Con The Devil in Me la Dark Pictures Anthology giunge al termine della sua prima stagione (sappiamo già qualcosa sul prossimo titolo però, che sarà ambientato nello spazio). Dopo Man of Medan, Little Hope e House of Ashes abbandoniamo streghe e soprannaturale per un’avventura horror più realistica, basata niente meno che su Henry Howard Holmes, colui che viene ancora oggi definito il primo serial killer d’America.
Supermassive Games sarà riuscita nel suo intento di confezionare un finale di stagione coi fiocchi? Scopriamolo insieme in questa recensione di The Devil in Me del tutto priva di spoiler.
Versione provata: PS5
Benvenuti al World’s Fair Hotel
La fascinazione per i serial killer non manca mai, soprattutto tra gli amanti dell’horror o delle storie basate sul true crime. Lo sanno bene anche i malcapitati protagonisti di The Devil in Me, cinque membri di una troupe televisiva sul lastrico, che cercano disperatamente di risollevarsi girando il documentario horror della vita: quando un ricco magnate li invita a filmare nella fedele ricostruzione del Castello della Morte di H. H. Holmes, l’offerta è troppo succulenta per rifiutare. Giunti sul posto però, i protagonisti comprendono ben presto che c’è qualcosa di strano e non tutto è frutto della suggestione.
La storia di The Devil in Me parte con delle ottime premesse: il gioco del gatto col topo è ben presto messo sul piatto e il divertimento sta tutto lì, nel capire chi riuscirà ad avere la meglio sul pazzo psicopatico che sta cercando di emulare il leggendario serial killer. L’orrore quindi inizia nel 1892 (anno in cui è ambientato il prologo) ma prosegue fino ai giorni nostri, in un macabro gioco di tortura e morte che ricorda a tratti Saw.
Nonostante le ottime intenzioni però, The Devil in Me non riesce mai davvero a colpire lo spettatore: con queste premesse, ci si aspetta una storia molto macabra, giochetti sadici, un assassino iconico. Troverete pochissimo di tutto ciò nel corso dell’avventura. La caratterizzazione dei personaggi non è tagliente al punto giusto, si empatizza poco: anche quando ci si trova a scegliere se aiutare l’uno o l’altro malcapitato, la decisione risulta piuttosto casuale. L’intreccio narrativo è ripetitivo e pressoché inesistente. Il vero divertimento, alla fine, diventa l’esplorazione: grazie ai documenti e agli indizi sparsi per l’hotel, il giocatore si finge un investigatore che deve ricostruire, pezzo dopo pezzo, l’identità dell’assassino.
Innovazione o fuffa?
Se conoscete la Dark Pictures Anthology o Until Dawn, saprete che i giochi di Supermassive sono delle avventure narrative a sé stanti dove il giocatore decide delle vite dei vari personaggi attraverso dialoghi a scelta multipla, QTE (quick time events) e in base a ciò che si sceglie di fare nei momenti più concitati (mi nascondo o scappo? Aiuto il mio amico o attacco l’aggressore?).
Il gameplay di The Devil in Me non rivoluziona affatto questi stilemi, ma aggiunge alcuni elementi che non erano presenti nei giochi precedenti: ciascun personaggio è dotato di un piccolo inventario (è tutto davvero limitato) che può contenere degli oggetti per fare luce, chiavi e altri strumenti unici. Peccato però che non ci sia minimamente la libertà di utilizzarli e alcuni oggetti siano davvero inutili al di fuori di pochissime occasioni nelle quali ci viene imposto il loro utilizzo da parte del gioco.
L’altra novità sta nella mobilità dei personaggi, che ora possono arrampicarsi sulle sporgenze, salire e scendere scale a pioli, spostare dei carrelli per saltarci sopra. In questo modo il team di Supermassive ha inserito nell’avventura alcuni semplicissimi enigmi ambientali che servono un po’ ad allungare il brodo. Nulla di eclatante, anche perché le movenze della nostra troupe rimangono piuttosto legnose. Buono invece l’utilizzo dei QTE, che aiutano ad alzare l’adrenalina e a risollevare l’attenzione.
Non siamo rimasti particolarmente colpiti invece dalle scelte che The Devil in Me offre al giocatore: si cerca di ragionare per far sì che la storia vada nella direzione sperata (salviamo uno o l’altro personaggio?) ma a volte l’esito delle nostre azioni ci è sembrato un po’ troppo imprevedibile. Davvero un terno al lotto.
Oscurità, oscurità… e ancora oscurità
Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, The Devil in Me non se la cava proprio benissimo (sì: è un eufemismo). Abbiamo riscontrato piccoli bug che hanno sporcato tutta l’avventura, dal doppiaggio che, seppur impostato in italiano, diventava magicamente in inglese in decine di occasioni, fino alle animazioni scattose: il problema maggiore rimane l’espressività dei protagonisti, che risulta più fissa e priva di vita del solito (i tipici occhi da pesce…) e rende davvero difficile immergersi nella storia. Per non parlare poi dell’assassino, muto e privo di personalità (fa molta meno paura dei manichini sparsi per l’ambientazione)…
Il personaggio più carismatico resta il Curatore.
L’hotel degli orrori è un’ambientazione intrigante, curata negli arredamenti e molto d’atmosfera nei suoi lunghi corridoi claustrofobici, ma non raggiunge i picchi affascinanti di House of Ashes. Ci sono un paio di jumpscare ben congegnati, ma è l’oscurità la vera protagonista del gioco: il buio pressoché totale di alcune sezioni aiuta a mantenere la tensione, è vero, ma ci vuole un attimo a perdersi in una stanza minuscola se non si riesce a vedere a un palmo dal naso (soprattutto se giocate con la luce del giorno sullo schermo… lì rassegnatevi).
PUNTI DI FORZA:
- Una ambientazione affascinante e curata
- È intrigante ricostruire i dettagli della storia grazie a documenti e indizi
PUNTI DI DEBOLEZZA:
- Tecnicamente resta un colabrodo
- Poco horror e poca trama: ci aspettavamo di più da questo serial killer!
The Devil in Me, nonostante cerchi di innovare introducendo piccoli nuovi elementi nel gameplay, fa un passo indietro rispetto a House of Ashes per quanto riguarda le ambientazioni, la trama e l’horror in generale. Se siete dei veterani dell’antologia targata Supermassive, radunate pure i vostri amici, unitevi alla troupe televisiva (o all’assassino) e potreste anche passare qualche ora di divertimento in compagnia… sempre che siate appassionati del genere e non abbiate troppe pretese.
Scrivi un commento