Manca un mese esatto al lancio di The Last of Us: Part II. E già oggi, a giudicare dai recenti avvenimenti, parliamo di un titolo controverso, che a dire degli addetti ai lavori dividerà il pubblico su temi maturi e che riguardano l’intera umanità. Basti pensare che, tra le grandi (fake) news che circolavano intorno ai clamorosi leak delle settimane scorse, presunti insider facevano a gare ad affermare quanto Naughty Dog fosse diventato un ambiente di lavoro ormai tossico, con persone costrette a lavorare in un progetto nel quale, eticamente, semplicemente non credevano.
La verità? Quella probabilmente non la sapremo mai. Per ora, dobbiamo attenerci alla comunicazione ufficiale di Sony, che afferma che i leak sono da attribuire a uno scaltro gruppo di hacker e che i dipendenti di Naughty Dog, al centro della bufera per alcuni giorni, non hanno niente a che vedere con la grande fuga di informazioni. E a noi, sinceramente, va bene così. Le questioni interne a una società devono essere risolte sempre internamente – il famoso detto “i panni sporchi si lavano in famiglia” è abbastanza appropriato per l’occasione – e non con gesti teatrali come la diffusione di materiale privato che rischiavano di danneggiare il lavoro di 4 anni di una delle software house più talentuose del panorama videoludico.
Questo rischio, però, semplicemente non c’è mai stato. The Last of Us: Part II continua a essere oggi uno degli oggetti del desiderio per i giocatori, uno dei titoli più richiesti dell’intera generazione sin da quando PlayStation 4 è arrivata sul mercato, ormai 6 anni e mezzo fa, in quel festoso novembre 2013 che portava con sé quella che poi sarebbe diventata la seconda home console più venduta della storia dei videogiochi (dietro solo all’immortale PS2). E non tanto perché parliamo di Naughty Dog, una casa di sviluppo che raramente, molto raramente nel corso della sua storia, ha deluso le aspettative – e potremmo parlarne nelle prossime settimane, approfondendo un po’ la storia dei cagnacci di casa Sony. Se un sequel è attesissimo, è perché il suo predecessore è stato in grado di crearsi una fama monumentale, e The Last of Us ne è ancora magicamente caratterizzato. The Last of Us, ancora oggi, è un grande capolavoro.
Ricordo come se fosse ieri quel giorno, quel 14 giugno 2013. Tornai in quel di Piacenza dopo una sessione di studio in università, mi recai al MediaWorld presso il quale avevo prenotato la mia copia di The Last of Us – all’epoca MediaWorld aveva anche delle edizioni speciali esclusive dei videogiochi, pensate un po’ quanto è cambiato il mondo – e mi recai a casa, con l’intenzione di passare un piacevole week-end in compagnia di questo nuovo videogioco che mi e ci aveva ormai fatto sbavare da diversi mesi di fronte allo schermo. Sin da subito, sin dalle prime battute, The Last of Us mette in chiaro un dettaglio che tornerà poi continuamente nell’intera produzione, un tema che fa da filo conduttore alla storia e al suo incedere: la perdita, l’abbandono, la solitudine, la morte. Le basi più solide, in effetti, per iniziare a presentare un mondo desolato in cui l’uomo è uscito sconfitto non tanto dalla guerra contro un malefico fungo che ha dato il via a un’epidemia, ma dallo scontro più crudele e più primordiale che possa esistere: quello della diffidenza, quello della crudeltà, quello dell’egoismo.
Sono passati quasi 7 anni dall’uscita di questo capolavoro, un periodo di tempo abissale per i videogiochi ma che The Last of Us sembra non percepire. Rigiocato sia su PS3 che su PS4 recentemente, in piena tempesta ormonale per l’attesa della Part II, il mastodontico titolo di Naughty Dog rappresenta ancora oggi una pietra miliare nella storia dei videogiochi, tra un comparto grafico di primordine che ancora oggi fa scuola, e una storia intensa, cruda, matura ed emotiva, capace di farci immedesimare ed empatizzare nei due indimenticabili Joel ed Ellie. Il plot iniziale non brilla per originalità? Forse è vero, ma del resto The Last of Us si rifà ad altre opere che hanno fatto del setting post-apocalittico la propria fortuna, basti pensare a Io sono leggenda, rielaborandolo e riscrivendo le regole della narrazione per dedicare attenzione non tanto al mondo di gioco, ma al vero cuore dell’esperienza, i personaggi.
E tutto ciò assume connotati ancor più impressionanti se pensiamo che parliamo di una software house che, con innaturale naturalezza, è passata da Crash Bandicoot a Jak & Daxter a Uncharted, per poi giungere a un’opera completamente differente nella sostanza e nella realizzazione, c’entrando pienamente il bersaglio e imprimendo il suo infinito carisma nella mente dei giocatori, strabiliati di fronte a quella che ha tutta l’aria di essere un’opera cinematografica che è stata resa perfettamente e straordinariamente giocabile. Provare per credere: avete avuto l’occasione di rigiocare recentemente a The Last of Us: Remastered, che Sony ha anche regalato agli abbonati PS Plus alcuni mesi fa? Le emozioni, anche a così tant anni dall’uscita del gioco, sono ancora sbalorditive. Un grande capolavoro lo si riconosce anche e soprattutto da questo, dalla capacità cioè di riuscire a superare la prova più difficile: quella del tempo.
The Last of Us, nel 2013, fu il clamoroso canto del cigno di una buona ma sfortunata PS3, che nel corso della sua vita dovette fare i conti con più di una scelta sbagliata. Sette anni dopo, il 19 giugno 2020 per l’esattezza, The Last of Us: Part II potrebbe essere la stessa cosa per PS4, in una generazione in cui, invece, Sony non ha sbagliato le mosse più importanti. E se la tradizione di Naughty Dog verrà mantenuta, questo sequel, assolutamente, non sbaglierà. Non deve sbagliare.
- Uno dei franchise più famosi ed amati del mondo PlayStation con ottimi risultati di vendita in Italia
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