La storia dei videogiochi ci ha insegnato più volte che una serie non deve restare forzatamente radicata alle proprie origini per restare di successo, e che anzi più di una volta abbiamo assistito ad evoluzioni epocali con ottimi risultati. Senza andare troppo indietro nel tempo, basta pensare ad Assassin’s Creed: Origins, l’ultimo titolo della celebre serie Ubisoft che da action si è trasformato in un GDR open-world ridefinendo le fondamenta sulle quali poggiava. Oppure a Final Fantasy XV, il primo capitolo puramente action della serie principale di JRPG targati Square-Enix e che testimonia come i tempi siano cambiati. O ancora a Resident Evil, serie che nella sua lunga carriera ha cambiato volto per ben due volte: in occasione del quarto capitolo, quando assistemmo alla svolta della serie che diveniva uno sparatutto in terza persona, e nel recente settimo capitolo, divenuto a tutti gli effetti un horror.
Cambiamenti più o meno riusciti, certo. Citando Resident Evil, non possiamo ad esempio negare che la trilogia TPS composta dai capitoli 4, 5 e 6 sia estremamente debole narrativamente e qualitativamente, ma occorre anche precisare che il passaggio ad un gameplay di questo tipo sembrava funzionale e adatto al mondo (all’epoca) moderno, che si adattava a esigenze differenti dei giocatori e all’evoluzione dei gusti e degli hardware. Poteva quindi spaventare la scelta di Sony Santa Monica, sorprendentemente svelata all’E3 2016, di rivoluzionare radicalmente la sua serie madre, God of War. Nell’arco dei sei titoli fino ad oggi pubblicati, completi della trilogia originale e dei tre sequel/prequel/midquel, la formula non ha mai subìto variazioni evidenti, con un gameplay frenetico assimilabile ad un hack’n’slash e caratterizzato dalla presenza di una telecamera fissa in un punto che però non ha mai rappresentato una limitazione eccessiva. A forza però di ripetere la stessa formula il tutto iniziava a stancare, come capita con qualsiasi cosa. Ricordo quando, nell’estate del 2015, giocai per la prima volta a God of War: Ascension, l’ultimo della serie che ancora non avevo toccato. Storia e narrazione pessime (dovute al continuo rimescolarsi di Kratos nella mitologia greca ormai esplorata in lungo e in largo), gameplay totalmente invariato rispetto a prima, e infatti il gioco si piazza tranquillamente all’ultimo posto della mia personale classifica della serie. Fu il classico “tirare la corda finché non si spezza”, e con Ascension questa si spezzò.
Per come la vedo io, la questione di cui discutiamo oggi ha due chiavi di lettura, giuste allo stesso modo. Perché il cambiamento proposto da Sony Santa Monica, per quanto ne sappiamo oggi, può essere considerato sia necessario che inadeguato. Cerchiamo di capire insieme perché, e al termine vorrei sapere cosa ne pensano i nostri lettori di tutto questo.
INADEGUATO
La scelta di rendere God of War un gioco caratterizzato da un mondo quasi completamente visitabile, un semi-open-world con tanto di nuovo combat system da imparare a padroneggiare, potrebbe non risultare gradita ai fan storici. C’è chi vede in questa evoluzione della serie un tentativo di Santa Monica di continuare imperterrita a riproporre la solita salsa: Kratos, dèi da uccidere, esseri mitologici, mostri leggendari. In effetti, il fatto che Cory Barlog e i suoi abbiano deciso di “riesumare” il Fantasma di Sparta, una figura che sembrava averci già detto tutto quello che aveva da dirci, ha il sapore di una minestra riscaldata che vuole dare qualcosa di nuovo al pubblico sfruttando però un franchise popolare. Una corrente di pensiero, attualmente, vede la scelta di Sony Santa Monica proprio in questo modo, condannandola poiché secondo i più pessimisti circa il nuovo God of War era molto meglio lasciar morire lentamente Kratos, icona ormai legata al passato (il terzo capitolo principale è di quasi 8 anni fa) e con una storia già raccontata, con un inizio e un finale (aperto, certo, ma sempre un finale abbastanza esplicativo). Il boicottaggio di parte dei fan storici, legati indissolubilmente alla serie originale, è già partito, e c’è già chi ha annunciato che non acquisterà il gioco in quanto troppo distante dall’idea ormai radicata di God of War e Kratos.
NECESSARIO
A ben vederla, però, la scelta di Barlog e soci è stata la sola e unica possibile da compiere in quel momento. Se davvero la storia di Kratos aveva altro da dire, come ci dimostrerà il nuovo gioco della serie, l’unica strada da percorrere era quella di una sorta di reboot creativo. Il bisogno di interfacciarsi con un game design fresco e innovativo è elevato, perché proprio come nella già citata storia di Assassin’s Creed la formula forse fin troppo collaudata iniziava a mostrare segni di cedimento, e quindi ecco che nasce la possibilità di far rinascere la storia di Kratos dalle ceneri di una gloriosa epopea già entrata nell’Olimpo dei videogiochi ma obiettivamente obsoleta come impostazione. E poi, a ben vederla, l’evoluzione può sì andare a toccare il combat system, le meccaniche e l’approccio generale alla narrazione, ma il sequel-reboot non vuole abbandonare la sua storia e il suo passato, perché gli elementi per parlare di un vero nuovo God of War ci sono tutti. Mitologia, tanto sangue, dolore, dramma, e il piatto è servito.
Ci piacerebbe saper anche da voi cosa pensate di questo epocale cambiamento nella serie di God of War. Favorevoli ed eccitati al gioco in uscita il 20 aprile, o freddi e pessimisti circa la piega decisa da Barlog e i suoi soci?
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