C’è un mostro nelle nostre vite. C’è un demone nascosto, una serpe che non conosce stanchezza, un maledetto assassino difficilissimo da estirpare e sconfiggere una volta per tutte. Un mostro chiamato cancro.
Lo scorso anno, ancora una volta, per l’ennesima volta, questo demone mi ha toccato da vicino. Un parente stretto, un amico, affetti e conoscenti. Il cancro sembra non avere fine, non conosce sosta. Colpisce quando meno te lo aspetti, e talvolta purtroppo resta fino a quando ha prosciugato l’ultima goccia di essenza vitale di chi si è ritrovato, suo malgrado, sul suo cammino. Ma anche chi gli sta intorno. Perché restare distanti da tutto questo tsunami emotivo è impossibile.
Sinceramente, non so se potrei farcela. Non so se il corpo o la mia mente riuscirebbero a sopportare un tale peso. Un macigno esistenziale che pone di fronte alla prospettiva, non certa ma comunque plausibile, di dire addio a tutto ciò che ti circonda. Di non arrivare a fare quello che hai sempre sognato di realizzare, o di vedere. L’ho visto. L’ho visto da vicino. Non in prima persona, ma l’ho visto vicino a me. E ho visto cosa provoca. Ho visto cosa porta e soprattutto cosa porta via. E a tutti coloro che hanno lottato, lottano e continueranno a lottare, non posso che dire: invidio la vostra forza nell’affrontare la sfida più dura della vita.
Perché tutto questo in un portale che parla di videogiochi, direte voi. Beh, perché anche chi gioca, ma anche e soprattutto chi crea videogiochi, è un essere umano. Difficile dirlo con certezza, ma è probabile che molti di coloro che lavorano nell’industria videoludica abbiano in qualche modo avuto a che fare con la maledetta malattia, direttamente o indirettamente. E anche il mondo dei videogiochi, come forma d’arte che ama raccontarsi e raccontare la vita, lo ha affrontato in un modo tutto suo. Mettere il cancro al centro dell’attenzione per combatterlo, sì, ma anche per sensibilizzare, mostrare, sconvolgere. Ma soprattutto, aiutare e confortare il più possibile.
Il Cancer Research UK, istituto di ricerca dedicato allo studio della malattia, lanciò ad esempio un’app il 4 febbraio 2014, in occasione della Giornata mondiale per la cura del cancro, dal titolo Play to Cure: Genes in Space. Realizzato da sviluppatori di Amazon, Facebook e Google si unirono per dare forma a questo mobile game che coniuga divertimento e beneficienza, nel quale i giocatori si trovano alla guida di una navicella spaziale in una battaglia intergalattica.
L’obiettivo è acquisire i cosiddetti Elementi Alfa, componenti genetici relativi al cancro che i ricercatori del Cancer Research UK hanno bisogno di analizzare ogni giorno. I dati raccolti saranno poi impiegati dagli scienziati virtuali per individuare le cause genetiche del cancro e sviluppare delle terapie efficaci. Un titolo semplice ma efficace, che pone l’accento su quanto sia necessario per le persone colpite da questa malattia continuare a lottare.
È anche questo il caso, ad esempio, di Re-Mission 2. Realizzato dall’organizzazione no profit HopeLab e disponibile sui dispositivi mobile, questo gioco, che in realtà è una raccolta di minigiochi d’azione, partiva dalla già divertente idea del primo Re-Mission del 2006, mirando stavolta specificatamente a coinvolgere adolescenti e giovani adulti impegnati a combattere contro il cancro. I giochi di Re-Mission 2 si basano su terapie di trattamento reali utilizzate per i pazienti affetti da cancro, e hanno lo scopo di responsabilizzare i giocatori e incoraggiarne la lotta verso questo debilitante annientamento dell’animo profondo, consumante energie e speranze.
Nanobot’s Revenge è uno dei più simpatici minigiochi di Re-Mission 2. Qui il giocatore-paziente gioca nei panni di un nanobot che spara trattamenti mirati a un tumore costruito da un malvagio tiranno nucleare, impedendogli di fuggire nel flusso sanguigno. Un modo per avvicinare la guerra al cancro ai più giovani, raccontandolo attraverso immagini e colori più stimolanti, un po’ sulla scia di prodotti educativi come la nota serie animata Siamo fatti così di Albert Barillé.
Qui, però, lo spettatore, che solo spettatore non è, viene coinvolto in prima persona, sconfiggendo a ripetizione il mostruoso morbo e diventando sempre più forte mano a mano che il suo organismo riesce a respingere le forze del male. In Feeding Frenzy, invece, il protagonista è un globulo bianco che consuma batteri e tumori, facendo imparare ma anche divertire. Perché non è mai semplice ricordare che tra chi lotta, purtroppo, ci sono anche molti bambini.
Tutti i giochi di Re-Mission 2 sono stati progettati in collaborazione con professionisti medici, sviluppatori di giochi e anche attraverso l’esperienza e i racconti di giovani malati di cancro, che attraverso il semplice svago possono trovare un motivo per andare avanti e continuare a sperare di diventare come i piccoli supereroi che riescono ad abbattere questo demone. Qualcosa, purtroppo, che non sempre accade.
Anche il cinema supereroistico ha affrontato questo tema, a proposito. Deadpool, con Ryan Reynolds, racconta di un mercenario totalmente sopra le righe che decide di aggrapparsi all’ultima speranza che gli rimane per sconfiggere la malattia e tornare tra le braccia della sua amata, scegliendo però la via più rapida ma assolutamente non indolore. Restando in casa Marvel, uno dei momenti più tragici della storia editoriale della Casa delle Idee fu la morte di Capitan Marvel, che a seguito di una straziante malattia causata da un’esposizione al gas nervino, viene consumato dal cancro di fronte a tutti gli altri supereroi che lo salutano per l’ultima volta dal suo letto di morte.
Ma le storie, appunto, sono quelle che restano più impresse. Film come Non è mai troppo tardi con Jack Nicholson e Morgan Freeman, o Colpa delle stelle con Shailene Woodley ed Ansel Elgort, sono ricordi ancora vividi grazie all’intreccio e alle emozioni che hanno saputo regalare, legando il tema del cancro a quello della vita e di chi questa vita la vive: le persone. Lo stesso che Ryan e Amy Green, nel 2016, hanno fatto con l’emotivamente angosciante videogioco That Dragon, Cancer.
Distribuito per PC Windows, Mac e Ouya nel gennaio 2016, e successivamente anche iOS, il gioco (un’avventura in prima e terza persona con alcuni elementi punta-e-clicca) è un’autobiografia della stessa famiglia Green, che con un racconto straziante mostra la vita del piccolo Joel Green. Il loro figlio. Il loro figlio scomparso. Al piccolo Joel venne diagnosticato un tumore al cervello all’età di un anno, con la prospettiva di viverne al massimo un altro. Joel ha lottato con tutte le sue forze, riuscendo a superare ogni aspettativa. Nel 2014, però, quando Joel aveva appena 4 anni, il cancro ha vinto. Ha vinto ancora, come ha già vinto tante altre volte. Ma Ryan e Amy hanno deciso che la storia di Joel, per quanto breve ma intensa fosse stata, aveva bisogno di essere raccontata e preservata.
Nel 2011, i coniugi Green avevano conosciuto lo sviluppatore indipendente Josh Larson, che decise di sacrificare tempo e denaro per trasformare la vita di Joel in un videogioco dal titolo That Dragon, Cancer, per raccontare la sua terribile lotta e porre il giocatore nella prospettiva di chi si sta lentamente disfacendo davanti agli occhi di chi lo ama. Un racconto lacerante. Il malessere di Joel è quasi palpabile, e la frustrazione che l’utente prova è utile a capire come davvero una persona afflitta da tutto questo può sentirsi.
Straziante, dovete credermi. Davvero straziante. C’è una sequenza nella quale Joel è in ospedale, in braccio a sua madre Amy. Lei lo culla dolcemente, cantandogli una soave canzone in sottofondo. Sul tavolo della stanza, intanto, possiamo dare uno sguardo ai biglietti di auguri lasciati dagli amici e altri conoscenti dei Green. Persone che salutano Joel, amici che gli ricordano di avere coraggio. Altri, invece, nei corridoi dell’ospedale, approfittano del simbolico biglietto per salutare mamma e papà, uccisi dal cancro. Patrick Miller, ad esempio, che saluta sua madre pregando che lei ora possa osservarlo sempre dall’alto.
Joel non era più in grado di scrivere o parlare, ma non servono le parole per farsi capire. Il cancro sta portando via tutto. Tutto tranne i ricordi, portati attraverso registrazioni audio, poesie, racconti sulla speranza e l’amore. That Dragon, Cancer è una maestosa lettera d’amore a chi non ce l’ha fatta, a un figlio scomparso troppo presto. E chissà, chissà cosa devono aver provato Ryan e Amy Green nel raccontare tutto questo.
Come reagire di fronte a questo sconvolgente scenario, purtroppo, non ve lo so dire. Forse nessuno lo sa con certezza. Forse neanche i Green. Spero con tutto me stesso di non dovermelo mai neppure chiedere un giorno, per viverlo sulla mia pelle, o anche solo di vedere nuovamente persone a me care dover soffrire per quello che questa malattia comporta. Ma troppo spesso la mia vita, così come immagino la vita di molti, è stata toccata da questo demone. E farsi trovare pronti, lo so bene, non è affatto facile. Forse è impossibile anzi, specie per il potente contraccolpo emotivo che tale situazione porta.
Se non altro, anche i videogiochi vi ricordano che lottare è importante.
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