Maggio 2018 vedrà l’atteso ritorno sulle scene di una delle software house più ammirate di sempre, per la costanza nella realizzazione di capolavori e la tenacia con la quale le avventure cinematografiche interattive sono state fuse con il medium dei videogiochi. Parliamo naturalmente di Quantic Dream, che con il suo Detroit: Become Human, dopo una gestazione durata anni e anni e costata duro lavoro, promette di consegnare in mano al giocatore un’esperienza che per certi versi è davvero senza precedenti. Tutto frutto di un’evoluzione in casa Quantic Dream che nasce da lontano, da quell’ormai distante 2005 nel quale la società, grazie al publisher Atari, riuscì a pubblicare Fahrenheit: Indigo Prophecy, meglio conosciuto in Occidente con il solo nome di Fahrenheit. Quest’oggi, per ricordare le magnifiche gesta di questa software house e i suoi pochi ma straordinari titoli, inizieremo un breve viaggio che ci accompagnerà nelle prossime settimane alla riscoperta degli immortali capolavori di Quantic Dream. Prima di parlare dei ben più conosciuti Heavy Rain e Beyond: Two Souls, però, dobbiamo partire proprio da Fahrenheit.
PICCOLA PREMESSA
Dimentichiamo qualcosa, forse? A onor del vero, sì, perché Fahrenheit: Indigo Prophecy non è il primo videogioco targato David Cage e Quantic Dream bensì il secondo. Nel 1999 il team di Cage partorì infatti Omikron: The Nomad Souls, un interessante adventure dallo stampo GDR che però ha ben poco a che vedere con le produzioni successive della software house francese. Sebbene si trattasse di un titolo dalle atmosfere molto particolari, vicine a quelle che poi verranno ricalcate per le opere successive di Cage, non ci è sembrato fondamentale andare a ripercorrere la storia di Omikron, che appunto si distacca notevolmente dalle avventure pubblicate negli anni successivi. Forse, ne riparleremo più avanti nel tempo, poiché il gioco ha dalla sua parecchie note di merito, da un concept originale (per l’epoca, naturalmente) all’apparizione mistica dell’indimenticato David Bowie. L’importanza della narrativa, nel gioco di Cage, era tale da quasi sovrastare il resto. Non è un caso, quindi, che Quantic Dream decise in seguito, appunto, di dedicarsi alla nobile arte delle avventure grafiche, genere che fu capace di ridefinire grazie alle proprie intuizioni.
LA PROFEZIA
Tornato alla ribalta delle cronache nel 2015, in occasione del decimo anniversario del gioco festeggiato con una rimasterizzazione in HD, Fahrenheit: Indigo Prophecy non ha avuto certamente lo stesso clamore, all’epoca della release, di altri suoi confretelli videoludici. Il 2005 fu ad esempio l’anno di Kingdom Hearts II, Pokèmon Smeraldo, Gran Turismo 4, Call of Duty 2, Age of Empires III e Star Wars: Battlefront II (l’originale, ovviamente), e questo per citare solamente i primi che ci vengono in mente. In quello che era un sempre più florido mercato, la piccola creatura di David Cage seppe comunque farsi notare e ammirare per tutto quello che rappresentò. La premessa, del grande progetto di Cage e Quantic Dream, era allo stesso tempo semplice ma molto complicata da realizzare: una lunga e intricata avventura grafica dal fortissimo impatto narrativo, ma nella quale il giocatore doveva avere la possibilità di costruire la propria storia.
Sin dai primi passi mossi nel gioco dal protagonista, infatti, era evidente come le scelte compiute dal giocatore avessero un tangibile peso nell’economia della narrazione, portando la storia su binari differenti non solo caratterizzati da finali multipli. No, ogni (o quasi) scelta che potevamo compiere portava a conseguenze differenti, frutto di un’ampia sceneggiatura e di un sapiente utilizzo del taglio cinematografico che Quantic Dream seppero assicurare al gioco, capace di divenire il primo di una sorta di sottogenere con tanto di meriti e demeriti. Certo, a ricordare Fahrenheit e a ripensare a quello che poi arrivò in seguito dalle stesse menti, viene quasi da ridere. Ma in effetti né Heavy Rain né tantomeno Beyond, a pensarci bene, avrebbero potuto essere ciò che sono ancora oggi senza il successo e la riuscita di Fahrenheit, ben più di un precursore delle avventure grafiche di David Cage.
VISIONARIO?
La storia di Fahrenheit si districa tra i tre personaggi giocabili dell’intera esperienza, vale a dire Carla Valenti, Tyler Miles e Lucas Kane, quello che a tutti gli effetti è il vero protagonista del gioco. Il detective, nell’incipit, si risveglia dopo aver compiuto un assassinio, del quale non sappiamo molto se non appunto che è legato allo stesso Lucas, che nel corso dell’intera vicenda dovrà ricostruire il puzzle dell’omicidio, non senza risvolti inaspettati come il ruolo di Valenti e Miles in tutta la storia. Addirittura, la narrazione finirà col toccare temi inizialmente impensabili come il sovrannaturale, nonostante le radici siano ben fissate in un contesto del tutto realistico. La cornice che fa da sfondo a Fahrenheit è infatti la fredda e innevata New York, nella quale si nasconde un misterioso Oracolo che Lucas deve assolutamente trovare. Non è questo il momento, e neanche il caso, per raccontare la storia completa di Fahrenheit. Ma chissà, se desiderate conoscerla a fondo, potremmo rimediare in futuro.
Seppur il gameplay non presentasse eccessive novità rispetto agli antecedenti esponenti del genere, alcune delle scelte stilistiche e registiche di Fahrenheit rendevano il gioco curioso e notevolmente innovativo. Pensiamo ad esempio alle inquadrature doppie, che consistono, come suggerisce il nome, in un divisione dello schermo in due visuali che procedono di pari passo, mostrandoci due aspetti differenti dello stesso momento che dovevano essere presi in considerazione univocamente per procedere. Nella sezione iniziale, ad esempio, quando Lucas è intento a nascondere il misterioso cadavere attraverso le innumerevoli possibilità a disposizione dalle quali si ramificava poi la storia, dobbiamo fare attenzione agli altri poliziotti di ronda lì vicino, che nell’inquadratura parallela alla nostra si avvicinano pericolosamente e si allontanano di continuo permettendo di gestire al meglio la cosa, non senza qualche grattacapo per una certa legnosità dei comandi. Un’altra scelta, forse discutibile ma di chiaro impatto sul gioco, fu la possibilità di modificare, in base alle proprie azioni e scelte, la psiche e il morale dei personaggi. Non apprezzata da tutti, vista l’imprevedibilità di alcuni di questi cambiamenti, ma i problemi oggettivi erano ben altri.
Il gioco, nonostante i suoi già discussi pregi quali la fortissima ed interessantissima componente narrativa e alcune brillanti intuizioni a livello di regia, fece infatti anche i conti con alcuni difetti che ne minarono un successo più importante, che si ripresentarono in grande evidenza nella remastered del 2015 dove il titolo, era evidente, dimostrava più anni di quanti ne avesse realmente. L’eccessiva presenza di QTE, resi la predominante meccanica di gioco, erano pesantissimi da sopportare, tediosi per un gioco che mirava a raccontare una storia in maniera fluida e che si scontrava invece con ripetute azioni da compiere rese a schermo con poca efficacia per il giocatore. Una scelta forse scellerata, che sembrano aver ereditato alcune produzioni moderne e figlie della concezione “Cage-iana” come i vari titoli di Telltale Games, dei quali ho recentemente discusso lamentandomi proprio di come le meccaniche di gioco stiano ormai diventanto ridondanti.
Fahrenheit: Indigo Prophecy non è un titolo invecchiato bene, questo va assolutamente detto. In occasione della rimasterizzazione in HD, del 2015, il gioco ha dimostrato di avere oggi un aspetto molto antiquato, sia dal punto di vista audiovisivo che di un gameplay sin troppo riflessivo, abbastanza scostante e dal ritmo eccessivamente lento. Il tempo non è stato generoso nei suoi confronti, ma è impossibile non rimarcare l’importanza che ebbe questo titolo, soprattutto per la storia di Quantic Dream. Senza Fahrenheit, è evidente, non avremmo mai avuto la possibilità di avere tra le mani, pochi anni dopo, un’esclusiva PS3 impressa nella storia e di cui parleremo nella prossima parte di Quantic Dream Reloaded: Heavy Rain.
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