Non avete anche voi una piccola lista di videogiochi, titoli ai quali siete appassionati magari sin da bambini, che siete ansiosi di rivedere ma che i vari sviluppatori e produttori odierni sono restii a far tornare sulle scene? Personalmente, ho giocato a talmente tanti giochi che alcuni di questi sono stati ormai dimenticati, vuoi per la memoria che fa talvolta cilecca, vuoi per le poche emozioni che mi fecero provare. Eppure, non posso fare a meno di scordare alcuni giochi, chi più recente, chi meno, che desidererei rivedere in una chiave moderna, magari con un sequel, sulle console e i PC di oggi. Perché se una storia è stata ben costruita, se un gioco è stato apprezzato, allora significa che qualcosa di buono c’è, e che merita di essere riportato in auge anche solo per la gioia di quelle poche migliaia di persone che hanno saputo apprezzarlo. Da un’idea non originale (lo ammetto, e di questo devo ringraziare un post dell’amico Dadobax che ha fatto scaturire in me tale pensiero grazie ad un post su Facebook qualche giorno fa… Non farmi causa!), ecco che iniziamo una nuova rubrica su Uagna.it: giochi a caccia di sequel. Una lista, alla quale anche voi potrete contribuire con le vostre segnalazioni, di tutti quei giochi che per chissà quali arcani misteri non hanno mai (ancora) avuto modo di tornare. Perché altri sì e questi no? Motivi molteplici: cambiamento del pubblico, nuove evoluzioni, mercato in continuo movimento, insuccessi commerciali. Ma i soldi, cari produttori e sviluppatori, non sono tutto…
THE ORDER: 1886
L’ultimo, ad oggi, lavoro di Ready at Dawn si chiama The Order: 1886. Tra le più strane e controverse esclusive PlayStation 4, il TPS fantasy, che per molti è la risposta di Sony alla celebre serie Gears of War, è stato capace di dividere buona parte del pubblico e di unificarla per il suo aspetto peggiore: la durata. In poco più di 5 ore, infatti, è possibile portare a termine la prima run del gioco, una durata davvero esigua e che per molti è considerata inaccettabile visto l’esborso di denaro richiesto per poterci mettere sopra le mani. Le varie critiche, o per meglio dire le molte critiche mosse al titolo, che ha comunque dalla sua un buonissimo gameplay e un comparto tecnico a dir poco strabiliante e che fa concorrenza anche a titoli su PC, sono probabilmente le responsabili principali della sparizione dai radar del gioco e di un suo sequel praticamente certo. Le vicende del gioco si chiudono infatti in una sorta di gigantesco climax che apre ad un proseguo della storia, forse un The Order: 1887 che però, ad oggi, non sembra essere una priorità né per Sony né tanto meno per Ready at Dawn, impegnata su altri lavori. Ed è un gigantesco peccato, perché anche il lavoro di sceneggiatura è una piccola perla, capace di fondere elementi sovrannaturali come lupi mannari a figure storiche come Jack lo Squartatore, in una sorta di thriller steampunk della Londra Vittoriana dove scienza e magia si avvicinano e si allontanano di continuo. Organizzazioni secolari e segrete, intrighi di potere, il buon Nikola Tesla a costruire le nostre pericolosissime armi. Cosa chiedere di più? Beh, almeno 3 ore di storia in più, se dobbiamo essere sinceri. Oppure una maggiore interazione, che spinga a rigiocare più volte la campagna, senza dover ricorrere ad espedienti poco contestualizzati come un possibile multiplayer.
L.A. NOIRE
“Eh, ma non puoi fare le sparatorie!“. “Eh, ma non puoi rubare le auto!“. “Eh, ma non è un GTA!“. E grazie. Chi probabilmente ha scritto, detto o pensato anche solo una di queste frasi, non ha mai compreso cosa sia in realtà L.A. Noire, sperando di poterlo capire solamente osservandone la confezione. Il videogioco Rockstar del 2011 fu una sorpresa per chiunque. Abituata da anni ad esperienze dove l’illegalità e la libertà totale erano all’ordine del giorno (Grand Theft Auto, la serie Red Dead), Rockstar decise di cambiare le carte in tavola e stravolgere le abitudini: gli sviluppatori di Team Bondi si cimentarono in una titanica impresa fatta di lunghe e intense sessioni di motion capture e di una sceneggiatura degna dei migliori polizieschi della storia, per dare vita all’investigativo del quale stiamo parlando. Ambientato a Los Angeles nel 1947 e costituito di diversi protagonisti che impersoneremo nel corso della storia, ricca di colpi di scena e di notevoli intrecci, il gioco mette alla dura prova la pazienza di chiunque. Dotati delle proprie abiità investigative e dell’immancabile taccuino da detective, i crimini di Los Angeles sono stati il nostro pane quotidiano, dovendo fare anche i conti con gli impercettibili segnali che arrivano dalle espressioni facciali di chi interroghiamo, non sempre con risultati veritieri. Denigrato da molti, L.A. Noire è da considerare, oggi, un titolo fortemente di nicchia e improntato per un tipo di giocatore che fa della calma e della pazienza le sue virtù. Ed è un vero peccato che il gioco, a causa di queste sue peculiarità, non abbia dato i frutti sperati, finendo con l’essere ricordato più come l’ultimo lavoro del Team Bondi (smantellato dopo la fine del supporto) che come una validissima sorpresa. Non perfetto, certamente, con anzi diversi dettagli da limare e modificare. Ma un sequel, ad oggi, non è mai stato annunciato, né è stata mai espressa la volontà di farlo.
TONIC TROUBLE
Ubisoft era ossessionata da personaggio stilizzati ma con stile, semplici ma con grande potenziale, proprio come Rayman: una testa a punta, braccia e gambe scollegate da corpo, e così via. E proprio come Rayman viene concepito Ed, il violaceo simpatico protagonista di un platform action-adventure del 1999 chiamato Tonic Trouble pubblicato prima su Nintendo 64 e successivamente anche su PC e GameBoy Color. L’obiettivo era quello di divertire i più piccoli, con le mirabolanti quanto pazze gesta di questo personaggio, ma anche di immergerlo in un mondo più complesso di quello dell’uomo-melanzana diventato una icona del colosso francese dei videogiochi. Lanciatasi nel campo dei giochi in 3D, proprio come Rayman 2: The Great Escape (sempre del 1999) anche Tonic Trouble era un primo semplice, ma allo stesso tempo efficace, tentativo di lasciare totale libertà di esplorazione al giocatore pur dovendogli far rispettare certi paletti, imposti naturalmente dalla narrazione. Semplice così come una storia scritta esclusivamente per dare una parvenza di significato a quello che Ed faceva: il ragazzo (si può chiamare ragazzo?) è il responsabile di una gigantesca mutazione genetica che ha modificato e incattivito vegetali e verdure di tutto il mondo, a causa di una misteriosa lattina con un liquido verde. Come rimediare? Beh, semplicissimo, non sapremmo trovare un altro modo: costruire una macchina del tempo insieme a Suzy e Doc (no, non Emmet L. Brown purtroppo) e impedire la mutazione. Soffrendo di evidenti problemi di telecamera e di sezioni puzzle non brillantissime, non quanto certamente il suo diretto rivale Rayman 2, Ed scomparve silenzioso dai nostri schermi, abbandonato da quella Ubisoft che tanto aveva creduto nella sua figura. Il sequel pianificato, che secondo le informazioni si sarebbe potuto chiamare Tonic Adventure oppure Tonic Trouble 2 (originale, eh?), venne cancellato. Eppure, ancora oggi la sgradevole sensazione di non aver potuto aiutare nuovamente l’agente segreto Ed si fa sentire.
BANJO-TOOIE
Sì, sì, placate gli animi. Banjo-Tooie non è stato l’ultimo gioco della serie nata dai ragazzi di Rare dopo aver siglato un importante accordo economico con Nintendo nel ’94. Grunty’s Revenge su GameBoy Advance, Banjo Pilot sempre sulla portatile Nintendo, e Banjo-Kazooie: Nuts & Bolts, più un esperimento che una vera e propria prosecuzione del brand. È però innegabile come il pubblico degli aficionados, quelli che ancora sperano in un ritorno alla ribalta dei gloriosi platform 3D come Super Mario 64 e appunto Banjo-Kazooie, sia in grane attesa di un sequel della serie principale. Quel Banjo-Threeie, insomma, del quale la stessa Rare continua a parlare da anni, capace di prendersi in giro da sola anche nell’ultimo Nuts & Bolts del 2008 per questa “promessa non mantenuta”. Certo, quest’anno uscirà Yooka-Laylee, sequel spirituale di Banjo-Kazooie e sviluppato da Playtonic Games (SH indipendente costituita da ex membri Rare, gli stessi creatori della serie originale), ma non è la stessa cosa. Non è maledettamente la stessa cosa. Con i suoi colorati e fantasiosi mondi, con i suoi jiggy e le note musicali da recuperare, con le decine di mosse da eseguire, Banjo e la compagna Kazooie sono rimasti nell’immaginario collettivo come un duo da rispettare e da lodare, e che avrebbe certamente meritato una sorte migliore. Ma si sa, il mondo dei videogiochi cambia in fretta. Così come per Tonic Trouble, anche i platform 3D di questo tipo hanno avuto una vita sfortunatamente breve, e la non rosea situazione di Rare, che nel 2002 vennero assorbiti da Microsoft. Altre direzioni, altre vie da percorrere, altri modi per sfondare nel mercato, come dimostra quel Sea of Thieves in uscita quest’anno. Il ritorno di Banjo e Kazooie, nonostante le dichiarazioni d’amore di Rare in più occasioni, appare utopico.
ALAN WAKE
Se Remedy Entertainment oggi sia al lavoro su un sequel, non ci è dato saperlo. I rumor si rincorrono da mesi, anni addirittura, anche dopo che gli sviluppatori annunciarono di essere al lavoro su Quantum Break uscito lo scorso aprile su Xbox One e PC. Ma Alan Wake 2 rimane ancora un’incognita per tutti. Non capace di entusiasmare all’epoca del suo lancio, ma diventato una sorta di fenomeno di culto per molti giocatori che lo riscoprirono anni dopo, Alan Wake è una storia molto particolare, dalla sceneggiatura spiccatamente televisiva. La struttura episodica del gioco, alla pari di produzioni come The Walking Dead o Tales from the Borderlands dei Telltale Games, conferisce infatti al gioco una lontana parvenza di serie TV, dove la narrazione va avanti a scossoni lasciando però tanti nodi che verranno al pettine solamente nel finale, quando anche il giocatore riesce a intuire cosa sia successo ad Alan, scrittore di successo tormentato da sogni, allucinazioni, misteriosi avvenimenti. A metà tra un Twin Peaks di David Lynch e un Lost di J.J. Abrams, Alan Wake rappresenta dal punto di vista narrativo una delle esperienze più coinvolgenti e stravolgenti degli ultimi anni in campo videoludico, pur soffrendo di diversi problemi tecnici e di un gameplay che lascia spesso a desiderare nelle fasi più concitate, e ogni volta che un piccolo rumor, una indiscrezione o anche solo una parola fuori posto di Remedy nomina il buon Alan, il nostro cuoricino inizia a palpitare, nella speranza un giorno di poterlo rivedere. Insieme ai suoi misteri, alle sue paure e alla sua intricata storia, introspezione psicologica che si mischia al fantasy per raccontare la tragedia di un uomo ricolmo di sensi di colpa.
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