente. Cosa ci riserverà il futuro? Sempre più giochi castrati? O i videogiocatori si stancheranno dell’atteggiamento delle case produttrici prima che queste cambino politiche?
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