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[Recensione] Destiny 2: L’Eclissi

A praticamente un anno esatto dall’uscita dell’ottimo “La Regina dei SussurriBungie prosegue nell’arduo compito di dare il via alle ultime battute della saga di Luce e Oscurità per il suo Destiny 2. Dal “momento zero” che ha visto per la prima volta su schermo il Testimone (in quella che è stata forse una delle scene di maggior impatto nella storia del gioco) gli sviluppatori hanno ora il compito di accompagnare la propria narrazione verso quello che i giocatori di vecchia data sperano (ormai pretendono?) si riveli un finale degno.

E l’impegno, almeno a livello pubblicitario, non è di certo mancato: le ultime settimane si sono riempite di trailer e anticipazioni sulle novità di L’Eclissi, espansione uscita lo scorso 28 febbraio che ha messo in moto il sesto anno di questo secondo capitolo. Dalla città di Neomuna alla nuova sottoclasse Telascura, passando dalla colonna sonora alle classiche interviste di presentazione, Bungie si è assicurata un picco di attenzione e curiosità andato ben oltre lo zoccolo duro dei fan storici (parla chiaro il contatore di Steam, che ha superato il record di giocatori connessi contemporaneamente).

Con queste premesse lo studio portava sulle spalle un fardello non indifferente: tirando quindi le somme, il livello qualitativo raggiunto con l’espansione precedente è stato mantenuto? E le aspettative dei fan sono state soddisfatte?

Un “velo” sempre più sottile

La precedente Stagione del Serafino ha strutturato solide fondamenta per il proseguo della storia: dall’ approfondimento dedicato a Rasputin, semplice sistema di difesa per la Terra divenuto entità senziente attraverso il rapporto con Ana Bray e sacrificatosi al fine di salvare il Viaggiatore, per arrivare all’intensa cinematica finale che lasciava presagire la guerra ormai incombente, lo slancio narrativo del racconto si è dimostrato ispirato, spianando la strada alla fase successiva.

Terminata la nuova campagna (che anche in quest’occasione offre un grado di sfida maggiore se affrontata in modalità leggendaria) le speranze riposte negli sceneggiatori del titolo si sono purtroppo arenate.  Sorge qui inevitabilmente il primo, aspro confronto con La Regina dei Sussurri: l’incipit del quinto anno di Destiny 2 ha pescato a piene mani da una lore ricca e sfaccettata, offrendo risposte a quesiti su cui la community si interrogava ormai da quasi un decennio, il tutto condito con una serie di colpi di scena che hanno ornato quella che si è probabilmente rivelata come una delle espansioni migliori (se non la migliore) nella storia della saga.

Con l’introduzione di L’Eclissi, la scelta operata nell’ introdurre elementi nuovi totalmente sconnessi dalle colonne portanti dell’universo a cui ci si è ormai affezionati non ha avuto però altrettanto successo. E’ bene ricordare come il problema non risieda, di per sé, nell’innovazione, ma in quel tipo di innovazione che pare non legarsi alla lore preesistente, evocando così una sensazione di distacco che in una fase così avanzata della vicenda porta al chiedersi quanto, entro il termine del viaggio, verrà effettivamente spiegato e risolto.

Grosso guaio a Neomuna

L’arrivo, di fronte al Viaggiatore, del Testimone all’interno del sistema solare  rappresenta il culmine di un conflitto su scala universale antico come il tempo stesso. Una visione di quest’ultimo conduce i guardiani sulla città futuristica di Neomuna, su Nettuno, alla ricerca di un misterioso artefatto, il Velo: qui verranno a contatto per la prima volta con i Solcanuvole, guerrieri umanoidi che hanno giurato di difendere la popolazione del pianeta. Guidati da Osiride scopriranno il potere della Telascura, di gran lunga l’elemento più innovativo e meglio riuscito dell’espansione.

Proprio la sceneggiatura risulta essere debole come non mai, in quello che con rammarico si presenta come uno dei punti più bassi raggiunti dal franchise, con una presenza di buchi narrativi tale da far ironicamente rimpiangere i tempi di Destiny vanilla. Una vaghezza sconcertante circonda il Velo, obiettivo ultimo della missione eppure così offuscato: nessun indizio verrà fornito sulla sua origine o il suo scopo nonostante l’apparente ovvietà che lo circonda. I personaggi con cui il protagonista interagisce paiono, a volte, conoscere molto bene gli enigmi del cosmo, al punto da decidere arbitrariamente di non condividerli con una pedina fondamentale come il nostro guardiano (almeno fino al pagamento delle successive espansioni).

Nimbus, Rohan e Osiride si ergono a emblema di quanto fragile e di scarsa inventiva risulti la scrittura di questi nuovi eventi, surfando senza sosta da un dialogo imbarazzante al successivo (è sufficiente pensare alle piattissime battute del primo e a quanto male si intreccino in una supposta situazione di apocalisse imminente), andando così a indebolire un’atmosfera che richiederebbe un senso d’urgenza ben diverso. Sembrava che Bungie avesse ormai sotto controllo quel bilanciamento tra serietà e spensieratezza che così arduo si era dimostrato da gestire in passato, e i tempi della campagna originale di Destiny 2 parevano ormai un ricordo lontano, ecco il perché di una delusione così cocente nello scoprire che il fondo non era, purtroppo,  ancora stato raggiunto.

Il legame tra Calus e il Testimone, così anticipato e intrigante, viene a malapena accennato, così come sarebbe stato di gran lunga più godibile potersi interfacciare con Zavala, Eris, Ikora e tutte quelle figure che nel corso di questi anni hanno assunto un ruolo da Virgilio nei confronti dei portatori di Luce. Risultato dell’equazione è così una sensazione di profonda insoddisfazione e amarezza a campagna conclusa.

Neomuna, pur con i suoi colori al neon e la sua tecnologia all’avanguardia, risulta più spenta che mai, una metropoli vuota e senza vita che racconta di un assedio ormai passato, più che attuale. Il quadro è quello di uno scontro al quale si è giunti in ritardo, di eventi a cui, sostanzialmente, non si è preso parte. La battaglia imperversa, ma la vuotezza delle strade e l’esiguo numero di nemici da combattere raccontano una storia diversa, non certo quella di una guerra su larga scala.

La città risulta poco ispirata anche dal punto di vista artistico, attraverso un uso massiccio di asset riutilizzati che altro non forniscono se non l’impressione di una generica destinazione in stile cyberpunk riciclata dai laboratori Bray su Europa, in netto contrasto con ciò che racconta la lore, che descrive invece un luogo meraviglioso scomparso dagli annali, persino più avanzato delle creazioni degli uomini dell’Età dell’Oro (discorso simile si applica al riciclo delle armi ottenibili attraverso le nuove attività, su cui Bungie scherza anche nelle descrizioni). Parentesi positiva è però quella sui nuovi armamenti esotici, che passando da armi di supporto con proiettili a ricerca a falcioni pesanti in grado di congelare un’intera orda di nemici risultano particolarmente divertenti da brandire.

Il filo conduttore della trama

Sembra quasi che l’intero plot non funga che da tutorial per quella che è la vera novità dell’espansione (almeno in termini sandbox), ovvero la nuova sottoclasseTelascura, elemento introdotto però blandamente e giustificato con il minimo necessario affinché possa godere di una ragione d’esistere (e relativo montaggio da B-Movie di bassa lega).

E’ bene dedicare un approfondimento alle possibilità creative che questa offre alla componente sandbox, soprattutto grazie all’aggiunta del rampino, tramite il quale sarà possibile raggiungere un livello di mobilità completamente inedito.

Dopo oltre mille parole di recensione, ecco arrivare la prima nota veramente positiva di L’eclissi: le possibilità creative e di movimento offerte dalla Telascura ampliano lo spettro di strategie e inventiva a disposizione dei giocatori, ora più che mai capaci di muoversi con estro all’interno dei livelli. Sparare con un lanciarazzi per poi aggrapparsi al missile o farlo direttamente su un titano in volo con Collisione Fulminea, per passare poi ad astori, navi nemiche e di base qualsiasi oggetto a schermo che possa rappresentare un appiglio temporaneo è solo uno dei modi con cui il mondo di Destiny si apre d’ora in avanti a chiunque avrà voglia di sperimentarne le nuove declinazioni (e possiamo solo immaginare la gioia della community di speedrunners in questo momento).

Con Valicatore i cacciatori potranno sfruttare la nuova super Assalto di Seta, brandendo un lazo con dardo per concentrarsi o su un singolo nemico per un danno maggiore o su un intero gruppo di avversari con una frustata ad ampio raggio; gli stregoni, con Tessitore della Schiusa potranno invece evocare, grazie a Tempesta d’Aghi, una serie di fidate creature chiamate Tessutoidi, che inseguiranno i propri bersagli esplodendo all’impatto; infine Furia Tagliente vedrà i titani Berserker scatenare una serie di fendenti recidendo i rivali, diminuendone così il danno inflitto, con l’attacco leggero, e sospendendoli in aria con dei montanti utilizzando l’attacco pesante.

Una volta terminata la campagna principale, come ormai da abitudine per Bungie, verrà sbloccata una serie di missioni atte all’approfondimento della lore di Neomuna e dei suoi abitanti. Nonostante una certa mediocrità di fondo emerge la missione esotica “//Nodo.BPSS.Avalon//” all’interno della Rete Vex per l’ottenimento del nuovo falcione esotico Vexcalibur.

La nuova Stagione della Resistenza vedrà impegnati i guardiani in una missione di soccorso, assieme a Mara Sov e all’Avanguardia, al fine di liberare la popolazione civile fatta prigioniera dalla Legione Ombra. La nuova attività stagionale “Campi di Battaglia: Resistenza consiste in una variante ridotta dei comuni assalti, resa piacevole da un leggero aumento della difficoltà, un’elevata densità dei nemici presenti sul campo e nuove aree, che seppur non interamente originali risultano comunque apprezzabili.

Un’eclissi opaca

L’arrivo di nuovi contenuti porta sempre con sé delle novità, nonostante alcune falliscano nel proprio intento: i Gradi dei Guardiani dovrebbero permettere ai veterani uno sfoggio d’esperienza, fornendo allo stesso tempo ai novizi un’idea di “viaggio” da percorrere. Il risultato è però ben lontano da quello sperato, in quanto giocare per una manciata di ore è sufficiente per ritrovarsi alla pari con gli esperti più navigati, nullificando così l’impegno investito precedentemente da questi ultimi.

Anche gli encomi si rivelano di scarsa efficacia, in quanto, non esistendo al momento alcun LFG integrato all’interno del gioco  si è incentivati a donarli senza alcuna cognizione di causa, sperando che i propri compagni facciano lo stesso, in quanto necessari per salire di rango nei gradi sopracitati. L’opinione è parzialmente diversa nel discutere dei cambiamenti legati alla “quality of life” dell’espansione, come l’ottimo sistema di dotazioni, opzione richiesta a gran voce da anni che permette di salvare armi, armature, decori e sottoclassi in slot comodamente raggiungibili dalla schermata del personaggio, permettendo un cambio di build pressoché istantaneo. A contrastare è però la revisione applicata alle mod, divenute oramai eccessivamente semplici: molte di quelle più creative sono state infatti rimosse, evidenziando come con questo cambiamento Bungie miri al permettere anche a chi è meno avvezzo di sperimentare con la creazione di build, annichilendo però la profondità presente pre-aggiornamento. Gradita invece l’evoluzione dell’artefatto, che sbloccherà ora vantaggi passivi piuttosto che mod da incastrare nell’equipaggiamento; anche i campioni seguono la direzione di un Destiny meno proibitivo, resi vulnerabili a un numero ancora maggiore di status negativi (o positivi) legati alle diverse sottoclassi. Queste innovazioni rendono l’esperienza certamente più navigabile, convertendo buona parte del tempo speso nei menù a favore dell’azione, sottraendo però parte della fantasia precedente, dato il minor numero di strumenti a disposizione.

L’ora di staccare la spina

Non stupisce ormai più l’enorme negligenza nei confronti di Crogiolo e Azzardo, modalità stantie che ricordano un corpo in putrefazione, come un parassita che limita l’espressione creativa del sandbox, castrata allo scopo di non intaccare una presunta integrità “competitiva” assente ormai da anni. Nessuna nuova mappa all’orizzonte, una modalità classificata priva di qualsivoglia incentivo, un bilanciamento che promuove lo spam esagerato di abilità: il tutto azzoppato ulteriormente da uno skill based matchmaking (l’abbinamento dei giocatori in base alle loro prestazioni) che applicato alle playlist casuali, non solo costringe ad una diminuzione nella qualità della connessione, aumentando i tempi d’attesa tra le partite, ma rimuove inoltre la possibilità di rilassarsi con equipaggiamenti non meta, il tutto per appagare, ancora una volta, i giocatori casuali a discapito dei più abili. Vien da chiedersi se non sia forse giunta l’ora di allontanarsi da queste modalità, lasciando più ampio respiro alla modalità PVE, da sempre incatenata a questo pesante fardello.

E’ ora giunto il momento di dedicare qualche parola alla difficoltà, argomento sempre caldo nelle discussioni a tema Destiny: Bungie ha comunicato in un recente blog la propria intenzione di rendere il gioco più arduo, e a distanza di quasi due settimane dall’uscita di L’Eclissi, avendo oramai digerito gran parte del nuovo contenuto, la parola che più riecheggia nella mente è “inconsistenza“. Una delle aggiunte migliori dell’espansione sono senza dubbio i Tormentatori: soldati dell’Oscurità estremamente aggressivi, in grado di sopprimere le abilità dei guardiani e molto resistenti a meno di non riuscire a colpirne i punti deboli. Anche queste nuove (apparenti) minacce non sono però in grado di porre alcun freno ai poteri branditi dai giocatori, nell’arco degli anni divenuti sempre più potenti. Alcune colonne portanti come assalti, pattuglie e settori perduti sono stati poi ritoccati e resi almeno marginalmente più complessi, ai quali non viene corrisposto però un dovuto aumento di ricompense. Questo porta al punto più dolente del discorso: l’ultimo dungeon “Pinnacolo dell’Osservatrice”, aggiunto con la Stagione del Serafino, con la sua (singola) ed estremamente semplice meccanica per la quale si richiede di collegare tra loro una serie di cavi sparando ai relativi pulsanti, non si è dimostrato che l’antipasto insipido a quella che sarebbe dovuta essere la sfida per eccellenza…

Il raid “La Radice degli Incubi”

La canonica corsa per il completamento di “La Radice degli Incubi“, nuova incursione resa disponibile il 10 marzo, si è conclusa alle 20.25, solamente due ore dopo il lancio, per poi divenire per ampio margine il raid con il maggior numero di completamenti di sempre nelle prime 24 ore. I dati parlano chiaro, l’attività più ambita di Destiny, che dovrebbe offrire un livello di sfida adeguatamente alto anche per i più abili è invece stato conquistato da ben 89 mila giocatori nella prima giornata (basti pensare che è seguito al secondo posto dai 29 mila che completarono Cripta di Pietrafonda). La scarsa minacciosità dei nemici, meccaniche sufficientemente semplici da non richiedere una comunicazione coordinata e, come accennato prima, un livello di potere talmente elevato da trasformarla in una sfida non così difficile (esempio primario è la radianza, che potenzia il danno e rende essenzialmente immortali) ne hanno purtroppo minato l’esperienza. La delusione viene però in parte lenita dal talento che gli artisti dello studio americano hanno deciso di mettere in mostra: “La Radice degli Incubi” offre uno spettacolo visivo di rara e ammaliante bellezza, con un campo di battaglia che prende forma nell’architettura rigida e precisa di una piramide abbandonata, inondata dal maestoso caos del Viaggiatore, dipingendo in questo contrasto l’eterno scontro tra Luce e Oscurità che è pilastro della saga. L’iconografia del nemico rimane affascinante, poiché nonostante il nome possa evocare di primo acchito ambientazioni lugubri e spente, le navi di quest’ultimo sono invece adornate con pietre dai colori sgargianti ed eccentriche statue, divenendo così più “musei astrali”  che armamenti in mano a distruttori di mondi, uno stile artistico che si manifesta anche in coloro che le abitano.

Punti di forza

  • La nuova sottoclasse Telascura permette una libertà di movimento mai vista prima
  • Le modifiche alla quality of life del gioco portano miglioramenti richiesti da tempo

Punti deboli

  • La campagna dell’espansione è deludente e fuori luogo, senza alcun reale avanzamento della narrazione
  • Neomuna si mostra come un’ambientazione non ispirata
  • Il ridotto contenuto oltrepiù riciclato non giustifica il prezzo d’acquisto
  • Rango dei Guardiani ed Encomi falliscono nel loro intento

Videogioco da evitare

Per essere l’attesissimo pre finale della saga, L’eclissi delude fortemente. Una campagna riempitiva creata ad hoc per coprire il lasso di tempo che ci separa dall’espansione finale, che utilizza un pretesto ai fini di giustificare la nuova (ottima) sottoclasse; i personaggi introdotti sono forse il punto più debole del pacchetto: cliché resi ancor più fastidiosi dall’ inappropriatezza del mondo, il tutto circondato da una Neomuna che sembra fuori posto rispetto al resto dell’affascinante universo. Telascura e i cambiamenti alla quality of life sono senza dubbio ottimi, ma riescono ad arginare ben poco il disastro che Nettuno ha portato con se. Anche “La radice degli Incubi”, seppur visivamente solenne, lascia l’amaro in bocca con le sue meccaniche banali e una docile sfida di combattimento, senza stare al passo con i suoi predecessori, soprattutto se paragonato ad incursioni come “La Caduta di un Re” e “Furia Meccanica“. Questo fa riflettere sulle lezioni che lo studio americano ha o meno appreso in questi anni… rendendo inevitabile il domandarsi che cosa stia succedendo. “La Regina dei Sussurri” ha innalzato il gioco a vette mai viste prima, ma “L’Eclissi” rotola rovinosamente giù dal monte, assicurandosi il premio di peggior espansione nella storia del titolo. E ora, proprio come Sisifo, sta a Bungie sistemare questo fiasco, nella speranza che un’ultima scalata della montagna riesca finalmente a risollevare il tanto amato macigno.

Questa recensione è stata curata in collaborazione con Leonardo Ambrosi Grappelli, che ringrazio.

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