Home Videogiochi Rubriche Ma solo io ho amato The Order 1886? | In verità vi dico

Ma solo io ho amato The Order 1886? | In verità vi dico

Da pochi giorni The Order: 1886, il kolossal di Ready at Dawn esclusiva PS4 uscito nel 2015, ha spento 4 candeline. Per l’occasione, gli sviluppatori hanno deciso di pubblicare una serie di video di making of che mostrano una cosa in particolare: come sia stato possibile rendere così magnifico il comparto grafico del titolo, probabilmente ancora oggi, a 4 anni di distanza, il migliore mai visto su console. Addirittura, ricordo che all’epoca alcuni esperti del settore si dissero straordinariamente sorpresi, e che la superlativa resa visiva del gioco era superiore a quello che offrivano anche certi videogiochi su PC molto performanti.

Ho riguardato con grande ammirazione questi video (ve ne lascio uno esemplificativo qui di seguito), e non ho potuto fare altro che ricordare quanto questa, quella di The Order: 1886, sia stata una grandissima occasione sprecata. Voglio dire, solo io ho amato The Order: 1886? Solo io rimasi rapito dalla bellezza di quel mondo e dall’intricata e perfetta mitologia plasmata dai suoi creatori? Spinto dall’insaziabile voglia di riprovare il gioco, complice anche un momento di relativa tranquillità per la mia lista dei desideri (sono in attesa di The Division 2 che uscirà tra più di 3 settimane), non ho resistito: ho riesumato la mia Collector’s Edition, ho preso il disco e l’ho inserito nella mia PS4 Pro Kingdom Hearts III Limited Edition (lasciatemi fare lo sborone, eh) per ricominciarlo. Ho ricominciato The Order 1886, e finito The Order 1886. E cavoli, quanto mi piaceva.

Per essere nuovi ad un’IP tutta loro, i ragazzi di Ready at Dawn si resero fautori di un videogioco non solo tecnicamente incredibile, ma anche molto eccitante sul fronte della costruzione del mondo, della sua storia, e naturalmente del gameplay, che basandosi sulle ferree regole del realismo regalava momenti comunque incredibili. Un miracolo, se consideriamo il curriculum di questo studio di Irvine, California. Lo studio aveva lavorato spesso in passato con Sony, ma solo per prodotti correlati ad alcune sue serie di punta: nel 2006 arrivò il debutto assoluto della software house con il suo primo gioco, Daxter, lo spin-off su PSP dedicato al co-protagonista della fortunata serie Jak & Daxter; negli anni successivi arriva la consacrazione, dopo aver lavorato alla versione Wii di Okami, con gli ottimi God of War: Chains of Olympus e God of War: Ghost of Sparta, che non fanno rimpiangere il passaggio della serie sulla console portatile.

Del resto, però, la bravura di questo team la si poteva intuire dai soli nomi in gioco. Ready at Dawn fu fondata da ex dipendenti di Blizzard Entertainment e Naughty Dog. Blizzard e Naughty Dog, non so se mi spiego. Gente che è stata capace di dare vita a pietre miliari della storia come Diablo, Starcraft, Warcraft, Crash Bandicoot. Gente che sapeva cosa fare, insomma. Ed ecco che nel 2015, dopo anni di duro lavoro, arriva un’attesa esclusiva PS4. Attesa intanto perché l’inizio di questa generazione, come ricorderete, è stato particolarmente lento, specialmente per il colosso giapponese, che nel suo primo anno riuscì a pubblicare solo due esclusive di peso (sì, Knack neanche lo contiamo). E poi era attesa, appunto, per quello che prometteva di essere: una sorta di risposta al TPS della concorrenza, Gears of War, ma con un inedito concept incredibilmente curioso e atmosfere completamente differenti. Arrivava, a febbraio 2015, The Order: 1886.

Il gioco era ambientato negli ultimi mesi di quell’anno, ma l’Ordine, lo stesso Ordine al quale appartengono i protagonisti che seguiamo da vicino, affonda le sue radici molto tempo prima, secoli, forse millenni prima. Quello che protegge la Londra di fine XIX secolo è infatti lo stesso che al tempo del leggendario Re Artù veniva chiamato l’ordine dei Cavalieri della Tavola Rotonda, tanto da rendere i suoi membri originali delle vere e proprie icone. I nomi di alcuni dei membri dell’Ordine attuale, infatti, rispecchiano questa simbolica scelta: Galahad, il protagonista, è il nome del figlio illegittimo di Lancillotto; Lady Igraine era la madre di Artù, e moglie di Uther Pendragon; Percival deriva da Parsifal, il cavaliere della tavola rotonda che per primo riuscì, secondo la leggenda, a vedere il Santo Graal.

Ecco, quella che per noi è solo una leggenda, nel mondo di The Order 1886 è la pura realtà, che si mescolava però in un fenomenale intruglio fatto di scienza, magia, sovrannaturale e thriller, dando forma ad una storia che non solo si reggeva straordinariamente bene insieme ma che non aveva niente da spartire con film o serie TV di alto calibro. Del resto, uno dei motivi per i quali mi innamorai di The Order 1886 fu proprio il suo concept: un gruppo di prodi cavalieri, difensori della Corona e discendenti di un ordine vecchio di oltre un millennio, che avevano a che fare con mostri di varia natura, rivisitazioni di personaggi e fatti storici realmente accaduti, e naturalmente con un arsenale da battaglia degno del miglior stile steampunk. L’atmosfera, per fare un paragone, mi ricordava tantissimo quella dello splendido The Prestige di Christopher Nolan, dove realtà e magia, in un tempo passato ma non troppo, si fondevano completamente.

Sarà che sono sempre stato un grande appassionato di queste operazioni di rivisitazione e reimmaginazione, in qualsiasi salsa. Adoravo le parodie con i personaggi Disney che leggevo da piccolo su Topolino, che scimmiottavano grandi romanzi, film e altre opere. Amavo il concept della serie TV della ABC Once Upon a Time, che rielaborava una quantità pressocché infinita di classiche fiabe e leggende come se facessero parte di un unico grande universo narrativo. Una grande idea quella, peccato che la serie collassò su se stessa a causa sia dei troppi personaggi in gioco, sia per una gestione incomprensibile. Comunque, tornando a The Order 1886: ecco, questo era uno dei suoi motivi per farsi amare. Il gioco di Ready at Dawn prendeva a piene mani elementi dalle più disparate storie, da antiche leggende a fatti realmente accaduti, rielaborandoli, collegandoli e costruendo una mitologia ed un intreccio narrativo che funzionava su tutti i livelli.

E non parlo ovviamente solo della resa a schermo. La storia, seppur lineare, era ottimamente raccontata, e la progressione delle ambientazioni, dalla Londra vittoriana illuminata dal Sole nelle prime battute del gioco fino alle tetre e cupe location del finale, rispecchiavano questa sapienza nel saper mostrare, che trovava evidenti influenze in altre esclusive di casa Sony come la serie Uncharted, con la quale condivide buona parte dell’idea di gameplay (e difatti mi viene da chiedermi: non è che Sony pensava proprio a The Order per rimpiazzare la serie di Naughty Dog, che avrebbe teoricamente chiuso i battenti l’anno successivo?). La storia funzionava anche perché tutti gli elementi che erano stati inseriti, fossero essi reali, magici o chicchessia, erano amalgamati per dipingere un quadro molto più grande ed eccitante, che sarebbe stato esplorato nei sequel che, probabilmente, non vedremo mai. Le vicende dei cavalieri dell’Ordine protagonisti, ossia Galahad, Igraine, Lafayette e Percival, lasciavano il segno, e sin dai primi minuti era chiaro che non avremmo avuto a che fare con uno shooter di stampo storico. I Lycan, ad esempio, erano la prima minaccia sovrannaturale che l’Ordine incontra, ma non è una sorpresa per loro: questi esseri immondi esistono, sono sempre esistiti forse, e nel momento in cui prendiamo le redini di Galahad questo sa già cosa deve fare. L’escamotage, poi, di rendere il realmente vissuto Jack lo Squartatore una figura di grande importanza, e dall’identità inaspettata, era grandioso.

Insomma, parliamo di un gioco che sul fronte narrativo aveva tutte le carte in regola per fare bene. Conosciamo tutti software house particolarmente dedite alla creazione di immense storie e grandi universi narrativi, ancor prima di passare alla realizzazione del gioco vero e proprio. Bungie, tra Halo e Destiny, è l’esempio più lampante, ma anche BioWare non è da meno. The Order 1886 aveva tutto questo, oltre che un gameplay che, per quanto semplice e ben poco variegato, faceva il suo sporco lavoro permettendosi anche curiose idee come le armi futuristiche (per l’epoca, ovviamente), ideate da quel Nikola Tesla che fungeva da ricercatore per l’Ordine.

Eppure, sappiamo tutti cosa ha condannato The Order 1886. Il comparto grafico? Assolutamente no, come detto in apertura si tratta di qualcosa di incredibile, completato da una cura ai dettagli maniacale e forse ancora oggi tra i migliori esempi. La storia, o forse il gameplay? No, come già ribadito, anzi la prima in particolare è un aspetto che chiunque ha dovuto riconoscere nei meriti del gioco. Il problema fu la longevità, e la pioggia di critiche che consequenzialmente il titolo si ritrovò addosso. The Order 1886 poteva essere completato davvero in una manciata di ore, poco più di 5 alla prima run, che diminuivano alla seconda, diminuivano ancor di più alla terza, e così via. E un altro grande problema fu proprio la rigiocabilità, legata a doppio filo con la longevità: non c’era. L’unico motivo per ricominciare le avventure di Galahad, al termine del gioco, era quello di volerle rivivere da capo. Non c’era un altro scopo, non c’era una ricompensa, non c’era un possibile diverso esito. Non è il primo gioco, e non sarà certamente l’ultimo, a puntare su questo aspetto, quello di voler raccontare una storia dal taglio cinematografico sacrificando la libertà per dare maggiore profondità al racconto. Di esempi ne abbiamo a decine, forse centinaia. Ma The Order 1886 collassò terribilmente su questo aspetto, inutile negarlo, e inutile cercare scuse anche per chi, come me, ha amato il gioco. Un titolo di questo calibro, venduto a quel prezzo, fece della longevità il suo pericoloso macigno, che lo trascinò nel baratro dell’anonimato. Non per tutti, fortunatamente.

Più passano gli anni, e più mi rendo tristemente conto che The Order: 1887, sempre se questo fosse il nome scelto per il sequel, non arriverà mai. Una speranza continua ad albergare nel mio cuore, così come nel cuore di tutti coloro che rimasero ammaliati da questo mancato capolavoro che ebbe l’unica pecca nella longevità, davvero troppo esigua per giustificare il prezzo di lancio dei canonici 70€. Fu questa la sua condanna: costare troppo in relazione alla sua durata. Ma di The Order, del mondo di The Order, mi piacerebbe comunque sentir parlare di nuovo, in futuro. La speranza è l’ultima a morire…

Scritto da
Andrea "Geo" Peroni

Entra a contatto con uno strano oggetto chiamato "videogioco" alla tenera età di 5 anni, e da lì in poi la sua mente sarà focalizzata per sempre sul mondo videoludico. Fan sfegatato della serie Kingdom Hearts e della Marvel Comics, che mi divertono fin da bambino. Cacciatore di Trofei DOP.

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