Perish | Recensione

Sono sempre di più i titoli che decidono di mischiare due o più generi videoludici al fine di creare delle sinergie azzeccate e coinvolgenti, che riescano ad emergere dal sempre più grande mare magnum dell’industria dell’intrattenimento. Da Borderlands a Cult of the Lamb, per poi passare da Dead Cells a Remnant, i progetti che riescono a creare una perfetta alchimia tra caratteristiche originariamente molto diverse hanno fatto breccia nel cuore degli appassionati.

Non è quindi difficile dedurre che la commistione tra action in prima persona ed il genere roguelike possa risultare un matrimonio felice, e proprio a questo hanno pensato i ragazzi di Item 42 quando hanno rilasciato Perish.

Sarà quindi una nuova unione rosa e fiori? Scopriamolo insieme nella nostra recensione.

Versione provata: PlayStation 5

Bloccati nel Purgatorio

Una volta avviato, Perish lancia il giocatore immediatamente nel tutorial senza grosse spiegazioni, se non quelle di contorno. Il titolo distribuito da HandyGames incentra la propria trama su Amyetri, uno spirito corporeo condannato a esistere nell’ombra tra i dannati del Purgatorio. Lo scopo della tormentata anima è quindi quello di porre fine alla propria sofferenza completando i Riti di Orfeo e sconfiggendo le divinità ctonie che ostacolano il cammino verso l’Elisio.

Questo è naturalmente un ottimo canovaccio narrativo che contestualizza al meglio anche la componente roguelike presente, che analizzeremo tuttavia in seguito. La meccanica di Perish vede quindi il protagonista impegnato a superare zone sempre più ardue del Purgatorio (rappresentati come una sorta di sequenza di livelli) così da raggiungere la fine del proprio viaggio.

L’inizio dell’avventura è però poco promettente: Amyetri è infatti unicamente armato di una spada spezzata, e solo i Danake, la moneta insanguinata degli inferi, fornirà allo sventurato alter ego l’equipaggiamento più adatto per affrontare i demoniaci pericoli che sguazzano tra le putride acque dell’Oltretomba.

Armarsi, guadagnare, morire, ripetere

Come dicevamo poco sopra, la componente roguelike del titolo è presente ma fino ad un certo punto. Il cuore di Perish è rappresentato infatti da un hub di partenza, all’interno del quale il giocatore inizia la propria “run” attraverso i vari livelli del Purgatorio. All’interno di questo spazio, sarà possibile sia acquistare con la valuta di gioco armi ed equipaggiamenti utili ad incrementare il tasso di sopravvivenza dell’alter ego, e sia invitare un massimo di altri tre combattenti ad unirsi alla partita. Purtroppo non è presente alcun matchmaking, ma solo la possibilità di invitare direttamente un amico ad unirsi alla propria lobby.

Ogni ambientazione visitata, fornisce all’utente una casuale missione da compiere, che tuttavia ruota sempre attorno alle stesse tre-quattro richieste per location. Questo, insieme alla totale mancanza di proceduralità dei livelli, fa venire meno la sensazione tipica del genere rogue, che quindi a lungo andare contribuisce a far emergere una sorta di ripetitività di fondo, a maggior ragione se i fallimenti si susseguono (come è normale avvenga all’inizio).

Nel mondo di Perish infatti, la vita di Amyetri non è contraddistinta da una “barra invisibile” che si ricarica come la maggior parte delle situazioni in prima persona, bensì da veri e propri colpi che il personaggio potrà sopportare prima di soccombere. Da un minimo di tre ad un massimo di sei (qualora si equipaggiasse e potenziasse un anello), questi segmenti risultano molto spesso insufficienti per portare a termine la missione, visto e considerato l’elevato tasso di sfida creato da Item 42. I vari livelli di difficoltà selezionabili difatti, vanno ad intervenire unicamente sulla resistenza delle creature e sulla loro velocità.

I numerosi nemici presenti costringono il giocatore a rimanere sempre vigile ed attento, soprattutto per coloro che, anziché utilizzare uno strumento da mischia, decideranno di attaccare con strategie a distanza. Qui sopraggiungono altre criticità della produzione inglese, che sono da imputare a delle hitbox non sempre precise (ad esempio quando si utilizzano armi da fuoco) e da un feedback delle armi “bianche” non sempre eccellenti.

La varietà degli avversari è ben congegnata e calzante, visto che ognuno è presente in maniera diversificata a seconda del livello. Ottimi esteticamente pure i boss, che tuttavia presentano pattern veramente troppo leggibili che spengono buona parte dell’epicità dello scontro.

Build diverse, situazioni uguali

Per quanto, come detto poco sopra, la sequenza dei livelli e le mappe siano le stesse ad ogni nuovo ciclo, le build che è possibile costruire all’interno di Perish sono assolutamente soddisfacenti. Le diverse armi sbloccabili, le abilità passive e gli accessori da poter equipaggiare, permettono infatti un’ampia personalizzazione del proprio personaggio che, a maggior ragione se in ambiente cooperativo con altri utenti, consente di creare una vera e propria strategia di approccio.

Che siano oggetti da mischia o bocche da fuoco, il ventaglio di possibilità messe in scena dalla software house riesce a saziare ogni appetito, a patto naturalmente che si abbiano sufficienti Danake per poter acquistare i vari articoli. Ad ogni fine livello infatti, Perish consente al giocatore di scegliere se tornare definitivamente all’hub centrale, in modo da depositare tutte le monete accumulate, oppure proseguire verso l’ambientazione successiva. In caso di decesso, il titolo decurta una quantità importante di crediti, spingendo l’utente a riflettere bene se fare una run in più ma acquisendo più potere, oppure tentare la sorte per ottenere maggiori valute.

Paradiso tecnico

Tecnicamente parlando Item 42 ha realizzato un vero e proprio gioiello. La componente grafica di Perish è infatti sublime ed accattivante, e riesce a creare ambientazioni coerenti e credibili grazie ad un’ottima pulizia generale e da una gestione dell’illuminazione assolutamente sopraffina. Che si tratti di un tempio, oppure di una nave, i ragazzi di Brighton sono riusciti a confezionare una vera gioia per gli occhi, che non ha nulla da invidiare a produzioni con un budget nettamente più elevato.

Il comparto audio gode invece di una pregevole tracklist rock/metal in stile DooM, anche se le tracce non ruotano casualmente, bensì sono presenti sempre nelle stesse aree.

Nulla da segnalare nemmeno nella fluidità del gameplay, che si attesta graniticamente sui 60 frame al secondo in ogni circostanza, consentendo un ritmo di gioco davvero incapace di scricchiolare. Unica pecca da riportare sono i sottotitoli (presenti in italiano) che risultano davvero piccoli ed al limite del leggibile (non vi sono opzioni dedicate a questo aspetto, purtroppo).

7.3
Riassunto

Perish è una medaglia a due facce: se da un lato troviamo un'ottima commistione di generi, dall'altra il non totale approfondimento delle tematiche roguelike lo porta ad essere un titolo buono ma non memorabile. Un vero peccato, visto che la componente tecnica e di concept poggiano i piedi su basi davvero solide e promettenti.

Pro
Buona varietà di armi e nemici Comparto tecnico e grafico di prim'ordine L'alchimia tra FPS e roguelike funziona...
Contro
...fino ad un certo punto Dopo poche ore diventa ripetitivo Hitbox non sempre perfette
  • Concept & Trama7
  • Gameplay7
  • Comparto Artistico8
  • Comparto Tecnico7
Scritto da
Lorenzo Bologna

Appassionato di tutto ciò che concerne il mondo videoludico, sono un inguaribile amante dei titoli horror e un accumulatore compulsivo di trofei (meglio se di platino). Avvicinato al medium grazie a mamma Nintendo e papà Crash Bandicoot.

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