Quello della fantascienza è un universo magico e sempre ricco di possibilità. Il bisogno intrinseco dell’uomo di immaginare mondi fatati e sconosciuti, che forse mai vedremo realmente, si fonde con tecnologie all’avanguardia, ipotesi scientifiche remote, idee visionarie e difficilmente realizzabili al giorno d’oggi. Sfruttato ormai all’inverosimile dal mondo del cinema che negli ultimi vent’anni ha scoperto di poter fare grandi cose con la CG, tema ricorrente da secoli nei libri, protagonista assoluto di molte opere videoludiche alcune delle quali indimenticabili. Da Portal a Borderlands, da Crysis ad Halo, passando per Quake, Doom, Deus Ex, Dead Space e System Shock.
I ragazzi di Arkane Studios non sono nuovi a questo tipo di caldissimo tema. Nel 2009/2010 collaborarono infatti con 2K per BioShock 2, titolo che ha forse condizionato in maniera permanente un team di sviluppo riconosciuto da anni come una fucina di cervelli pronta a sfornare prodotti da tenere sotto controllo. L’influenza di una serie come BioShock si nota sin dai primi istanti del nuovo Prey, opera da qualcuno definita sin troppo derivativa e senza una identità precisa. Mai affermazione fu più sbagliata. Prey, annunciato in gran sorpresa allo scorso E3 di Los Angeles, è un inno alla maestosità di Arkane Studios. Trama, ambientazione, level design, ogni componente confluisce in un’unica direzione, quella che potenzialmente può consacrare Prey come uno dei migliori titoli degli ultimi anni.
Versione provata: PlayStation 4.
UN TIFONE DI NOME MORGAN
Ci troviamo nell’anno 2035, a bordo della stazione spaziale Talos I. L’uomo, in questa realtà alternativa, ha fatto passi da gigante nel campo del progresso scientifico, ma la sua sete di sapere non accenna a placarsi. L’ultima tentazione prende il nome di Typhon, una razza aliena e particolarmente ostile alla quale Alex Yu, principale responsabile della TranStar a bordo della Talos I, è interessato e che vuole studiare ad ogni costo. Le implicazioni di una perfetta conoscenza della razza Typhon sarebbero gigantesche. Ulteriori miglioramenti non solo in ambito scientifico, ma anche in quello umano e psichico, sfruttando gli straordinari poteri che questi esseri dall’aspetto terrificante sembrano avere in dote. Alieni di colore nero, dall’aspetto macabro e che emanano inquietanti versi, simili a demoniache voci dall’oltretomba, e dotati di capacità psichiche mai viste prima. La chiave dell’evoluzione sono loro.
Come è però da sempre insito nella natura umana, il piacere e la voglia di scoprire cose sempre nuove spingono le persone ad osare fin troppo. La situazione alla base TranStar sfugge irrimediabilmente di mano, lasciando il protagonista, Morgan Yu, a bocca asciutta e aperta dinnanzi all’inevitabile corsa per la sopravvivenza che dovrà mettere in atto. Sin dall’inizio, Prey sa essere crudele nei nostri confronti e in quelli del povero Morgan (o povera, a seconda del sesso che sceglierete e assolutamente ininfluente ai fini del gioco), protagonista abbandonato a sé stesso e che scopre di trovarsi all’interno di una sorta di Grande Fratello della TranStar. L’impatto della tragica situazione della Talos I fa velocemente evolvere la trama, accelerando una narrazione che non si perde in troppi fronzoli e che anzi vuole mettere subito di fronte Yu alla più grande delle minacce.
Sebbene la storia di Prey sembri procedere a piccoli passi fino a metà gioco, ciò che possiamo ascoltare dalle parole di nostro fratello Alex, della copia backup di noi chiamata January, della dottoressa Sho e di altri superstiti che incontreremo a bordo della stazione, è solamente la punta dell’iceberg. Talos I era, fino a poco tempo prima che i Typhon riuscissero a rompere un contenimento avventato e a riversarsi ovunque senza alcuna remora, una stazione spaziale perfettamente operativa e ricca di vita, un agglomerato di scienziati che stavano procedendo a far compiere all’uomo un nuovo balzo evolutivo in avanti. Nelle decine di uffici e laboratori che riusciremo a visitare nel corso della nostra corsa contro il tempo, la storia di Talos, della TranStar e degli Yu, così come importanti rivelazioni sui Typhon che ampliano la nostra conoscenza sulla loro natura, saranno pane per i nostri denti avidi di sapere. Arkane in questo si dimostra molto abile nel riuscire a catturare l’attenzione del giocatore, spaesato sì all’inizio ma che vuole trovare la forza di scoprire tutti i segreti che qualcosa, o qualcuno, gli stanno negando.
Per tutto l’arco narrativo principale di Prey, il gioco riesce a mantenersi su livelli altissimi, regalando momenti di tensione così come di distensione nel momento in cui capirete, fortunatamente, di non essere l’unica forma di vita umana ancora sana di mente e operativa a bordo di Talos. Con un ritmo che diventa molto più incessante nella seconda metà di gioco, gli sceneggiatori di Arkane hanno dato vita ad una storia che difficilmente non verrà ricordata dalle menti di chi affronterà i pericoli della stazione spaziale, e che offre anche nei suoi finali multipli un esempio di come, ancora oggi, anche i videogiochi sappiano tirare fuori gli artigli in ambito narrativo. Splendidi, uno dopo l’altro. L’influenza da “trip mentale”, per questa nuova incarnazione di Prey, ha evidentemente un nome: BioShock Infinite, e la sua sequenza di chiusura che, proprio come oggi con il titolo Bethesda, ci fece strabuzzare gli occhi. E non si tratta dell’unico ospite d’eccezione che possiamo riscoprire all’interno delle lussureggianti atmosfere di Talos I.
PREY SHOCK
Talos I è davvero gigantesca, e ciò che impressiona è che saremo in grado di esplorare ogni singolo anfratto di questa stazione spaziale all’avanguardia. C’è però qualcosa che, ad occhi inesperti, sembra stonare con il tono sci-fi imposto dagli Arkane, ed è l’arredamento. Ampi uffici con scrivanie e librerie in legno, scalinate fatiscenti che collegano più piani di un dipartimento, giardini botanici con vegetali liberi di crescere e svilupparsi, pompose stanze con tanto di maestosi lampadari che si calano dal soffitto per proiettare la loro luce su ogni cosa, sfarzose decorazioni dorate e colorate che adombrano di ricchezza e lucentezza l’intera stazione. Ma tutto questo, a dispetto delle apparenze, finisce col fondersi perfettamente con i laboratori fantascientifici e le attrezzature di un futuro neanche troppo lontano per i giorni nostri. Attingendo a piene mani dallo stile decorativo dell’Art Decò, gli sviluppatori finiscono col proporci un grande e splendido mondo da esplorare e che ci farà inevitabilmente tornare alla mente quei BioShock che, per tante ragioni, sono da considerare tra i padri spirituali di Prey. Molte delle intuizioni delle ambientazioni, così come le atmosfere horror che ben presto si faranno sentire, rimandano inevitabilmente alla mente quella decadente e oscura Rapture City. Anche in questo caso, il mondo di gioco sta subendo un veloce e drastico cambiamento in negativo, con Typhon di natura via via più misteriosa che stanno contaminando tutto ciò che incontrano per dare vita a qualcosa di nuovo. Fortunatamente, però, questo non significa che non riusciamo a godere in qualche modo della vista di ciò che la stazione spaziale era prima dell’invasione, facendoci immaginare una Talos I splendida da vedere e da vivere.
Cerchiamo di chiarire sin da subito il perché di così tanti richiami ad un’opera come BioShock, e ad altre che successivamente vedremo. Prey, pur rappresentando un’opera imprescindibile per come ve l’abbiamo descritta sinora, ha una natura fortemente derivativa. Un dato oggettivamente innegabile, che può essere supportato da una lunga lista di spiegazioni. Il contesto sci-fi, ad esempio, può trovare precedenti illustri in System Shock e Dead Space, quest’ultimo capace di offrire anche una sana componente horror che Prey è abile a sfruttare. L’attenzione alla narrazione ricorda molto da vicino Half Life e i suoi vari discepoli, e un omaggio al titolo Valve lo si può ritrovare anche nel semplice utilizzo dell’arma più comune del gioco, la chiave inglese. Semplice, pratico, facile da utilizzare e sempre a nostra disposizione, proprio come l’indimenticabile piede di porco di Gordon. L’ambientazione e i toni sono molto più vicini a BioShock di quanto non sembri, così come la presenza di numerose porte da sbloccare grazie a codici sparsi in tutta la stazione, e la stessa storia fatta di ribaltamenti, segreti e situazioni al limite del comprensibile non fa che avvalorare questa tesi. Il sistema di movimento e di combattimento è poi un altro omaggio, se così vogliamo chiamarlo, ai vari “Shock”. Sebbene qualcuno abbia condannato tutto ciò, il mio pensiero è: perché no? Arkane ha sì certamente preso spunto da illustri opere videoludiche del recente passato, ma ha dimostrato di saperle manipolare alla grande e di non cadere in un more-of-the-same, un pericolo molto elevato considerando i nomi in gioco e la loro influenza negli anni.
SILENZIOSO E LETALE
L’eterogeneità delle ambientazioni fa a cazzotti con quelle che possono essere le proprie strategie per avanzare nel gioco. Così come in Dishonored, anche Prey permette al giocatore di scegliere intelligentemente tra un approccio difensivo, più votato all’esplorazione e alla saggia attesa, e uno invece puramente action. Azione quest’ultima spesso sbagliata e fin troppo avventata da portare a compimento. Prey non è uno shooter puro, dimenticatevi l’idea che potreste esservi fatti sulla sua natura di FPS. Il cuore dell’opera risiede nella sua ragionata filosofia attendista, permettendo a Morgan di studiare a fondo l’ambiente circostante per comprenderne pericoli e possibilità a favore, passaggi segreti e scorciatoie, depositi nascosti che possono permetterci di recuperare preziose risorse e rifiatare dopo aver appena fatto l’ultimo sobbalzo dalla sedia a causa di un Mimic che si era tramutato in un oggetto apparentemente innocuo. Equipaggiamenti come lo Psicoscopio, in grado di captare i Typhon, risultano essenziali da sfruttare per carpirne anche i punti deboli, ma anche semplici e apparentemente inutili scarti come bucce di banana e hard disk fusi vanno saggiamente conservati e riutilizzati nei vari riciclatori sparsi su tutta Talos. La stazione TranStar è come il maiale: di essa, non si butta via niente.
A causa della difficoltà da non sottovalutare, capirete sin da subito che attendere ed aspettare è spesso un’alternativa migliore a “esco e sparo all’impazzata”, spesso l’idea peggiore considerando che sono anche gli sviluppatori a spingere il giocatore a non lanciarsi in azioni avventate. Il magistrale level design di Prey, fatto di più livelli e di innumerevoli possibilità offerte in dote al giocatore, svolge un ruolo fondamentale nell’economia del gioco, permettendo grazie a queste intuizioni di sopperire i difetti di uno shooting che spesso vi farà imbestialire. La scarsa reattività dei movimenti di Morgan, sicuramente non aiutata da una spiccata imprecisione in fase di attacco, risulterà una croce difficile da digerire, anche dopo molte ore passate su Talos I. In tantissime occasioni vi capiterà di brandire la fidata chiave inglese e rotearla in varie direzioni nel tentativo di colpire lo sfuggente Mimic, o di ricorrere ad armi a fuoco più convenzionali come pistole stordenti e fucili a pompa senza però riuscire a centrare il bersaglio al primo colpo, specialmente nel caso dei suddetti nemici e degli Spettri, le “unità” Typhon più rapide e imprevedibili. Troveremo spesso conforto in una delle armi più divertenti e innovative, e nostro compagno di viaggio lungo tutta la permanenza su Talos, il Cannone GLOO. Un possente fucile che spara proiettili collanti in grado di immobilizzare anche i nemici, una gustosa aggiunta che può essere sfruttata, grazie alle sue particolari peculiarità, anche in fase di esplorazione.
È incredibile notare come Arkane abbia deciso di dare uno sfogo eccellente alla propria creatività, e lasciando al giocatore una libertà tale che non si riscontra in alcuna delle opere alle quali Prey si ispira per divenire la sinuosa perla che è. Tra le tante intuizioni per fornire al gioco una identità precisa, c’è quella delle Neuromod, componente distintiva di Prey e anche l’elemento dal quale dipenderà l’evoluzione di Yu e del suo approccio al gioco stesso. Le Neuromod sono state studiate e create appositamente presso TranStar, sfruttando gli studi sui Typhon e sulle loro incredibili capacità. Tali composti si insinuano nel cervello di chi se le inietta, conferendogli abilità fuori dal normale che spaziano dal campo scientifico a quello delle prestazioni, ma allo stesso tempo rischiano di far perdere lentamente memoria e ragione. Le stesse abilità Typhon, come la mimetizzazione e la trasformazione in oggetti inanimati, sono alcune delle decine di possibilità che le Neuromod mettono a nostra disposizione, con il giocatore chiamato a scegliere in base alla propria indole su cosa spendere le sudate fiale di composto trovate. Accrescere le capacità intellettive, magari aumentando la possibilità di aprire luoghi segreti e le proprie statistiche vitali, oppure rischiare il tutto per tutto e lasciarsi trasportare dal fenomeno Typhon, utilizzando le loro stesse abilità contro di loro? Tutto questo, però, ha un prezzo. Sfruttare i poteri Typhon, e avvicinarsi sempre di più ad essere uno di loro, vi farà ritrovare contro tutte le difese automatizzate di Talos, che riconosceranno l’incombente pericolo. Tante possibilità e tante strade da percorrere, ognuna delle quali incastrata alla perfezione con ciò che Prey vuole essere.
PROBLEMINI
Persino le passeggiate nello Spazio, silenzioso e tenebroso, saranno accattivanti e ispiratrici da portare a termine. Se ambientazione e concept hanno pochi rivali, il comparto tecnico non riesce a restituire una altrettanto grandiosa sensazione. Il CryEngine utilizzato da Arkane Studios è stato capace, in passato, di offrire prodotti migliori alla vista, e segnaliamo anche qualche piccolo bug e incertezza in fase di movimento, che talvolta compromettono la studiata strategia attuata per proseguire senza farsi scovare dai nemici. Fortunatamente, come già abbiamo avuto modo di spiegare, la straordinaria direzione artistica di Prey costringe il giocatore a rimanere sbalordito di fronte al colpo d’occhio d’insieme, senza doversi perdere a controllare texture non all’altezza. Come se non bastasse, l’atmosfera è coadiuvata da una colonna sonora sempre presente e in tema con ogni cosa che accade. Vivace nei momenti di tensione, misteriosa nel corso delle lunghe traversate su Talos.
PUNTI DI FORZA
- Talos I è straordinaria da esplorare
- Storia ricca di sotto trame e missioni secondarie
- Ambientazione suggestiva
- Libertà totale al giocatore
PUNTI DEBOLI
- Tecnicamente non all’avanguardia
- Qualche difetto nello shooting
L’operazione reboot, sempre se di reboot si tratti, di Prey ha funzionato alla grande. Arkane Studios ha plasmato con le proprie mani un quasi capolavoro, che potrebbe essere stato definito tale se in fase di sviluppo i creatori di Dishonored avessero dato un’attenzione maggiore ad una componente shooting poco fluida e inadatta. Di contro, Talos I è una struttura meravigliosa da esplorare, e quasi “viva” nonostante un’invasione aliena che lascia ben poco alla speranza di un risvolto positivo, spingendoci però ad esplorare ogni possibile angolo di questo inno alla fantascienza andante alla deriva. Morgan Yu è, da oggi, un eroe icona dei videogiochi, in un titolo che pur raccogliendo l’eredità di capolavori passati ha saputo costruirsi attorno una solida identità che lo rende unico nel suo genere.
Ringraziamo Bethesda Softworks per la copia stampa fornita.
Scrivi un commento