Un paio di settimane fa, come semplice esperimento, ho provato a scrivere uno speciale articolo dal titolo “E se l’acquisizione non dovesse andare a buon fine?”. Un’ipotesi abbastanza campata per aria, considerando che fino al 26 aprile tutti gli indizi puntavano in favore di Microsoft: accordi con numerose aziende, espansione dei giochi Xbox e Activision, tutti contenti – a parte Sony, chiaro. Ora, dopo gli ultimi avvicendamenti, un pensiero di questo tipo non è più così assurdo come pensavamo.
Fermo restando che il discorso è ancora aperto, poiché sia Microsoft che Activision hanno già espresso la volontà di contestare il verdetto della CMA, di fronte al mondo dei videogiochi si apre ora uno scenario che in pochi, specie dopo la valanga di accordi siglati da Redmond, erano disposti ad accettare. L’acquisizione da 69 miliardi di Activision Blizzard King non solo non è più scontata come lo era prima (lo è mai stata?), ma è anche tremendamente messa a rischio da un ente dall’enorme potere, che ora potrebbe essere seguito a ruota libera dalle altre agenzie che ancora devono pronunciarsi. E se pensiamo che la FTC degli Stati Uniti ha già deciso di portare in tribunale Microsoft per impedire questo scenario, capirete che ora la situazione è seria.
Xbox, in questo momento, sembra avere pochi alleati in questa delicatissima fase, e anzi anche aziende con le quali ha stretto una collaborazione, come Nintendo, si sono defilate da eventuali discussioni con la FTC o altri enti per parlare dei risvolti di questa acquisizione (mentre Nvidia ha ribadito di essere oggi favorevole all’acquisizione). Ma, in effetti, che gliene frega a Nintendo? Avere Call of Duty su piattaforme della grande N non è più una priorità da quasi un decennio, e sembra che dalle parti di Kyoto le cose non siano cambiate: Switch è andata straordinariamente bene anche senza avere a disposizione immense IP di Activision (l’unica di grande rilievo su Nintendo è stata Crash Bandicoot), e anche con la prossima console alle porte l’azienda non vede l’alleanza con Microsoft come una necessità. Parlano i fatti.
Ma ora, di fronte a questo per certi versi clamoroso no, che in realtà ha le sue motivazioni se andiamo a scavare nella documentazione della CMA – spoiler: l’ente è preoccupato per la gestione del settore del cloud gaming, che già oggi è detenuto per il 70% da Microsoft, oltre per il fatto che il prezzo di Xbox Game Pass potrebbe aumentare considerevolmente andando a discapito dei consumatori – serve ora fare un passo indietro e iniziare a pensare a quello che potrebbe essere il futuro del mondo dei videogiochi.
Un mondo che ne uscirà sensibilmente cambiato, profondamente devastato da un’altra, l’ennesima, console war che si è venuta a creare tra due colossi che, sorpresa sorpresa, hanno solo cercato di fare i propri interessi. Incredibile ma vero, sia Sony che Microsoft non hanno messo in piedi questo teatrino per farsi amare dai consumatori, ma per accrescere il proprio portafogli. Fatevene una ragione. Microsoft non ha arcobaleni e unicorni volanti che fanno la felicità dei bambini di tutto il mondo, Sony non è la divinità che offre in dono ai comuni mortali le sue produzioni. Sono due aziende che devono fare solo una cosa: soldi, denaro, dindini, big money, chiamateli come volete.
Ma ora, dicevamo, la situazione è davvero seria. Il no della CMA apre a prospettive insolite, non solo perché l’acquisizione rischia davvero ora di saltare, ma anche perché le indagini degli enti, che in tutto questo hanno dimostrato di conoscere molto poco il mercato dei videogiochi al pari di vari senatori americani i cui interventi sono prova di una disinformazione clamorosa in entrambi i sensi, hanno evidenziato anche pratiche insolite, ma da alcuni ipotizzate, che riguardano ad esempio la netta chiusura chiesta da Sony a Square Enix per quanto riguarda la pubblicazione di Final Fantasy su Xbox. Pratiche commerciali che, tuttavia, non sono una cosa nuova nel mondo dei videogiochi: sin dall’alba dei tempi le grandi aziende spingono verso accordi che devono favorire le proprie piattaforme, e chi non riesce ad adeguarsi resta indietro. Su questo, c’è poco da dire: si può o meno essere d’accordo su queste mosse, ma nulla è vietato in amore e in guerra – e soprattutto non siamo certo noi consumatori a poter dire “si può fare” oppure no.
Una strada che oggi, tuttavia, potrebbe tornare a essere centrale, specie per Microsoft che già in passato, soprattutto a cavallo tra Xbox 360 e l’inizio di Xbox One, aveva adottato questa strategia: togliere dalle mani della concorrenza videogiochi potenzialmente utili, spingendo i giocatori ad approdare sulla propria piattaforma. Chiaramente oggi la questione non riguarda più le console Xbox (che interessano molto relativamente in quel di Redmond), bensì i servizi: è giunto il momento che il Game Pass faccia vedere di che pasta è fatto, che si imponga come un dominatore sul mercato, e per farlo serve, di nuovo, dare qualcosa ai giocatori che non troverebbero da nessun’altra parte.
Se già le intenzioni erano evidenti con l’acquisizione di Bethesda, con quella di Activision lo sono (o sarebbero state?) ancora di più: i tanti proclami sull’unione e sull’amicizia sono solo una facciata, per una Microsoft che sta di fatto dicendo agli appassionati in attesa di Redfall, Starfield o chi per loro “o lo giochi su Xbox, o non lo giochi”. Stessa cosa che fa Sony eh, sia chiaro, al pari di Nintendo – e questo solo parlando dei produttori principali di console. Ma guardiamo in faccia alla realtà: Phil Spencer ha avuto carta bianca negli ultimi anni per fare grande il brand Xbox, e fino a oggi, per sua stessa ammissione (i numeri del Game Pass non sono ancora quelli sperati), la cosa non ha funzionato. Non stiamo dicendo che l’acquisizione di Activision Blizzard sarebbe stata (o sarà? È ancora tutto così indeciso…) l’ultima spiaggia, ma certo sarebbe stato tutto molto interessante.
E cosa succederà ora che l’acquisizione è sempre più a rischio? Possiamo immaginare qualche scenario.
Possiamo ad esempio immaginare che Spencer, osservando la riluttanza degli enti regolatori ad approvare l’acquisizione di grandi publisher, deciderà di acquisire singoli studi o aumentare notevolmente la forza lavoro dello software house che già possiede, spingendo ad esempio su nomi di spicco come Playground e Bethesda per dar vita a un massiccio piano di rilascio di videogiochi a cadenza quasi fissa, sognando almeno una grande esclusiva ogni 2/3 mesi accompagnata da titoli più contenuti à la Grounded o Pentiment.
Non è comunque da escludere che Redmond possa tornare sul mercato dei potenti, andando magari a bussare alla porta di quella Ubisoft che ormai sta solo sperando di essere acquisita (sentendosi rispondere niet) e portarsi a casa serie come Assassin’s Creed e Far Cry – ma anche lì, forse, nascerebbe il solito contenzioso con l’antitrust. Oppure, seguendo la stessa strategia che ha adottato in questi mesi, può proseguire nello stipulare accordi su accordi, come è accaduto anche poche ore fa con Nware. Esiste però un quarto scenario, nel quale Sony ne esce con le ossa rotte.
Sì perché come ha ribadito la stessa Activision, che non ha contatti con Sony da mesi, il futuro di Call of Duty in questo momento è precisamente delineato dai contratti esistenti: se nulla cambierà, PlayStation resterà senza i nuovi capitoli della serie a partire dal 2025, con il gioco del 2024, che dovrebbe essere realizzato da Treyarch, a rappresentare l’ultima pubblicazione in assoluto. E il no all’acquisizione non significa per forza che Activision estenderà questo accordo: Bobby Kotick, CEO del gigante americano, ha speso parole di fuoco contro il comportamento di Sony, e i rapporti potrebbero essere irrimediabilmente rotti. Di fronte a ciò Microsoft, con i suoi 69 miliardi da spendere, potrebbe prepararsi allo sgarro totale alla concorrenza: non posso acquisire Activision? Perfetto, allora la ricopro d’oro e mi porto tutti i suoi titoli al day one su Game Pass, o addirittura precludo loro l’arrivo su PlayStation come ha fatto Sony con Final Fantasy. A quel punto, 10 a 0 per Microsoft e palla al centro.
È ovvio che pensare a uno scenario con Call of Duty lontano da PlayStation sia difficile (la stessa Microsoft ha cercato di spingere Sony a estendere l’accordo attuale per i successivi dieci anni, poiché gli introiti di COD su PlayStation fanno gola), ma non è poi così impossibile. E qui si potrebbe aprire una nuova e incredibile pagina delle console war. Ma forse stiamo solo viaggiando troppo con la fantasia. Quel che è certo però è che almeno un’altra, grande mossa da parte di Microsoft per spingere Xbox, se l’affare non andrà in porto, si farà. E potrebbe essere quella definitiva.
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