Inesorabile, più delle temutissime udienze generali per gli alunni, si sta avvicinando non solo il nuovo anno, ma l’inizio di un nuovo decennio. Con il 31 dicembre 2019 si concluderà un periodo sì florido per i videogiochi, ma anche tra i più controversi dell’intera storia del medium, che ha visto due generazioni di console contrapporsi, una miriade di titoli e l’arrivo di tecnologie e servizi rivoluzionari, non senza l’ormai tradizionale strascico di polemiche che, per un motivo o per l’altro, salta sempre fuori nell’industria odierna.
Molti esperti del settore stanno facendo a gara per decretare, ognuno con i propri criteri, quale sia il gioco più rappresentativo di questa decade, oppure una serie di giochi più meritevoli rispetto ad altri. Su queste pagine, vi dirò la verità, avevo pensato a qualcosa di simile, ossia ripercorrere ogni anno di questo decennio che volge alla conclusione parlando del videogioco più significativo uscito nell’arco dei 365 giorni.
Più ci pensavo, però, più mi rendevo conto di quanto l’idea fosse riduttiva. Esistono anni caratterizzati da una corposa mole di videogiochi che hanno davvero fatto la storia, mentre altri fiacchi periodi sono caratterizzati da un certo appiattimento nell’offerta, tanto che era difficile trovare un singolo videogioco di cui parlare, sia in un senso che nell’altro. E allora, si cambia format: ripercorrere l’industria dei videogiochi degli ultimi 10 anni, osservando in particolar modo un evento o una serie di cambiamenti che si sono susseguiti nel tempo e che hanno, nel bene o nel male, contraddistinto questo ultimo decennio. Non facile, certo, ma sicuramente interessante. E dunque, iniziamo.
UNA FINESTRA SUL FUTURO (?)
Mi sembra quindi d’obbligo iniziare questa prima parte, dedicata al 2010, agli esperimenti. Come ho specificato nel titolo, il 2010 fu un anno particolare per le grandi industrie dei videogiochi, in particolar modo Sony e Microsoft, che cercavano di affacciarsi a quello che avrebbe potuto essere il futuro del gaming. Non ho parlato, volutamente, di Nintendo, la quale come ben sappiamo ha vissuto gli ultimi anni in una sorta di bolla rispetto ai suoi competitor, cercando di proporre tecnologie innovative senza rincorrere forzatamente i rivali sul terreno degli hardware. Il successo di Wii, uscita nel 2006 e capace di vendere più di 100 milioni di unità, ne è il caso lampante: un sistema che non poteva certo rivaleggiare con PS3 e Xbox 360, ma che fondava la sua esperienza sull’intrattenimento in famiglia, sul gioco come movimento a 360 gradi, sulla novità del modo di porsi di fronte ad un titolo.
Dal loro canto, Sony e Microsoft decisero, a cavallo tra il 2006 e il 2007, di restare fedeli alle proprie tradizioni. Una console casalinga senza particolari novità, se non certo quella legata all’ambito del multigiocatore che negli anni era diventata una componente sempre più predominante del panorama videoludico grazie anche all’esplosione di serie come Call of Duty e Battlefield. E forse è anche per questo, osservando inoltre il clamoroso successo dell’apparentemente innocua scatoletta di Nintendo, che ad un certo punto i colossi di Tokyo e Redmond si abbiano detto: è ora di provare a cambiare. Provare a osare, a offrire qualcosa di nuovo anche ai nostri consumatori, questo prima che, spinti da un’irrefrenabile sete di esperienze innovative, si spostino su Wii.
Il 2010, così come gli anni precedenti, non era certamente stato avaro di soddisfazioni per gli hardcore gamer (denominazione che odio, ma è solo per intenendere una certa fascia di consumatori). Uncharted 2, BioShock 2, Mass Effect 2, Call of Duty: Black Ops, Assassin’s Creed II, Battlefield: Bad Company 2 (basta con questi 2!), Red Dead Redemption, God of War III, Halo Reach, Bayonetta, ma anche Civilization V e così via. Opere straordinarie, alcuni di questi sono riconosciuti all’unanimità ancora oggi come videogiochi di importanza storica per il medium. Eppure, i due più grandi competitor del mercato hardcore sognavano una nuova utenza, quella del videogioco del futuro o più semplicemente, appunto, quella di Wii, che fosse quindi in cerca di diversità. C’è chi innovò in parte, rispetto ai suoi abituali standard, e chi invece cercò di fare il passo più lungo della gamba. Il 2010 è sicuramente stato l’anno delle nuove tecnologie, ma a posteriori è difficile dire se queste abbiano avuto l’effetto sperato. Anzi, potremmo asserire che nessuna di esse ha avuto l’effetto sperato.
ENTRARE NEL VIDEOGIOCO
Già presentati all’E3 2009, i controller PlayStation Move fecero il loro debutto nel settembre del 2010, dopo una massiccia campagna promozionale di Sony che faceva intendere quanto questi piccoli controller, di natura molto differente dai tradizionali Dualshock, rappresentassero il futuro del videogioco, e un nuovo modo di intendere l’intrattenimento. Sin dalle prime apparizioni, i Move suscitarono più di una polemica negli appassionati, poiché ritenuti nella loro natura fin troppo simili al telecomando di Wii (o Wiimote). In effetti, non ce ne voglia Sony, ma l’impressione era proprio quella: una sorta di copia/incolla della tecnologia di Nintendo, ma su una console PlayStation, cosa che peraltro, alla lontana, penserà anche Microsoft.
I Move esprimevano il nuovo concetto del videogioco, quello votato al movimento e non più alla staticità, e l’impressione è questa periferica fosse pensata principalmente per il pubblico più giovane. Tra i titoli più interessanti a sfruttare questa novità, c’era una sorta di emulo di Harry Potter, ma anche il valido PlayStation Heroes con protagonisti Sly Raccoon, Jak e Ratchet, che insieme condividevano per la prima volta un videogioco. Almeno inizialmente la partenza fu incoraggiante, tanto che anche altri videogiochi sembravano essere sul punto di seguire la strada dei Move ed entrare nel futuro. Killzone 3, ad esempio, finale di una delle serie sparatutto più apprezzate di sempre, aveva tra le sue feature la compatibilità coi nuovi controller, il cui intento era quello ovviamente di aumentare l’immersività del player. L’innovazione voluta da Sony aveva fatto abbastanza presa sul pubblico ma… non abbastanza.
Alla concorrenza non è andata sicuramente meglio, anzi. La rivoluzione iniziata da Microsoft nel 2010 sarà addirittura uno dei motivi per cui la sua generazione successiva, con Xbox One, desterà più di un dubbio negli acquirenti. Il principio era semplice, ancora una volta: proporre qualcosa di simile alla tecnologia di movimento di Wii, ma diverso, più diverso di quanto avesse fatto Sony. E così nacque la periferica ancora oggi amata/odiata dai giocatori Xbox, il Kinect. Una banale telecamera, all’apparenza, che inquadrava l’ambiente circostante percependo i movimenti che il giocatore, muovendosi nello spazio, eseguiva, e replicandoli all’interno del gioco. Il giocatore, quindi, diventava un vero e proprio controller per il videogioco, e la telecamera altro non era che l’impulso registrato e replicato poi a schermo.
Tutto molto bello, certo, ma la realtà dei fatti fun ben diversa. Kinect, oltre ad un prezzo non proprio abbordabile per una semplice periferica, era innanzitutto stato privato di molte funzionalità che Microsoft aveva inizialmente pensato e proposto al pubblico, come addirittura Peter Molyneux (creatore di Fable) confidò alcuni anni fa:
Sarò onesto. Kinect era un disastro. Una catastrofe. L’idea iniziale era di questo dispositivo che poteva sostanzialmente fare tutto. Non richiedeva potenza di elaborazione, il campo visivo poteva comprendere tutta la stanza. L’audio, e nessuno ne parla, doveva essere multi-sensing, doveva rendersi conto della tua posizione.
Nonostante questo, il colosso di Redmond organizzò una grandiosa campagna promozionale per spingere questo Kinect che era considerato il futuro del gaming, portandolo alle più grandi fiere del settore e finendo peraltro col creare dei momenti indimenticabilmente brutti per le conferenze in giro per il mondo. La presentazione di Kinect, avvenuta all’E3 2009, è stata talmente meritevole da finire alcuni mesi fa nella nostra raccolta dei 10 peggiori momenti nella storia dell’E3, tanto per darvi un’idea. Peccando nella comunicazione, la periferica già partiva male. Le vendite finali, a dire il vero, non sono state così disastrose come si possa pensare (35 milioni al 2017, anno di cessazione della produzione di Kinect), ma è anche vero che si tratta di numeri particolarmente gonfiati a partire dal 2013. Microsoft pensò bene, infatti, di dichiarare Kinect una periferica indispensabile per Xbox One, tanto da costringere i giocatori ad acquistare il bundle che comprendeva console e telecamera. Senza il Kinect, Xbox One non funzionava. Era questo, in sostanza, il messaggio che Microsoft mandava ai suoi appassionati, ma che non aveva davvero alcun fondamento. La tecnologia dei sensori di movimento sembrava già essere passata di moda, per quale motivo riproporla in un momento così delicato ossia l’inizio della nuova generazione? Difatti, i numeri iniziali di Xbox One saranno disastrosi, tanto che Kinect verrà presto (ma neanche troppo) abbandonato e Xbox One diventerà “indipendente”. Non solo: persa la sua funzione vitale per la console, Kinect è stato velocemente abbandonato da Microsoft, a riprova del fatto che l’innovazione tecnologica iniziata nel 2010 non era stata altro che un fuoco di paglia.
È andata leggermente meglio a Sony, è vero, che con l’arrivo della realtà virtuale è riuscita a trovare una nuova collocazione ai PlayStation Move, ma la verità dei fatti, ad anni di distanza e a mente fredda, è che la ricerca di un nuovo pubblico da attirare, con queste novità, non andò certo a buon fine. Le tecnologie di Microsoft e Sony avevano sì potenziale, ma niente, davvero niente della loro offerta poteva controbattere con uno dei videogiochi tradizionali disponibili, che come abbiamo ricordato stavano vivendo un momento particolarmente florido di grandi opere. Esperimenti falliti? Sì. Forse non completamente, ma è chiaro che nessuno dei due colossi ha mai ottenuto quello che cercava da queste novità. Ed è davvero strano se pensiamo che ancora oggi Nintendo, con Switch, fa di questo modo di giocare una delle sue punte di diamante. Evidentemente la Grande N ha saputo come valorizzarla, a differenza delle altre major.
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