Il seguente personalissimo pezzo contiene spoileroni clamorosi sulla trama di Red Dead Redemption II. Se ancora non avete terminato la campagna single player del capolavoro di Rockstar Games, evitate di rovinarvi la sorpresa: uscite subito da questo articolo e leggetelo solamente quando sarà giunto il momento.
Dopo più di due mesi, la mia avventura su Red Dead Redemption II si avvicina alla conclusione. Tra la vastità del nuovo gioco Rockstar e una serie di numerosi altri giochi, l’attesa per arrivare alla fatidica parola “Fine” si è prolungata anche troppo, ma fortunatamente grazie a questi ultimi stralci di vacanze natalizie sto procedendo con le battute finali del titolo. La vera fine, a dire il vero, è ancora lontana: ho da pochissimo preso il controllo di John Marston per quello che è l’epilogo di Red Dead Redemption II, e la vera e propria conclusione della trama sembra ancora distante alcune ore di gioco.
Ma chi di voi ha già finito la storia, o comunque è arrivato a questo punto della trama, sa perfettamente cosa ho appena vissuto. La morte del protagonista, Arthur Morgan, dopo una lunga malattia e a seguito di quello che è uno dei momenti a mio avviso più emozionanti di sempre nella storia dei videogiochi. Un viaggio di pochi minuti, lungo il quale la vita di un Arthur il cui onore è al massimo livello (ci tengo a sottolinearlo, perché in caso contrario la sequenza cambia) gli passa letteralmente davanti agli occhi, prima della grande resa dei conti che, lui già lo sa, gli costerà la vita. L’ultima cavalcata di Arthur Morgan.
Deluso da Dutch, che ormai sembra non essere più il prode condottiero che abbiamo seguito per mari e monti, Arthur ha assistito ormai al crollo totale delle proprie certezze. Dutch è in preda a deliri di onnipotenza che lo hanno allontanato dalla sua gente, Marston è disperso, la tribù di Aquila che Vola è condannate a fuggire dalle proprie terre, simbolo di un capitalismo senza scrupoli che avrà ripercussioni anche ai giorni nostri. E poi c’è la Pinkerton, e il maledetto agente Milton che prima di morire ha confidato ad Arthur il nome del traditore: il maledettissimo Micah, l’uomo che fin dalla sua prima apparizione si fa odiare. Ora più che mai. E Arthur, il cui tempo è ormai agli sgoccioli, sale a cavallo, pronto per la resa dei conti definitiva.
L’ultima cavalcata di Arthur è una scena potentissima a livello di narrazione, di racconto e di regia, uno dei momenti emozionalmente più significativi che il panorama videoludico ci abbia mai regalato. Perché tutto quello che c’è in questa sequenza, tutto quello che rappresenta, tutta la sua messa in scena, sono qualcosa di concepito apposta per restare impressi nella memoria, per chiudere un cerchio, per preparare il giocatore ad un momento ormai scontato ma che già sappiamo sarà memorabile. L’ultima cavalcata di Arthur è forse il più importante momento nella narrazione di Red Dead Redemption II, quello dove tutti i nodi stanno finalmente venendo al pettine, quello dove la resa dei conti è imminente, quello dove emerge tutta la grandezza di questo capolavoro.
Perché nel momento in cui riprendiamo la nostra corsa a cavallo dopo aver salvato Abigail e Sadie dalle grinfie di Milton e della Pinkerton, nel momento in cui l’interfaccia scompare lasciando la sola e pulita visuale sull’ormai solitario cowboy, nel momento in cui partono le note di That’s The Way It Is di Daniel Lanois, è lì che il cuore sobbalza, che la mente si ferma impietrita di fronte alla magnificenza di questo istante e ad un inevitabile destino che sta per compiersi. La storia di Arthur sta volgendo al termine, lo capiamo, lo percepiamo in ognuno degli interminabili istanti di questa sequenza di circa 3 minuti che compongono il gran finale di un personaggio che passerà alla storia videoludica. Letteralmente, la sua vita gli passa davanti agli occhi, proprio come ai nostri. La persona che credeva di essere, l’uomo che è diventato, il fuorilegge con un codice etico che ha voluto essere, l’amante che non è mai stato. Gli amici che ha perso, le vite che è riuscito a salvare, e quelle che invece sa che non potrà mai più rivedere. Tutto viene riassunto qui, come conclusione di un viaggio che sembrava, o forse noi volevamo che fosse, interminabile.
Come nel più classico dei film d’azione, come nel più eroico western che si ricordi, l’ultima cavalcata di Arthur è un momento sentimentalmente emozionante. Un crescendo di angoscia e tristezza al pensiero di ciò che ci attende, ma al contempo un maestoso elogio a colui che abbiamo impersonato lungo tutto il nostro viaggio in Red Dead Redemption II, un uomo che abbiamo visto crescere, provare, fallire e redimersi, dimostrando che anche nel cuore del più duro si annida qualcosa che non è facile da spiegare, neppure per Arthur.
Ancora oggi, a diversi giorni di distanza dall’aver vissuto questo incredibile momento, approfitto di YouTube per riascoltare le note di That’s The Way It Is, e per rivivere quelli che sono gli ultimi momenti di Arthur Morgan, in particolare proprio la sequenza che ho appena elogiato (e che vi lascio di seguito, nel caso vogliate approfittarne). E penso, conoscendomi, che lo farò ancora per molto tempo. Ciò che abbiamo visto, in Red Dead Redemption II, trascende le leggi di un videogioco. Questa è pura arte nel saper raccontare, ed emozionare.
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