Suicide Squad sbaglia tutto quello che aveva reso grande la serie Batman Arkham. E non lo diciamo perché abbiamo ancora impressi nella mente quell’immortale serie.
Dopo oltre 60 ore di gioco accumulate, un trofeo di platino che si fa sempre più vicino (non perché difficile, ma tedioso), e una serie di oculate considerazioni, già effettuate nel corso della recensione che vi abbiamo proposto, è sempre più evidente che in Rocksteady le idee siano state pesantemente confuse nella concezione di Kill the Justice League. Soprattutto per come questo importante universo narrativo è stato trattato dai suoi stessi creatori.
Eppure, tutto era stato approcciato nel migliore dei modi. Lasciamo da parte la pessima presentazione di un anno fa, dopo la quale Rocksteady si è convinta a rinviare ulteriormente l’uscita di un gioco che già si era fatto attendere più a lungo del previsto. Lasciamola da parte, ripensando al fatto che avevamo di fronte il grande ritorno sulle scene di, appunto, Rocksteady Studios. Gli autori, cioè, di tre dei migliori videogiochi di sempre sui supereroi.
Le origini del mito di Rocksteady
La saga di Batman Arkham ha rappresentato negli anni ’10 l’esplosione dei fumetti anche nei videogiochi. Mentre la Marvel dominava al cinema, la DC si appoggiò alle straordinarie avventure del Crociato di Gotham firmato Rocksteady, capace di dar vita a un personaggio conosciuto da tutti ma immerso in un contesto magico, che perfettamente rifletteva quella che è la natura delle storie su carta stampata.
Si partì con Arkham Asylum, la prigione-manicomio di un numero spropositato di villain, e si arriva a quel gigantesco Arkham Knight del 2015, nel quale Bruce Wayne affronta il più grande nemico, non per forza fisico, mai incontrato fino a quel momento – anche se chi vi scrive ha amato molto di più Arkham City, ma è un altro discorso. Una chiusura immensa, per una delle trilogie (sì, c’era anche Arkham Origins, ma lo lasciamo da parte per varie ragioni) di sempre.
Nove anni sono passati dalla conclusione di Arkham. Nove anni nei quali Rocksteady, come abbiamo scoperto ormai molto tempo fa, si è dedicata anima e corpo alla creazione di un mondo nuovo ma comunque legato all’universo che già aveva costruito sapientemente. Un mondo nuovo, ma anche un modo nuovo di giocare, andando ad abbracciare quella deriva looter shooter live service che, tuttavia, già al momento dell’annuncio sapeva di stantio. Intorno a Destiny c’era già una certa patina di incertezza, mentre un altro ambizioso prodotto su licenza molto simile, Marvel’s Avengers, era stato protagonista di un tonfo micidiale provocando un cratere color rosso pompeiano nei conti di Square Enix.
Mai partire prevenuti però. Visto il curriculum di Rocksteady, la speranza è l’ultima a morire, e soprattutto Suicide Squad: Kill the Justice League partiva da alcune premesse interessanti, sia narrative che concettuali: la grande Metropolis come teatro della guerra tra la Task Force X, arruolata da Amanda Waller, e la Justice League al completo, traviata dai giochi mentali di Braniac che vuole dominare il pianeta – e anche altro. Le prime ore di gioco, a dire il vero, sono anche piacevoli. Ve ne abbiamo parlato nella nostra anteprima, nella quale comunque emergevano alcuni punti deboli che poi sono diventati purtroppo criticità nel momento in cui abbiamo potuto cogliere l’opera nel suo insieme. E oggi, dopo tante, forse troppe ore dedicate a Suicide Squad, siamo di fronte a un quadro molto negativo se paragonato a quello che potevamo aspettarci.
Dov’è lo spirito dello studio che ci ha dato Arkham?
Kill the Justice League non è un disastro, sia chiaro. Nella nostra recensione abbiamo assegnato un voto pari a 7/10, che ancora oggi riteniamo accettabile: l’esperienza di gioco è longeva, il gameplay ha i suoi pregi, e la componente narrativa fa comunque il suo per intrattenere, a fronte comunque di una serie di problemi che vi abbiamo elencato in sede di analisi. Ma un grande fan del lavoro di Rocksteady, in questo gioco, non ha ritrovato neppure un briciolo della grandezza e delle idee che avevano reso grande Arkham a suo tempo.
Insomma, per fare un paragone, la situazione era simile a quella di Naughty Dog. Parliamo di uno degli studi più talentuosi al mondo, che, almeno fino a pochi mesi fa, aveva deciso di lavorare a un ambizioso gioco live service, The Last of Us Online. Giusto bocciare a priori il gioco solo perché in contrapposizione con la natura single player e cinematografica della serie? Certo che no, a patto però che il titolo avesse mantenuto saldi principi legati non solo al contesto narrativo ma anche a ciò che Naughty Dog ha sempre dimostrato.
Sfortunatamente, nel caso di Suicide Squad: Kill the Justice League questa speranza è stata mal riposta.
Rocksteady Studios ha sempre esaltato alcuni importanti elementi nel corso dei suoi Arkham, che presentano un’importante e apprezzata evoluzione attraverso Asylum, City e Knight: la scrittura dei personaggi, l’introspezione in ognuno di essi, il design rivoluzionario degli ambienti, banalmente anche solo il comparto grafico e quello tecnico. Con Suicide Squad parte di questi elementi dovevano essere elevati ancora di più, come nel caso del gameplay. Quattro protagonisti potevano garantire quattro personalità e abilità uniche, che potevano compensare in quella che, purtroppo la si poteva immaginare, sarebbe stata una struttura ripetitiva all’ennesima potenza qual è quella dei live service.
Invece, è tutto anonimo, insapore, incolore. Se non sapessimo che Rocksteady ha sviluppato questo titolo, non potremmo neppure immaginarlo, anche perché al di là dei nostalgici ma inutili riferimenti all’ArkhamVerse e alla storia del Batman di questo studio, non c’è davvero nulla che faccia pensare che gli autori di Kill the Justice League siano gli stessi dell’ArkhamVerse. Forse l’unico spunto davvero riuscito è proprio quello che coinvolge la boss fight di Batman, la quale fa emergere un certo amore verso il personaggio. Eppure, tutto il resto è spento, inadatto. Si punta più a una spettacolarizzazione (inutile) delle acrobazie della squadra, che a una vera e propria raison d’être per quest’avventura.
Il mondo di gioco, ad esempio, è blando. Blandissimo. Talmente blando che avrebbe potuto essere ambientato nel deserto del Gobi, e nessuno ne avrebbe colto la differenza. Al di là di alcuni edifici e riferimenti, Metropolis è spenta, non esistono civili, non c’è un design preciso. È tutto un ammasso di edifici e grattacieli, non ci sono vie secondarie, non ci sono accessi segreti. Se in Batman Arkham gran parte dell’avventura in quel di Gotham risiedeva nello scoprire tutti i segreti dell’oscura città, qui questa cosa viene meno.
Vero, parliamo di scelte stilistiche completamente diverse, in nome di una struttura di gioco votata al live service. Struttura parzialmente rivista dopo la pessima accoglienza del 2023, con la rimozione di alcuni elementi che hanno addolcito la formula senza però risultare davvero incisivi per il risultato finale, ma che in fin dei conti non cambia la sostanza di un prodotto che è stato pensato con estrema superficialità, con gli sviluppatori forse impreparati ad affrontare un carico di questo tipo. Da qui derivano così tanti problemi, mitigati in parte da un gameplay estremamente frizzante che vuole però adattarsi a tutto e tutti.
Paradossalmente, Crystal Dynamics è stata più intelligente, nel suo Marvel’s Avengers, a differenziare al punto giusto i personaggi protagonisti, ognuno dei quali possiede abilità davvero uniche. Captain America? La sua forza è soprattutto fisica, con in più il bonus dello scudo che magicamente torna indietro in ogni singola occasione. Iron Man? Il volo e la tecnologia sono i perni fondamentali. Thor poteva colpire a distanza con Mjolnir e i suoi filmini, Hulk rappresentava l’ariete per le operazioni dirette, e così via.
Per quanto il titolo edito da Square Enix fosse pieno di problemi, aveva una sua identità, anche se minuscola. Suicide Squad, semplicemente, no. Persino un personaggio come King Shark, la cui struttura fisica promette ben altre aspettative di gameplay, si riduce a un soldato che imbraccia una mitragliatrice leggera, e il gioco non cambia di una virgola.
Una scelta votata al famoso concetto di longevità e rigiocabilità, che in un live service dovrebbero essere i cardini fondamentali? Forse. Ma è altrettanto vero che il gioco offre non offre alcuno spunto alla rigiocabilità. Siamo addirittura al di sotto del primo Destiny, che quest’anno spegnerà la sua decima candelina e che, in tutta la sua ingenuità, era comunque il primo grande prodotto a voler fare dei GAAS la regola. Se all’epoca si potevano perdonare alcuni errori, oggi Suicide Squad appare come accanimento terapeutico nei confronti di un genere che fondamentalmente ha grossi, enormi problemi. E il fatto preoccupante è che Rocksteady, nonostante l’esperienza, non abbia fatto nulla per trovare una soluzione.
Scrivi un commento