Home Videogiochi Rubriche Lezioni di Storia: Banjo-Kazooie – Parte I

Lezioni di Storia: Banjo-Kazooie – Parte I

Ci sono un orso, un Breegull, una strega, un calderone parlante e una talpa. No, non è l’inizio di una barzelletta fantasy, bensì la lista degli attori principali del filmato di apertura di uno dei più significativi e riusciti platform 3D della storia dei videogiochi, Banjo-Kazooie. Un titolo che forse dirà poco ai più giovani, ormai lontani nel tempo e nello spirito da questi mostri sacri del passato, ma che per molti, compreso chi scrive, ha significato una splendida pagina della sua vita di appassionato del medium. Fu uno dei miei primi videogiochi “di proprietà”, addirittura lo acquistai – si fa per dire, ovviamente all’epoca ad acquistare i videogiochi erano i genitori o i nonni – prima di Super Mario 64, in un momento storico nel quale l’idraulico italiano era sulla bocca di tutti. Ma torneremo sull’argomento, non preoccupatevi. Ora mettetevi comodi, amiche ed amici, perché oggi Uagna.it vi accompagnerà nel viaggio attraverso la retrospettiva della serie di Banjo e Kazooie!

UN SOGNO

Come molti altri prima di loro, le due vecchie icone di Nintendo 64 hanno trascorsi che li vedevano, nei primi concept di quello che sarebbe stato il nuovo videogioco di Rare dopo aver lavorato per anni sul franchise di Donkey Kong, essere molto differenti rispetto a quella che è la loro forma che conosciamo tutti molto bene. L’orso Banjo e il breegull – una razza inventata di uccello tropicale – Kazooie erano infatti in origine un ragazzo ed il suo cane, che avrebbero intrapreso un incredibile viaggio nel videogioco Dream: Land of Giants.

Vogliosa di sperimentare e di continuare a far sognare i giocatori di tutto il mondo, Rare era nella seconda metà degli anni ’90 forse la software house più in voga, insieme ovviamente ad astri nascenti come Naughty Dog, Insomniac Games e altri oggi prestigiosi nomi. Dalla sua però Rare, rispetto ad esempio ai due nomi appena citati, aveva una notevole esperienza sulle spalle: non solo la serie platform di Donkey Kong Country, ma anche lo sparatutto 007: GoldenEye, il picchiaduro Killer Instinct, e così via. Insomma, la software house, che dal 1994 stipulò un contratto di esclusiva con Nintendo per lavorare prima su SNES e poi su Nintendo 64, sapeva destreggiarsi sui lidi più disparati e sfruttare al meglio l’hardware della Grande N. Viene così l’idea, nel 1995, di provare a sfondare anche nel campo dei giochi di ruolo, iniziando lo sviluppo, sotto il nome in codice di Project Dream, di quello che poi sarebbe dovuto essere chiamato Dream: Land of Giants.

Il progetto venne ufficializzato quell’anno, e sarebbe stato creato dallo stesso team che aveva sviluppato, sempre nel 1995, Donkey Kong Country 2: Diddy’s Kong Quest. Un titolo visionario e imponente, nelle menti di Rare, che si sarebbe ispirato non solo ai grandi JRPG del momento ma anche alle avventure di LucasArts, altro studio sulla bocca di tutti in quegli anni grazie a perle come Monkey Island e Indiana Jones. Fin troppo imponente per le povere risorse a disposizione del Super Nintendo, tanto da costringere il colosso di Kyoto a dirottare il progetto su Nintendo 64 che sarebbe uscito di lì a poco sul mercato e che ovviamente voleva imporsi da subito come un acquisto obbligato per i videogiocatori anche grazie ai prodotti targati Rare.

Uno screenshot del defunto Dream: Land of Giants.

Naturalmente, il fatto di avere sulle spalle tanti anni di esperienza non è sempre sinonimo di perfezione e di obiettivi sempre centrati, e proprio il passaggio di Project Dream su N64 fu la sua “rovina”. Il tema fantasy del gioco, prima dominante, venne progressivamente abbandonato, così come anche una componente più dark che fece posto a contenuti più family friendly, per così dire, senza però sfociare nell’infantilità. L’idea iniziale di Dream: Land of Giants era quella di un lungo viaggio che avrebbe coinvolto il giovane Edson e il suo cane Dinger (si parlava anche di un pappagallo di nome Billy, nei primi concept del gioco), che si sarebbero ritrovati a fronteggiare il temibile pirata Blackeye pronto a mettere le mani su una sostanza che avrebbe permesso alla sua flotta di navi di volare. Il combat system, e il gioco in generale, sembravano almeno nelle intenzioni richiamare quelli che poi sono stati i mitici The Legend of Zelda su N64, ma all’epoca ovviamente Rare non poteva saperlo.

Rare, però, finì col fare il passo più lungo della gamba. Forse spinti dal desiderio di spingere il più possibile le potenzialità di N64, o di proporre qualcosa di completamente memorabile, gli sviluppatori si resero conto, ad un certo punto, che l’idea iniziale era stata talmente stravolta che il gioco in sé, per come era stato pensato, non aveva più senso. Il co-founder di Rare, Tim Stamper, dichiarò addirittura che Edson, il protagonista, sembrava non avere più un ruolo centrale nelle vicende di questo gioco, che progressivamente era passato dal tema fiabesco a dare più importanza ai pirati e al divertimento. Così, il povero Edson venne mandato in soffitta ancor prima di fare il suo esordio, nonostante esistano prove video e immagini del fatto che il gioco, come è ovvio che sia dopo molti mesi di sviluppo, fosse in stato avanzato dei lavori. Il ragazzo un tempo protagonista venne prima rimpiazzato da un coniglio, e infine lo stesso Stamper decise di sostituirlo con quello che era, in Project Dream, un personaggio secondario. Un orso bruno, dotato di uno zaino nel quale poteva trasportare molti oggetti. Il suo nome, forse lo avrete già capito, era Banjo.

UN UCCELLO DALLE MILLE CAPACITÀ

Dopo sedici mesi di sviluppo e ben quattro reboot del progetto, Dream: Land of Giants venne ufficialmente abbandonato dal team addetto di Rare, che si rimboccò le maniche nel 1997 per iniziare a dare forma ad un nuovo platform 3D sulla scia del successo di Donkey Kong Country. La struttura del precedente progetto viene completamente stravolta, e quello che poi sarà chiamato Banjo-Kazooie avrà un aspetto e una forma nettamente differenti dal progenitore. Il divertire, innanzitutto, venne posto come obiettivo principale, proprio come stava facendo un altro team di Rare al lavoro su Conker’s Bad Fur Day. Ma non è tutto, ovviamente.

Come detto, il ruolo del protagonista venne affidato al buon orsetto Banjo, al quale venne affiancato l’uccello Kazooie che vive perennemente all’interno del suo zaino blu per dar vita a qualcosa di completamente differente. Super Mario 64 ci aveva insegnato che l’idraulico italiano, con la sola forza delle sue game (e delle sue chiappe), era in grado di compiere mirabolanti mosse, di saltare sui muri con estrema naturalezza, e di diventare un funambolo all’occorrenza. L’inserimento di Kazooie nell’economia globale di Banjo-Kazooie sarà uno dei grandi punti di forza del nuovo platform Rare, che tramite la perfetta sinergia del duo di protagonisti poté garantire al giocatore una varietà di attributi e mosse da far davvero accapponare la pelle di chi non sapeva cosa stesse per trovarsi di fronte una volta inserita la cartuccia nella console.

Gregg Myles, designer capo di Banjo-Kazooie, ha avuto modo di parlare di questa importante scelta di inserire il breegull come nuovo elemento cardine del gameplay, che in un mondo che cercava di fondere le idee di Super Mario 64 e di Donkey Kong Country poteva garantire possibilità quasi illimitate:

Abbiamo avuto l’idea […] che un paio di ali potrebbero apparire dal suo zaino per aiutarlo a eseguire un secondo salto. Volevamo anche che Banjo fosse in grado di correre molto velocemente quando richiesto, così abbiamo aggiunto un paio di gambe “a corsa rapida” che sono apparse nella parte inferiore dello zaino. E subito dopo siamo giunti alla conclusione logica che questi potrebbero appartenere a un altro personaggio, uno che viveva effettivamente nello zaino di Banjo [da Retro Gamer, The Making of Banjo-Kazooie]

Ne scaturirà, da questa illuminante idea di design, uno dei moveset più imprevedibili e straordinari di sempre. Mentre Banjo, da solo, poteva limitarsi a prendere a cazzottoni qualcuno o a correre ed eseguire piccoli salti, era grazie all’interazione con Kazooie che vedevamo il vero risultato delle novità. L’orso poteva usare il breegull per riposarsi e lasciarsi trasportare da lui, o utilizzare il suo poderoso becco per rompere oggetti duri o lanciare uova per colpire i nemici, o ancora sfruttare le sue ali per librarsi in volo o creare uno scudo impenetrabile intorno a lui. Ma per proteggersi da cosa, vi chiederete voi?

A CACCIA DI PUZZLE

È una mattina come tante a Spiral Mountain, soleggiata valle dove vivono allegramente l’uccello Kazooie – di sesso femminile, ci teniamo a specificarlo prima di ricevere una beccata – la talpa Bottles, l’orso Banjo e la sua dolce sorellina Tootie. Una giornata come tante: Tootie esce presto per fare un giro ed esplorare la montagna a spirale, incontrando anche Bottles sul suo cammino con il quale conversa amichevolmente. I piani della piccola orsetta vengono però funestati quando la perfida strega Gruntilde, una delle donne oggettivamente più brutte che si siano mai viste sul globo terracqueo, riesce a ultimare la sua invenzione: una macchina che le permette di assorbire la bellezza da un essere vivente e trasferirla su sé stessa. E su chi potrà ricadere la scelta di cavia per questo terribile esperimento, se non su Tootie? Gruntilde riesce a rapire la ragazzina approfittando di Banjo e Kazooie che ancora riposano beatamente, e la conduce con sé in cima alla torre del suo castello per dare inizio al processo di assorbimento della bellezza. Banjo e Kazooie, invece, vedono stravolti i propri progetti di dormire più o meno 24 ore al giorno, e partono per la loro prima, grandiosa avventura prima che sia troppo tardi. Tradotto, prima che Tootie si trasformi in uno schifosissimo troll dai capelli biondi.

Senza perdersi in troppe chiacchiere, il plot di Banjo-Kazooie si può definirsi concluso. Del resto, come capitava con i platform di un tempo, serviva ben poca storia per dar vita ad un’esperienza indimenticabile, e ricalcando molto da vicino i temi di un classico Super Mario – la solita damigella in pericolo che deve essere salvata superando una serie di ardue prove – anche il gioco Rare liquidava le sue premesse e tutto quello che c’era da sapere sulla storia nei primi 5 minuti. Ma certamente Banjo-Kazooie non voleva sorprendere per il suo intreccio narrativo. L’obiettivo era quello di sorprendere e divertite, in mille altri modi.

Proprio come in Super Mario 64, anche Banjo-Kazooie sfruttava un grande HUB centrale, il castello di Gruntilda, dal quale era possibile accedere a vari mondi dalle tematiche più disparate. Si andava dal primo, il semplice e contenuto Mumbo’s Mountain nel quale facevamo la conoscenza dello sciamano più narcolettico dell’universo, fino a mondi dalle ambientazioni ricorrenti nei platform quando si è alla ricerca di varietà. L’Egitto di Gobi’s Valley, ad esempio, o le paludi di Bubblegloop Swamp, o ancora le valli innevate di Freezeezy Peak, dominate da un gigantesco pupazzo di neve scalabile che osserva tutti silenziosamente. Con un livello di difficoltà crescente, aumentavano progressivamente anche le grandiose ambientazioni, che culminavano in quello che, a parere di chi scrive, è uno dei mondi più belli mai realizzati nella storia dei platform, Click Clock Wood. Un bosco che, come suggerisce il nome, è legato a stretto contatto con il concetto di tempo che passa. Attraverso alcuni portali, era infatti possibile accedere all’area in primavera, o in estate, o in autunno, o ancora in inverno, e questo provocava non solo un cambiamento dell’aspetto generale di Click Clock Wood ma anche dei personaggi e dei collezionabili da cercare. Non solo: anche la musica, affidata alle sapienti mani di Grant Kirkhope, si evolveva con naturalezza passando da un ambiente ad un altro, e questo lo si riscontra in tutto l’arco del gioco. Lo stesso Kirkhope, da sempre legato a Banjo-Kazooie, si disse entusiasta per ciò che il gioco riusciva a comunicare e a rappresentare, e la musica, parte integrante dell’esperienza grazie a temi sempre riconoscibili e iconici, ne era un’ulteriore prova.

Certo, per proseguire nel cammino non bastava entrare in un mondo ed ascoltarne le melodie, ma, come da tradizione, raccogliere alcuni preziosi oggetti. Tra questi, i più fondamentali erano certamente le Note Musicali, 100 in ogni livello, e i Jiggies, pezzi di puzzle dorati che servivano poi a Banjo e Kazooie a ricomporre i dipinti sparsi per il covo di Gruntilda – dipinti legati a mondi… qualcuno ha detto Super Mario 64? – e continuare il proprio viaggio. Già di per sé, l’idea era molto simpatica, ma se c’è un aspetto sul quale Banjo-Kazooie non ha mai deluso è proprio quello del divertimento. Il solo ascoltare i dialoghi dei due personaggi, resi tramite un iconico borbottio, faceva capire quanto lavoro ci fosse stato dietro al gioco per rendere ogni secondo memorabile per un giovane giocatore. In più, ogni aspetto del gioco era studiato per fare in modo che tutti, dal minion più insignificante al personaggio secondario ricorrente, avessero una loro personalità, un design caratteristico e un significato importante per l’economia globale di Banjo-Kazooie. Quel che il gioco Rare era, e che finì sotto gli occhi di tutti nel 1998 durante il suo esordio, è riconducibile in una sola parola: capolavoro. Banjo-Kazooie aveva idee – ma vi ricordate le celle di favo da raccogliere per ottenere una barra di vita in più? – aveva spessore, aveva un’anima che ritengo, e sono pronto ad accogliere le numerose lamentele della fanbase, addirittura superiore in alcuni elementi al suo illustre rivale Super Mario 64. Anche una cosa banale come l’HUB, che in Mario 64 ho sempre ritenuto essere stato sfruttato poco a dovere, diventa più vivo, più ricco di cose da fare prima di culminare nella grandiosa boss fight contro Gruntilda. Ah, certo, non prima di aver superato un quizzone mortale a tema Banjo-Kazooie da parte della strega che costringe il duo a tenere memoria di tutti gli eventi, mondi e personaggi che hanno incontrato. Straordinario. Davvero straordinario.

Nato dalle ceneri di un progetto altrettanto interessante, Banjo-Kazooie non aveva fatto altro che consacrare ulteriormente il nome di Rare, e dare a Nintendo una nuova icona da aggiungere alla sua già sconfinata schiera di mascotte come Link, Mario e Kirby. Purtroppo però, come sappiamo, la fama non è tutto. Ma ne riparleremo più avanti, nella seconda parte di questa retrospettiva sulla serie che si occuperà di ciò che venne dopo. A partire da un altro immenso capolavoro: Banjo-Tooie.

Bonus: prima di lasciarvi e di darvi appuntamento alla seconda parte che uscirà prossimamente, richiamo alla memoria uno degli elementi più enigmatici di sempre di Banjo-Kazooie, gli Stop’n’Swop. Al termine della storia del gioco, Mumbo, ormai in vacanza con il duo, mostrava alcuni enigmatici filmati di gioco nei quali Banjo e Kazooie visitavano luoghi mai visti prima a caccia di uova giganti colorate e altri oggetti particolari. Come si potevano ottenere e a cosa servivano? A tal proposito, esistevano ed esistono tuttora diverse teorie, che sembravano legarli al suo sequel. Per ottenerli, bastava inserire alcuni codici all’interno del castello di sabbia su Treasure Trove Cove, ma purtroppo il reale scopo di questi oggetti è ancora oggi poco chiaro. Gli Stop’n’Swop di Banjo-Kazooie, a 20 anni dalla sua uscita, rappresentano uno dei più grandi misteri della storia dei videogiochi. Un giorno, forse, potrei parlarvene. La mia esperienza con loro è stata quasi traumatica…

Scritto da
Andrea "Geo" Peroni

Entra a contatto con uno strano oggetto chiamato "videogioco" alla tenera età di 5 anni, e da lì in poi la sua mente sarà focalizzata per sempre sul mondo videoludico. Fan sfegatato della serie Kingdom Hearts e della Marvel Comics, che mi divertono fin da bambino. Cacciatore di Trofei DOP.

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