Cosa rende un gran gioco un capolavoro? Se c’è qualcuno che può essere tranquillamente in grado di rispondere a questa domanda, uno di questi è Hideo Kojima. Del resto, parliamo del padre di Zone of the Enders, dell’uomo capace di tenere tutti con il fiato sospeso solamente con una manciata di trailer del suo Death Stranding in lavorazione per PS4, senza dimenticare ovviamente la serie che lo ha consacrato nell’Olimpo dei videogiochi: Metal Gear. Iniziata nel lontanissimo 1987 con il primo omonimo capitolo per MSX2, la serie vive ancora oggi e continua a brillare, tra picchi altissimi di qualità, episodi per certi versi controversi ma apprezzati, e (pochissimi) incidenti di percorso (sì, Metal Gear Ac!d, parlo proprio di te).
Da fan “tardivo” del franchise di Kojima (recuperai Metal Gear Solid 3: Snake Eater solamente nel 2006, e fu il primo gioco della serie che giocai), ero naturalmente elettrizzato nel 2013 dall’avvento delle console di nuova generazione che avrebbero portato in dote la nuova creatura del duo Konami-Kojima, apparentemente indistruttibile. Metal Gear Solid V, il quinto capitolo della serie principale, era atteso su PS4, Xbox One e PC, e si prospettava come il più ambizioso videogioco mai concepito dalla brillante mente nipponica. Un vastissimo mondo interamente visitabile dal nostro protagonista, le classiche meccaniche della serie che si fondevano con quanto di buono visto in un recente spin-off, l’apprezzatissimo Metal Gear Solid: Peace Walker su PSP, e una storia che si preparava a far scoppiare le nostre menti, come da tradizione. Solamente recentemente, però, ho avuto modo di recuperare l’opera completa di MGS V, e, parlandone a freddo, posso affermare di essere rimasto deluso da quanto visto. Non da tutto, certo, sarebbe assurdo affermare che l’intero gioco è da buttare, ma c’è più di una cosa che fa storcere il naso e che fa gridare allo scandalo per come è stato gestito quello che è stato di fatto il gioco della rottura tra il colosso giapponese e il papà di Metal Gear.
Riflessioni a freddo è una rubrica dove i ragazzi della redazione di Uagna.it rivisitano giochi più o meno vecchi, recuperati mesi o anni dopo la loro uscita e sui quali cercano di riflettere osservandone pregi e difetti, lontani da quelli che possono essere i clamori generati dell’hype e dalla popolarità estrema di certi brand. Le opinioni in questi articoli vanno prese come assolutamente personali, anche se non dimentichiamo mai di sottolineare pregi e difetti nella maniera più oggettiva possibile.
Lo ammetto candidamente già all’inizio di questo speciale articolo dedicato a Metal Gear Solid V: nel suo insieme, e presto vi spiegherò perché, l’ultimo capitolo principale della serie è ben lontano dall’essermi piaciuto. Ancora oggi, dopo tutti questi anni e questi giochi, ritengo Metal Gear Solid 3: Snake Eater il migliore della saga, seguito a ruota dal primo Metal Gear Solid e Guns of the Patriots, il quarto capitolo, nonostante sia insediato particolarmente vicino da un Peace Walker che su PSP mi sbalordì. Non sembrava neppure un gioco per una console portatile tanto era gigantesco e profondo. Ma non divaghiamo, e torniamo a parlare del quinto capitolo principale, quello più ambizioso ma anche quello che forse, guardando esclusivamente la serie principale, ha lasciato il maggior numero di dubbi.
La storia di Metal Gear Solid V ha inizio nel suo prologo giocabile, Ground Zeroes, rilasciato da Konami nel 2014 come antipasto del piatto forte che sarebbe arrivato l’anno successivo. Nonostante l’hype montasse prepotentemente in me, voglioso di scoprire in che modo Kojima avrebbe sorpreso nuovamente i suoi fan in quello che si prospettava come il più innovativo capitolo del franchise, fui fermato da una componente di non poco conto: il prezzo. Ground Zeroes, per come era stato descritto, era un prologo di MGS V della durata di poche ore, e veniva venduto al prezzo di circa 40€. Quaranta euro, mica pizza e fichi. Quaranta euro è il prezzo della Spyro Reignited Trilogy, tanto per intenderci, che contiene la bellezza di tre giochi (e che giochi, come vi abbiamo raccontato nella nostra recensione). 40€ per una manciata di ore, seppur di uno dei giochi che più attendevo, mi parevano un pochino troppi. E difatti scelsi di attendere un calo di prezzo, non senza dare uno sguardo alle prime (a dire il vero non entusiastiche) recensioni di Ground Zeroes.
Finito nella lunga e terrificante lista del backlog, l’occasione per Ground Zeroes si ripresentò alla mia porta alcuni mesi dopo, quando il PS Plus di PS4 offrì proprio il gioco come parte dell’offerta dell’abbonamento. Al giorno di lancio della line-up mensile, l’operazione su semplice: acquistato, scaricato, giocato. E, grazie al cielo, non ho sborsato i famosi 40€ che Ground Zeroes costava al Day One. Il buon Snake era in formissima, certo; il gameplay, seppur non ancora vasto come lo sarà nel gioco principale, assaporava di un insieme di innumerevoli possibilità per sfuggire ai nemici e portare a termine gli obiettivi, restando fedeli allo spirito della serie, realistico ma che sapeva sempre prendersi in giro tra scatoloni in cui nascondersi e situazioni “sovrannaturali”. Inoltre, Ground Zeroes gettava solide basi per il divenire, recuperando peraltro uno dei personaggi che più mi avevano incuriosito in Peace Walker, Paz. Tutto molto bello. E allora perché ero grato a me stesso di non aver speso i famosi 40€? Presto detto: la durata del “gioco”. Concepito come un corposo prologo, quella che potremmo definire essere la storyline principale di Ground Zeroes era completabile in circa 1 ora, contando i (lunghissimi, come da tradizione) filmati e dialogi di spiegazione.
Fortunatamente Ground Zeroes non si limitava a questo, ma proponeva anche una vasta rigiocabilità con tanto di missioni secondarie e record da superare, che di fatto però non spostavano in alcun modo l’azione dalla location di riferimento, Camp Omega. Ho passato una discreta dose di ore con il gioco, senza l’obiettivo di completarlo al 100% ma con il solo intento di godermelo il più possibile, e così fu. Il gameplay mi ispirava, il comparto tecnico non sembrava essere al pari di altre blasonatissime produzioni di quegli anni ma aveva comunque il suo grande fascino; inoltre, il level design di questo mondo completamente visitabile, cosa questa solamente abbozzata nei precedenti MGS3, MGS4 e MGS:PW, era straordinario. Ribadisco però la mia felicità nel non aver speso 40€ per tutto questo: in quel caso, il mio giudizio sarebbe stato (forse molto) più negativo, alla luce di un rapporto quantità/prezzo insoddisfacente.
Il profumo di un capolavoro in vista c’era, ma soffro nel dire che Metal Gear Solid V: The Phantom Pain non si rivelerà essere quello che mi aspettavo, deludendo parzialmente le mie altissime aspettative. Non è però il momento di parlarne: lo faremo solamente la prossima settimana, nella seconda parte della riflessione a freddo su MGS V.
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