Finalmente, dopo alcune settimane, siamo finalmente pronti a parlare di God of War: Ragnarok. Lo abbiamo già fatto alcuni giorni fa in occasione di un articolo nel quale abbiamo analizzato il finale del gioco e discutendo di quello che potrebbe essere God of War 6, ma vogliamo dedicare un po’ di spazio anche all’analisi del gioco in sé, per raccontarvi quello che è stato il nostro rapporto con Ragnarok e tutto ciò che Santa Monica ha creato.
In attesa di sapere se tra poche ore lo studio si porterà a casa l’ambitissimo GOTY ai The Game Awards, ecco dunque la nostra recensione di God of War: Ragnarok.
Versione provata: PlayStation 5.
ASGARD CHIAMA
Bastano pochi minuti di gioco perché le intenzioni di Santa Monica siano ben chiare, sin da subito: God of War: Ragnarok vuole fare di tutto per essere imprevedibile, o comunque per portare il giocatore a mettere in dubbio le proprie convinzioni su ciò che questo titolo, l’ultimo della grande epopea norrena del franchise, metterà in scena. Sia chiaro, un Ragnarok c’è. La mitica apocalisse va davvero in scena, il Fumbilwinter messo in moto dalle azioni di Kratos e Atreus nel primo capitolo fa sentire la sua presenza in tutti i Nove Regni nei modi più disparati, e tutti coloro che sono legati a Yggdrasill sentono in qualche modo che il corno di guerra è ormai pronto a risuonare per tutto l’arco della storia.
Ma la storia di Ragnarok è anche questa, frutto di un curioso scherzo di un destino forse immutabile, forse no. Kratos è diventato, senza saperlo, l’elemento di disturbo di un intero pantheon che non prevedeva la sua presenza, e la sua unione con Laufey ha portato poi alla nascita di quel Loki che si ritrova al centro delle vicende. L’intreccio narrativo di Ragnarok parte proprio da questi presupposti, ma appunto vuole in più occasioni spaesare il giocatore – in alcuni casi anche troppo, con una scrittura che lascia alcuni dettagli importanti della storia all’endgame, cosa poco apprezzata da noi. L’apocalisse si può fermare? Kratos vuole prenderne parte? Quale può essere il ruolo di ognuno dei coinvolti in questo gigantesco evento cosmico?
Chiaro che, come ci si poteva aspettare, gli dèi di Asgard abbiano ora un ruolo fondamentale, dopo essere stati semplicemente sfiorati nell’occasione precedente. Il più presente e importante tra tutti, ovviamente, è Odino, un dio molto differente da quello Zeus che nella saga greca era intenzionato a distruggere Kratos. Odino è un manipolatore, subdolo e imprevedibile, ed è splendido come Atreus, che ha ormai abbracciato la sua natura di Loki facendo degli inganni la sua forza, mantenga un ambiguo rapporto con il Padre di Tutti per l’intera storia.
Storia che, purtroppo, non è sempre perfetta. Il ritmo non si può certo dire serrato, ma questo è anche per l’ottima intuizione di Santa Monica che attraverso una narrazione alternata offre al giocatore la possibilità di osservare il divenire degli eventi da più punti di vista, approfittandone per impreziosire la caratterizzazione dei personaggi primari e non. Il finale, tuttavia, potrebbe non andare giù a molti. Ripensandoci a mente fredda, ciò che God of War: Ragnarok racconta nel suo finale è il risultato di un lungo racconto di formazione, o cambiamento, per il protagonista. L’intero Ragnarok in sé però, inteso come vera e propria apocalisse e guerra con Asgard, lascia l’amaro in bocca per l’estrema semplificazione con la quale l’evento è stato affrontato. Al termine della “campagna principale”, prima di lasciare spazio a un corposo endgame con tanto di boss segreti, missioni secondarie e tanti collezionabili, la sensazione comune è quella di una sorta di occasione sprecata. Non tanto per l’evoluzione del racconto, non tanto per le aspettative, quanto invece per la rapidità con la quale i protagonisti chiudono la questione Ragnarok.
I NOVE
Partendo con la solidissima base del reboot creativo del 2018, Santa Monica confeziona un action adventure esaltante e ricco nei contenuti, oltre che nella qualità. Il gameplay, apparentemente, mantiene le stesse dinamiche della precedente avventura, anche se sono stati apportati alcuni cambiamenti al sistema di gestione delle abilità e dell’equipaggiamento finendo col proporre un’interessante ventata di novità.
Mettiamo le mani avanti: ci sono alcune sorprese, anche a livello di gameplay, nel corso della storia. Chiaramente però non vogliamo scendere troppo nei dettagli e fare spoiler, dunque ci limiteremo a dirvi che abbiamo molto apprezzato questo tentativo di espandere le possibilità anche se, a conti fatti, questi contenuti inediti sono stati poco approfonditi lato combat system, per disparati motivi. Tornando agli elementi già noti dal primo gioco, sia l’ascia Leviatano che le immancabili Lame del Caos sono state dotate di abilità elementali che aumentano la loro potenza d’attacco, mentre gli scudi sono stati rivisti e raggruppati in due grandi categorie tra Dauntless e Stonewall: il primo gioca sulla velocità d’esecuzione, mentre il secondo è per un approccio più attendista e riflessivo.
Dinamiche di gameplay che tornano ovviamente utili non solo nel corso dell’avventura principale, che si può completare in circa 20-25 ore, sia nel corposo endgame, che include una gran quantità di missioni secondarie molte delle quali brillano per la scrittura che è stata riservata – anche troppo, come abbiamo visto prima. Sul fronte di questi “contenuti extra”, se così possiamo chiamarli, God of War: Ragnarok si rifà in larga parte alla struttura del suo predecessore, ampliando però notevolmente il numero e la grandezza delle aree da esplorare. Il gioco mantiene infatti il cosiddetto approccio open linear, con enigmi secondari che consentono di divergere dal percorso stabilito, ma apre le sue strade anche a sezioni molto più ampie da esplorare per scoprire ogni singolo dettaglio.
Dettagli di cui, in effetti, Ragnarok è stracolmo. Sarebbe un delitto concludere il gioco senza aver esplorato ogni suo anfratto, ogni grotta, ogni singolo accampamento. I Nove Regni, qui interamente visitabili, sono infatti una maestosa prova di forza del reparto artistico, che già in occasione del primo gioco aveva mostrato le unghie con paesaggi mozzafiato. Ragnarok, di nuovo, è una conferma del grande lavoro svolto, che riesce inoltre ad allontanare il fantasma del dejà vu grazie ad alcune accurate scelte di design.
PUNTI DI FORZA
- Un viaggio emozionante
- Artisticamente superlativo
- Grande quantità di contenuti
PUNTI DEBOLI
- La scrittura vacilla un po’
- Il finale è gestito male
Pur spegnendosi troppo frettolosamente in un finale che altrimenti poteva essere ancor più grandioso, God of War: Ragnarok è un’opera tanto solida quanto magnifica da giocare, capace di regalare emozioni sin dal primo istante. Il viaggio di Kratos e Atreus nella mitologia norrena si completa con un titolo che in alcune componenti si piazza dietro il suo illustre predecessore del 2018, confermando però ancora una volta che il team ha saputo rielaborare una delle IP più apprezzate di PlayStation in un racconto in continua mutazione e maturo, in tutti i sensi. Non sappiamo dirvi oggi se Ragnarok è il gioco migliore del 2022. Quello che possiamo però dirvi con certezza è che i PlayStation Studios hanno fatto di nuovo centro.
Ringraziamo Sony PlayStation Italia per il codice review di God of War: Ragnarok.
Scrivi un commento