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Unpacking: il valore terapeutico del videogame

Scatoloni su scatoloni.

Incredibile quanto siano importanti gli oggetti nella vita di una persona. Un vecchio pupazzo d’infanzia può accompagnare per tutta la vita, un contenitore da cucina che, di anno in anno, si fa sempre più sbeccato può ricordarci di un affetto ormai perduto.

E così, nonostante sappiamo tutti quanto sia difficile traslocare, non riusciamo proprio a trattenerci. Un altro scatolone, solo un altro, non farà male. Sì sì è vero, la nuova camera da letto è piccola e in cucina probabilmente non avremo abbastanza ripiani per farci stare anche quel dannatissimo soprammobile a forma di balena, ma in qualche modo si farà. Perché se i bagnoschiuma, le posate e i vestiti sono essenziali per svolgere le attività quotidiane, è anche vero che “non si vive di solo pane”, ma anche di ricordi: e quindi non dimentichiamoci dei peluche, portiamo tutte le nostre videocassette e anche il vecchio Gameboy, con le cartucce dei nostri giochi preferiti.

Gli oggetti rendono “casa” quella che inizialmente è solo una stanza vuota. Fanno davvero la differenza. E allora, una volta riempiti per bene gli armadi di vestiti, biancheria, scarpe e quant’altro, non dimentichiamoci di appendere alle pareti i nostri vecchi poster e qualche fotografia. Tranne una, magari, quella la lasciamo in un cassetto. Nuova vita significa anche lasciarsi alle spalle i brutti ricordi.

Unpacking: la narrazione ambientale portata all’estremo

Questo è Unpacking, un originale videogame ideato e sviluppato dal piccolo team Witch Beam. Non si tratta di un tripla A o di un giocone dalla trama avvincente, ma crediamo che questi titoli indipendenti siano da valorizzare, soprattutto quando si tratta di un’idea così a fuoco e ben congegnata come quella di Unpacking.

È tutto molto semplice: affrontiamo alcune tappe fondamentali della vita dell’anonima protagonista (capiamo che è una ragazza dagli oggetti che porta con sé, e ci sentiamo anche un po’ degli intrusi a volte a spiare così nella sua vita), scandite da alcuni trasferimenti in nuovi appartamenti. A volte si tratta di ambienti angusti, altre volte di spazi più ampi e condivisi. Altre volte, come la vita ci insegna, per andare avanti è necessario tornare sui propri passi. Si rivisitano stanze conosciute, ritrovando oggetti precedentemente lasciati indietro, che devono far spazio ai nuovi.

Il gameplay si limita a un tranquillo “clicca e trascina”: si apre uno scatolone (chissà cosa conterrà, ogni volta è una sorpresa) e si cerca di mettere ordine sistemando gli oggetti al loro posto.

L’esperienza è totalmente non verbale e lascia libero il giocatore di viaggiare con la fantasia e con i pensieri: toh, guarda, è stata a Pisa e ha comprato un nuovo souvenir. Oh, allora le piace davvero il disegno, ha comprato una nuova tavoletta grafica. Ora qualcun altro vive con lei. Ora ha scoperto la passione per il giardinaggio.

Il racconto ambientale raggiunge così il suo estremo. Lo scopo del gioco non è in realtà quello di raccontare una storia in particolare, ha più che altro un intento evocativo, terapeutico, rilassante.

Unpacking: un’esperienza distensiva

Se si pensa ai videogiochi, raramente, nell’immaginario comune, li si associa a qualcosa che aiuta a distendere i nervi. Si pensa più alla sfida, all’intrattenimento, al divertimento con gli amici, all’esperienza di vivere storie uniche.

Unpacking non rientra in nessuna di queste categorie, ma si avvicina di più a un Animal Crossing ridotto ancor più all’osso: qui non c’è nessuna missione, nessuna interazione col mondo esterno, c’è solo il giocatore con una manciata di ore da vivere in totale relax, ascoltando la tranquilla musica in sottofondo e studiando il piano migliore per ordinare tutta quella roba (è davvero tanta roba). Forse potrebbe risultare un titolo noioso per chi è abituato a Dark Souls e affini, ovviamente per goderselo è necessario affrontarlo con lo spirito giusto.

Oltre a riporre oggetti su mensole, armadi e scaffali, Unpacking offre dei semplici achievement sbloccabili riordinando determinati oggetti in un modo un po’ più logico, ma in generale non c’è da stressarsi.

Siete maniaci dell’ordine? Prendetevi quelle due, tre ore in più che vi occorrono per allineare ogni singolo libro e ogni singola scarpa. Siete solo curiosi di veder sparire gli scatoloni? Ammassate tutto dove c’è spazio. Il gioco vi pone alcuni limiti, ma si tratta di difficoltà minime: ad esempio, state riordinando la cucina e vi capita sottomano un asciugamano del bagno: va da sé che dovrete metterlo nella stanza giusta per proseguire, così come non potrete lasciare determinati oggetti per terra o in un posto palesemente sbagliato. Ci vuole comunque un minimo di ordine per risolvere il quadro. Al suo termine, potremo rigiocarlo o goderci un video riassuntivo di tutte le nostre “fatiche”.

Unpacking è un videogioco atipico, che riesce comunque a stuzzicare l’immaginario del giocatore e a creare immedesimazione. La grafica non è innovativa ma è davvero deliziosa, grazie a colori pastello e una pixel art ben realizzata e ricca di dettagli. Il sottofondo musicale poteva essere anche più minimal, data la natura dell’esperienza, ma comunque risulta piacevole e non troppo invadente. Il sound design è ben curato, tutto emette dei rumori simpatici che impreziosiscono il gameplay. Gli oggetti sono realistici, con qualche chicca interessante che aiuta a capire la personalità dell’anonima protagonista, le sue passioni e le sue esperienze di vita.

I ragazzi di Witch Beam sono riusciti nel loro intento: creare un’esperienza videoludica rilassante, terapeutica, in grado di distendere i nervi e di lasciare i giocatori liberi di vagare con la mente tra un click e l’altro.

Un consiglio: scegliete un paio di pomeriggi oziosi, sedetevi e lasciatevi trasportare.

Scritto da
Chiara Ferrè

Ciao, sono Chiara. Cresciuta a pane, Harry Potter e Final Fantasy, ho da sempre una grande passione per la narrazione in tutte le sue forme. Cerco campi di battaglia, magici cappelli, lucertoloni volanti. Ho una penna e non ho paura di usarla.

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