Raccontare una storia sta diventando sempre di più l’obiettivo principale di ogni videogioco che si rispetti; basti pensare a titoli come Bioshock Infinite, The Walking Dead o a Beyond: Two Souls e capiamo subito che tutto sia finalizzato a “catturare” il giocatore per trasportarlo in quella realtà virtuale creata dalla storia stessa.
Anche Il videogioco di cui vogliamo parlarvi oggi, Gone Home, titolo Indie che ha vinto ai VGX come miglior videogioco Indie del 2013, punta a questo; solo che in un modo un po’ diverso dagli altri.
La caratteristica principale di Gone Home è infatti la sua capacità di raccontare una storia dai temi profondi e delicati, raramente visti nei videogiochi, solo attraverso la semplice esplorazione, interazione e narrazione ambientale.
Sviluppato dai “Fullbright Company”, un team di sviluppo con precedente esperienza in titoli come la DLC di Bioshock2, Gone Home racconta una storia ma non dice tutto, lasciando al giocatore il duro compito dell’interpretazione.
Casa è dove ho lasciato il mio cuore
Immaginiamo per un istante di essere una giovane ragazza e di partire per un lungo viaggio di studi in Europa; al nostro ritorno la prima cosa che vorremmo fare sarà sicuramente quella di riabbracciare la nostra famiglia.
Ma ecco che al nostro ritorno non c’è nessuno ad accoglierci, fuori c’è un temporale da record, la casa è vuota e nostra sorella ci ha lasciato solo un breve messaggio dicendoci di non andare a cercarla.
Sembra una premessa perfetta per un videogioco horror, ma non è la paura il sentimento che avremo durante questo gioco, quanto la curiosità.
Perché in casa non c’è nessuno? Dove sono andati tutti? Nessuno ha sentito il nostro messaggio in segreteria dove avvisavamo del nostro ritorno; che cosa è successo ai nostri familiari?
Sono questi alcuni degli interrogativi che ci porremo in questo gioco; tutta via alcune delle risposte che cerchiamo sono perfettamente li davanti a noi, nell’immensa villa di Arbor Hill, in attesa di essere scovate.
Ed ecco quindi che con una visuale in prima persona e comandi alla mano, impersonificheremo Kate, la ragazza che ha lasciato casa e che ora è ritornata.
Liberi di vivere
Il bello di Gone Home è che non ci sono frecce o segnali luminosi ad indicarci il percorso da seguire; l’unica nostra guida sarà la voce della sorella minore Sam che leggendoci il suo diario ci porterà passo dopo passo a ripercorrere le vicende di quell’anno di assenza.
Siamo nel 1995 e i giocatori che hanno vissuto da bambini quel periodo non potranno fare a meno di provare nostalgia ritrovando videocassette di X-Files, biglietti del cinema quando davano Pulp fiction o di sentirsi di nuovo bambini davanti a delle cartucce di Street Fighter per Super Nintendo.
Ci ritroveremo quindi ad esplorare ogni singolo centimetro della villa in una frenetica ricerca di indizi per sapere che fine ha fatto la nostra famiglia.
Interagire con gli oggetti è tutto ciò che potremo fare in questo gioco; aprendo e chiudendo cassetti, antine, ascoltando vecchi dischi in vinile o musicassette; scoprendo i misteri della casa attraverso passaggi segreti o combinazioni di cassetti chiusi.
A questo punto probabilmente il giocatore più esigente potrebbe spazientirsi perché non ci sono mostri da uccidere o creature da affrontare. Tra le ante degli armadi o sotto i letti si nascondo solo ricordi e gli unici fantasmi presenti sono rappresentati da ciò che ognuno di noi si tiene dentro e da ciò che ci si può portare dietro dalle esperienze passate.
In sostanza Gone Home funziona proprio per la sua credibilità.
Esplorando la casa vuota faremo veramente in fretta ad immedesimarci, annullando il confine tra personaggio e giocatore. Ci troveremo quindi ad agire proprio come avremmo fatto nella realtà se quella fosse stata realmente casa nostra; accanendoci su un’antina che non si chiude, accendendo ogni luce per sentirsi meno soli con un giusto senso di inquietudine mentre sobbalziamo ai tuoni del temporale.
Liberi di esplorare
L’interattività ci permette di poter toccare con mano ed esaminare da vicino una grande varietà di oggetti presenti in casa, riprodotti fedelmente. Sono gli oggetti stessi il punto cardine del gioco, poiché ognuno di loro va a comporre parte di quel grande puzzle di interrogativi che ci sono stati presentati non appena abbiamo iniziato il gioco.
Man mano che esploreremo si aprirà l’accesso a nuove porte e alle storie sulla famiglia fino ad ora celate. Ognuno di loro ha i proprio segreti, una sorta di “scheletro nell’armadio”; gli oggetti d’uso quotidiano li descriveranno mettendo a nudo i loro disagi, problemi o crisi.
Il gioco si rivela lui stesso un vero e proprio enigma, poiché non c’è un modo giusto per giocarvi: anche esplorando minuziosamente ogni singolo dettaglio, molto sarà lasciato alla libera interpretazione del giocatore e sotto questo punto di vista rigiocabile, per trovare varie chiavi di lettura.
Alla riscoperta
Gone Home racconta una storia reale con la quale ognuno di noi può ritrovarsi ed emozionarsi. Una storia sull’amore e sugli affetti che ci circondano che invita alla riscoperta.
Ognuno di noi può giocare a Gone Home anche senza un computer, nella vita quotidiana; prestando attenzione ai dettagli mentre si è per strada durante una passeggiata, mentre si è in macchina o si parla con una persona; riscoprendo il mondo e le persone che ci circondando.
Gone Home è un gioco particolare nel suo genere: non c’è un vero e proprio gameplay, un combat o un comparto grafico da analizzare. C’è solo una storia ordinaria di una famiglia come tante altre.
Un gioco sicuramente destinato ad un pubblico di nicchia, consigliato a chi ha voglia di imparare a riscoprire.
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