Home Videogiochi Recensioni [RECENSIONE] The Dark Pictures Anthology: Little Hope – Una notte da incubo tra gatti neri e stregoneria

[RECENSIONE] The Dark Pictures Anthology: Little Hope – Una notte da incubo tra gatti neri e stregoneria

Supermassive Games ci riprova: puntando questa volta su un immaginario più ampio e conosciuto a livello di cultura popolare, la casa di sviluppo inglese continua a dedicarsi alle avventure narrative di genere horror e porta avanti a gonfie vele l’ambizioso progetto delle “Dark Pictures Anthology”. Ad Halloween ci siamo quindi buttati a capofitto nel secondo capitolo della serie orrorifica: Little Hope ci porta nell’oscuro e crudele periodo della caccia alle streghe, durante il quale la superstizione, il pregiudizio e la paranoia regnavano sovrani.

Percorriamo quindi insieme questa storia da incubo, tra inquietanti personaggi del passato, gatti neri e minacce letali. La recensione di The Dark Pictures Anthology: Little Hope non conterrà spoiler sulla trama e i suoi possibili risvolti, ma se volete rimanere totalmente all’oscuro riguardo i personaggi e le meccaniche di gioco vi consigliamo di rimandare la lettura al termine della vostra personale run.

Versione provata: PC

LASCIATE OGNI SPERANZA, O VOI CHE ENTRATE

La storia di Man of Medan, il primo capitolo dell’antologia, presentava non pochi problemi: personaggi anonimi, doppiaggio italiano a tratti imbarazzante, struttura narrativa inconsistente, dialoghi spesso senza senso, al limite del ridicolo. Little Hope fa di certo un gran balzo in avanti per tentare di porre rimedio agli errori passati, migliorando la sceneggiatura, rendendo i protagonisti e le loro battute decisamente più credibili. Durante le 5-6 ore da incubo che trascorreremo a Little Hope, vestiremo i panni di cinque personaggi: Andrew, interpretato magistralmente dal noto attore Will Poulter, è uno studente di diciotto anni. Ad accompagnarlo troviamo i suoi compagni Daniel (20 anni), Taylor (22 anni) e la più attempata Angela (48 anni). Gli studenti sono in gita scolastica con il docente universitario John (43 anni). In seguito ad un incidente che coinvolge il loro pullman, l’allegra (si fa per dire) compagnia si ritrova sola e spaesata nell’oscura notte di Little Hope, in cerca di un modo per mettersi in salvo. Tra loro e la libertà si pone però una densa nebbia che disorienta e cela non pochi pericoli.

Da queste premesse prende avvio una lunga notte di paura. La vita dei protagonisti è in mano al giocatore, che con le sue scelte più o meno oculate deciderà il destino di ciascun personaggio. Rispetto al primo capitolo che non consentiva molte possibilità di variare le ambientazioni, questo secondo atto riesce a incuriosire di più facendoci esplorare l’intera cittadina di Little Hope, teatro di non poche tragedie e vicende sinistre. Dalle lunghe camminate all’aperto fino ai boschi e gli edifici, ci sarà sicuramente più spazio per esplorare e per chiedersi in quale temibile scenario finiremo di lì a poco. Nonostante questo, gli interni non brillano per originalità e risultano spesso decisamente meno inquietanti di una strada buia e deserta, illuminata da un lampione o dalla luce di un cellulare. Insieme ai cinque protagonisti la narrazione viaggia su diversi piani temporali, spostandosi dal presente al passato e viceversa alla riscoperta dei processi per stregoneria di Salem. Nel diciassettesimo secolo infatti, in molti furono processati e accusati ingiustamente di essere sostenitori del diavolo, per poi venire uccisi nei modi più atroci. Questa mentalità, frutto dell’oscurantismo e di una visione pessimistica e oppressiva della religione, caratterizzò una delle pagine più buie della storia. Little Hope gioca su questo immaginario, riportandoci indietro nel 1692 alla ricerca del Maligno.

I personaggi del secondo capitolo risultano meno stereotipati rispetto a Man of Medan: il tempo di gioco non è sufficiente per riuscire ad approfondirli ed empatizzare davvero, ma almeno non ci è venuta voglia di uccidere malamente alcuni di loro alla prima occasione utile. La trama non è nulla di innovativo, è un semplice pretesto per costruire un immaginario di paura basandosi su fatti e miti del mondo reale. Il gioco quindi segue pedissequamente l’originale intento della Dark Pictures Anthology, senza però riuscire a regalarci nemmeno questa volta una trama solida, priva di punti oscuri. Anche dopo aver rigiocato il titolo diverse volte per esplorarne i finali e le possibili diramazioni, rimangono infatti alcuni dubbi e incongruenze difficili da giustificare.

Il gioco risulta lento durante le sue prime fasi, per poi subire una brusca accelerata nel ritmo mano a mano che ci si avvicina al colpo di scena finale. Anche i pericoli si faranno via via più mortali lungo la strada, quindi abbassare la guardia non è consigliabile. Per i giocatori meno interessati alla ricerca e alla lettura dei documenti disseminati nelle varie ambientazioni, un avvertimento: senza concentrarsi sulla narrazione ambientale e sugli indizi sparpagliati lungo la via, vi sarà praticamente impossibile capirci qualcosa. Uomo avvisato…


RAGIONE E SENTIMENTO

Come in ogni avventura grafica che si rispetti, Little Hope mette il giocatore davanti a scelte cruciali, che cambieranno il corso degli eventi inevitabilmente, plasmando così la storia fino a condurci a uno dei diversi finali disponibili. I personaggi avranno la possibilità di rispondere seguendo la propria ragione o lasciandosi trasportare dai sentimenti, oppure potranno rimanere in silenzio. A seconda di come porteremo avanti i dialoghi, i tratti caratteristici del personaggio in questione muteranno: è sempre molto utile e interessante controllarli nell’apposita schermata, per capire come gestire i diversi aspetti del carattere di ciascuno. Possiamo cercare di mantenere la calma e di essere empatici, ma nulla ci vieta invece di essere scorbutici, arroganti ed egoisti. A nostro rischio e pericolo.

Il bello di questo genere di giochi rimane che non c’è la cosa giusta o la cosa sbagliata, tutto dipende dall’esito che vogliamo dare alla nostra storia. Da qui deriva anche l’ottima rigiocabilità del titolo: essendo così breve è consigliabile ritornare sui propri passi e cimentarsi in ulteriori partite, per esplorare i diversi bivi narrativi e plasmare diversamente il carattere dei nostri cinque malcapitati.

Ritornano in questo secondo capitolo i Segreti, fondamentali per ricostruire le vicende legate ai diversi luoghi che visitiamo. È bene dedicarsi anche alla ricerca delle particolari cartoline che ci consentiranno di vedere sprazzi del futuro, per riuscire ad orientarsi meglio con le scelte che ci aspettano.

Nelle sue prime fasi, il gioco ci offre l’opportunità di abituarci ai quick time event, che risultano cattivi al punto giusto: nelle situazioni più concitate servono ottimi riflessi per non sbagliare. La posizione della grafica nello schermo ci consente di intuire quale sarà il tasto da premere, anticipando anche l’azione che verrà compiuta dal personaggio, ma a volte è più semplice a dirsi che a farsi. Oltre ai consueti tasti da premere entro il tempo limite, potrebbe comparire infatti anche un mirino che ci porterà a dover spostare il cursore all’interno di una ristretta area prima di poter attaccare. Altra novità consiste nel repentino passaggio da un personaggio all’altro: sbagliare l’azione precedente potrebbe rendere la vita più difficile al malcapitato che comanderemo pochi istanti dopo. Pur senza sostanziali innovazioni nel gameplay, avremmo apprezzato qualche sezione action in più, per poterci mettere alla prova più a lungo.

Menzione speciale va fatta per la modalità multigiocatore e per la “Curator’s cut”, che ci consentiranno di scoprire qualche scena e qualche dialogo in più rispetto alla prima partita in solitaria.

QUALCOSA DI SINISTRO STA PER ACCADERE

The Dark Pictures Anthology: Little Hope spaventa per lo più attraverso alcuni jumpscares ben posizionati e attraverso l’ambientazione, che si dimostra all’altezza grazie a un sistema di illuminazione efficace ed orrorifico. Il sound design, completo di brani evocativi, rumori inquietanti e silenzi altrettanto spettrali, è fondamentale per mantenere il giocatore sempre sulle spine.

Il comparto tecnico del gioco si rivela nel complesso all’altezza, ad eccezione di alcuni bug (doppiaggio italiano che a tratti diventa inglese) e di un paio di crash che ci hanno costretti a ricaricare la partita. Il doppiaggio italiano è buono ma risulta inefficace nell’esprimere la diversa tonalità e inflessione della parlata inglese del 1600, quindi è consigliabile, per chi volesse approfondire, rigiocare il titolo anche in lingua originale.

Il motion capture rende bene l’espressività dei protagonisti. Le performance attoriali di Will Poulter (Andrew), Ellen David (Angela) e l’immancabile Pip Torrens (il Curatore) spiccano rispetto alle altre, che sono tuttavia nel complesso molto buone. Tra citazioni Shakespeariane e allusioni, la figura del magnetico e altolocato Curatore dagli occhi di ghiaccio resta affascinante: rompendo la quarta parete e rivolgendosi direttamente al giocatore, il Curatore ci giudicherà senza pietà ma sarà comunque una presenza carismatica e accattivante anche in questo secondo capitolo.

 

PUNTI DI FORZA

  • L’ambientazione e i rimandi alla caccia alle streghe
  • Quick Time Event responsivi
  • Dialoghi credibili
  • Buona rigiocabilità
  • Il Curatore

 

PUNTI DI DEBOLEZZA

  • La trama scricchiola ancora
  • Nessuna sostanziale innovazione nel gameplay
  • Poche scene d’azione

 

 

Il secondo capitolo della The Dark Pictures Anthology si apre a uno scenario più evocativo e più interessante, ma non riesce a fornire fino in fondo quel brivido che ci saremmo aspettati. Pur mantenendo sempre un buon livello di tensione, si chiude con poche scene concitate, lasciandoci sì con la voglia di rigiocare, ma anche con la sensazione che un paio di ore in più, in questo caso, non avrebbero guastato.

 

Scritto da
Chiara Ferrè

Ciao, sono Chiara. Cresciuta a pane, Harry Potter e Final Fantasy, ho da sempre una grande passione per la narrazione in tutte le sue forme. Cerco campi di battaglia, magici cappelli, lucertoloni volanti. Ho una penna e non ho paura di usarla.

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