Kingdom Come Deliverance 2 è stato al centro di una polemica che si è rivelata priva di fondamento. La vicenda è iniziata con la diffusione di una notizia secondo cui il gioco sarebbe stato bandito in Arabia Saudita a causa di una presunta scena obbligatoria a tema gay.
Daniel Vávra, co-fondatore di Warhorse Studios, non ha tardato a intervenire, smentendo con fermezza le speculazioni attraverso dichiarazioni inequivocabili sui social:
Nei nostri giochi NON ci sono cutscene non skippabili. Chiunque affermi il contrario non li ha mai giocati
NON siamo (né lo siamo mai stati) banditi in nessun paese – o almeno non ne siamo a conoscenza.”
Inoltre, Vávra ha ricordato che già il primo capitolo della serie includeva opzioni narrative che consentivano ai giocatori di esplorare relazioni con personaggi gay. Tuttavia, ha sottolineato che tutte le scelte narrative erano e restano completamente facoltative:
Se volete che Henry intraprenda un’avventura omosessuale, sentitevi liberi. Se non lo volete, non dovete farlo. Tutti gli affari sono facoltativi.
Nonostante la smentita, la vicenda ha riportato sotto i riflettori il dibattito sulla rappresentazione della diversità nei videogiochi. Alcuni critici hanno etichettato Kingdom Come Deliverance 2 come “woke”, accusando il titolo di promuovere una “diversità forzata”.
Questo tipo di critica non è nuovo nell’industria videoludica. Titoli come Intergalactic: The Heretic Prophet di Naughty Dog sono stati oggetto di accuse simili, dimostrando come il tema dell’inclusività continui a dividere il pubblico.
Nonostante le polemiche, la posizione di Daniel Vávra e del team di Warhorse Studios è chiara: la libertà di scelta del giocatore è il cuore dell’esperienza di gioco. La loro attenzione per un gameplay che rispetti le preferenze individuali rimane un tratto distintivo della serie, che punta a coinvolgere i giocatori senza imporre percorsi narrativi obbligati.
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