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NeuraGame #2 – Come cambia la psicologia degli NPC con l’AI

Bentornati in NeuraGame, la rubrica che tratta di intelligenza artificiale nell’industria del gaming. L’obiettivo è quello di andare ad approfondire, in maniera dettagliata, alcuni degli argomenti più interessanti che legano questi due mondi. Sia per gli sviluppatori, che per i giocatori.

Oggi parliamo di un argomento tanto discusso quanto complesso da snocciolare in tutta la sua complessità: gli NPC. Più nello specifico, diamo un’occhiata a come sta cambiando la psicologia degli NPC (se ne esiste realmente una), grazie agli avanzamenti nel campo dell’intelligenza artificiale.

Anche perché, rispetto a qualche anno fa, gli NPC stanno diventando (lentamente) sempre più credibili. Partiamo da qui.

La storia degli NPC: come l’AI li ha trasformati

Ricordiamo tutti molto bene (a parte forse i giovanissimi) i periodi nei quali parlare con un NPC significava stare a sentire sempre lo stesso dialogo. Questo perché, per forza di cose, ogni personaggio non giocante aveva un numero finito di stati, con transizioni definite da condizioni programmate dagli sviluppatori. Questo, naturalmente, rendeva gli NPC prevedibili e facili da manipolare.

In questa sezione, partiremo dalle considerazioni svolte in una review del 2024, la quale raccoglie tutti gli ultimi avanzamenti da parte dell’AI nel campo dell’esperienza videoludica. L’articolo di Chen sottolinea come gli NPC tradizionali si basavano su Finite State Machines (FSM) e, successivamente, Behavior Trees (BT):

  • FSM (o automa a stati finiti): ogni NPC, come accennato in precedenza, aveva un numero predefinito di dialoghi e azioni da compiere, ben definiti durante la fase di design e sviluppo.
  • BT (o albero comportamentale): tramite queste strutture gerarchiche, gli NPC diventano più flessibili, ma rimangono comunque limitati dalle necessità di uno scripting manuale.

Insomma, il problema è sempre uno: la ripetitività rende gli NPC prevedibili e poco credibili.

Poi, arriva quel boost dato dall’AI che, ad oggi, permette di avere uno scorcio del potenziale il quale, nei prossimi anni, si concretizzerà.

I personaggi non giocanti possono ora apprendere, adattarsi e rispondere in tempo reale alle azioni del videogiocatore. Il reinforcement learning permette a quest’ultimi di migliorare continuamente attraverso il trial and error, creando reazioni dinamiche e non pre-programmate. E sta tutta qui la differenza.

Per fare un esempio concreto, in Cyberpunk 2077 abbiamo già avuto un assaggio di NPC con routine variabili, anche se sono ancora lontani da una vera e propria adattabilità. Il progetto OpenAI Five ha invece dimostrato come NPC controllati da un’AI avanzata possono sviluppare strategie emergenti (e quindi non pre-programmate), persino in giochi complessi.

AI generativa - gaming

Insomma, ad oggi abbiamo avuto modo di dare un’occhiata a quelle che sono le vere potenzialità date dall’AI nello sviluppo di NPC credibili. Tuttavia, non abbiamo ancora potuto ammirare delle entità completamente autonome: c’è ancora bisogno di dataset pre-addestrati e di regole per mantenere una coerenza narrativa.

L’aspetto che distingue profondamente un NPC da una persona reale, in ogni caso, non è tanto la sua capacità di adattarsi, quanto la sua psicologia. Un personaggio virtuale è in grado di avere una personalità? Gli avanzamenti nel campo dell’AI ci stanno realmente portando in questa direzione? Scopriamolo.

Prima di proseguire, però, vi ricordo che nello scorso capitolo di NeuraGame abbiamo trattato dell’AI generativa e della creatività nello sviluppo dei videogiochi. Una macchina sa essere creativa? Ci siamo chiesti anche questo.

Un NPC può sviluppare emozioni autentiche?

Fino a pochi anni fa, gli NPC erano poco più che elementi di contorno nei videogiochi: ripetevano le stesse frasi, eseguivano le medesime routine e non mostravano segni di cambiamento o introspezione. Oggi, gli sviluppatori stanno cercando di renderli più dinamici, più adattivi, più umani.

Ma fino a che punto gli NPC sono in grado di “sentire” e di “cambiare”? E soprattutto, quanto di tutto ciò è reale e quanto è solo un’illusione ben costruita?

Secondo Georgeson e Child (2016), uno dei limiti principali degli NPC tradizionali era proprio l’incapacità di modificare la propria personalità in modo naturale. Insomma, i loro tratti caratteriali erano ben definiti: un personaggio poteva essere aggressivo o pacifico, amichevole o diffidente, pieno d’amore o pieno d’odio, ma non era in grado di cambiare in base alle interazioni con il giocatore.

Agganciandosi a concetti tipici della psicologia come la teoria dei Big Five, che in breve definisce i cinque tratti della personalità, l’AI ha iniziato a modellare tratti psicologici sempre più complessi, permettendo agli NPC di sviluppare atteggiamenti più sfumati e sempre più realistici.

AI generativa - sviluppo videogiochi

Un altro aspetto fondamentale nella psicologia degli NPC riguarda la memoria. La capacità di ricordare eventi passati e utilizzarli per modellare il comportamento futuro è una delle caratteristiche distintive dell’intelligenza umana. Nel caso degli NPC, l’implementazione di una memoria episodica ha permesso loro di tenere traccia delle interazioni con il giocatore, così da poter modificare il proprio atteggiamento nei suoi confronti.

Chen (2024), sottolinea come questa memoria sia ad oggi limitata a schemi rigidi, in cui il sistema tiene traccia di ancora un numero troppo limitato di variabili.

La componente più affascinante della psicologia degli NPC è, senza dubbio, la capacità di simulare emozioni. Per anni, l’idea che un personaggio di un videogioco potesse “provare” concetti strettamente legati alla capacità unica del cervello umano era confinata alla scrittura di dialoghi e animazioni facciali. Ad oggi, con l’uso di reti neurali e modelli di deep learning, l’AI è in grado di adattare lo stato emotivo degli NPC in tempo reale. Eppure, nonostante ciò, ci troviamo senza dubbio ancora di fronte a una simulazione di emozioni, e non a sentimenti reali.

Gli NPC non “provano” nel senso umano del termine, ma si basano su algoritmi che analizzano le interazioni del giocatore e selezionano la risposta più appropriata in base a modelli statistici. A questo punto, però, mi sorge una domanda: se un NPC è in grado di imitare perfettamente una reazione emotiva, importa davvero se quell’emozione è autentica o meno? Lascio a voi la risposta. Anche se forse, pure in questo caso, la verità assoluta è un’utopia.

Nelle prossime righe, per concludere, voglio lasciarvi con qualche riflessione interessante sulla capacità di sfruttare gli NPC come strumento per la gestione dell’ansia e dello stress nei giocatori, tramite l’interazione con essi.

Come gli NPC ci possono far stare meglio

Nel corso della mia vita, mi è capitato spesso di affidarmi ai videogiochi in momenti difficili per riuscire a trovare un angolo di pace. Chiaramente, questi non sono in grado di sostituire l’aiuto di amici e familiari, nei momenti più bui, ma sicuramente possono farci stare meglio.

In questo senso, ci tengo a offrire un paio di spunti che ritengo interessanti legati al potenziale degli NPC come supporto per la gestione dello stress. Le prossime righe nascono dalla lettura di un articolo pubblicato nel 2024 da Gao e colleghi, che vi invito a leggere in caso l’argomento dovesse suscitare il vostro interesse.

NPC e AI - psicologia

Secondo gli autori, l’integrazione degli LLM negli NPC potrebbe trasformarli in interlocutori attivi, in grado non solo di supportare i giocatori durante la loro avventura, ma anche nel loro benessere psicologico. Questa riflessione nasce dal fatto che un LLM integrato all’interno di un videogioco, come “mente” di un NPC, può sfruttare un contesto narrativo e ambientale che amplifica la qualità dell’interazione, creando un’esperienza più immersiva e meno artificiale (a differenza dell’utilizzo di strumenti come ChatGPT, per fare un esempio).

Questo tipo di applicazione non solo rende un videogioco più realistico, ma apre nuove possibilità nel campo del gaming terapeutico. In questo senso, vi invito a leggere un altro nostro articolo sul confronto diretto tra una cosa che tanto amiamo, i videogiochi, e una che tanto odiamo, il cancro.

Insomma, gli NPC che comprendono e rispondono alle emozioni del videogiocatore potrebbero superare la barriera tra intelligenza artificiale e relazione umana. Questo, naturalmente, introduce una serie di quesiti etici: è giusto che si affidi questo tipo di potere ai personaggi non giocanti di un videogioco? D’altra parte, chi ha utilizzato e utilizza i videogiochi come mezzo di supporto psicologico continuerà a farlo indipendentemente dal metodo attraverso il quale la macchina pensa.

Per concludere, abbiamo visto brevemente come un oggetto così importante all’interno di buona parte dei videogiochi stia affrontando un periodo di transizione, con la speranza di poter vivere (a breve) esperienze sempre più immersive. Per divertirci e per stare meglio, perché alla fine è questo il motivo per cui giochiamo.

Scritto da
Gianluca Rossi

Nei momenti in cui i miei pensieri riescono ad avere un senso logico può capitare che io scriva cose.

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